Alcuni appunti a ridosso dell’approvazione alla Camera della legge elettorale (sulla quale condivido il giudizio di chi solleva dubbi di costituzionalità, a partire dal tema della scelta dei candidati) e del rapido avvicinarsi delle elezioni anticipate.
Il primo punto riguarda un dato di realtà. Questa legge ha un impianto proporzionale e non consente le coalizioni prima del voto. Bisogna essere chiari: sulle schede non ci sarà nessuna coalizione di centro-destra e nessuna coalizione di centro-sinistra. Ci saranno partiti, o liste, ognuno con una propria identità e una propria fisionomia. E più queste saranno chiare, nette e riconoscibili e più invoglieranno l’elettore a riconoscervisi. Perché ognuna di esse lotterà per convincere rispetto al proprio programma ma anche battendosi contro il voto utile, che eserciterà un richiamo fortissimo. Non ci sarà spazio per chi tenterà di fotocopiare con qualche correttivo la proposta più forte. Ci sarà quindi una lista sovranista di destra, una lista di destra berlusconiana, una lista di centro, una lista del Movimento Cinque Stelle e una lista renziana che manterrà agli occhi dell’elettorato le caratteristiche e il profilo di un centro-sinistra del 30%. Ciò che oggi manca nell’offerta politica e che noi dobbiamo costruire non è quindi un secondo centro-sinistra senza Renzi, ma è una lista di Sinistra, espressione di un progetto di governo, di un programma all’altezza della drammatica condizione sociale del Paese.
Una lista – secondo punto – che deve nascere dietro l’impulso fondamentale di Articolo 1, dei suoi valori e del programma che abbiamo iniziato a compilare a Fondamenta. Che garantisca che dentro quell’esperienza elettorale pulserà il cuore di un movimento che si vuole fare partito, e cioè che vuole la ricostruzione di qualcosa di serio: un punto di vista autonomo sul mondo, una visione, un profilo politico-culturale solido. Sarebbe un errore, da questo punto di vista, fermare la campagna di adesioni ad Articolo 1 in attesa della campagna elettorale. La mia opinione, anzi: la mia speranza, è che dopo le elezioni politiche il grande successo della nostra lista spinga tutti a fare un passo in più, a trasformare la lista in un soggetto politico unitario. Ma non penso che i partiti nascano e muoiano con gli annunci, gli appelli, le conferenze stampa. I movimenti politici nascono perché corrispondono a un bisogno storico oggettivo, sedimentano, si radicano, scommettono e resistono.
Terzo punto. Questa legge elettorale non obbliga a indicare un candidato presidente del Consiglio. Si parla di capo della lista, non di candidato premier. Questo è un punto decisivo e noi siamo di fronte a un bivio. O lo scegliamo in ogni caso, legittimandolo e rafforzandolo con una consultazione democratica che avrebbe il vantaggio di collocare la nostra discussione e il nostro confronto finalmente alla luce e non all’ombra dei media per alcune settimane; oppure non lo scegliamo, investendo su di una leadership plurale che, come dice Giuliano Pisapia, metta avanti “il noi e non l’io”. In questa seconda ipotesi non ci sarebbero più le primarie sulla leadership ma sarebbe altrettanto importante, se non più importante, definire e dettagliare, sempre attraverso un percorso di partecipazione, il perimetro del campo, che dovrà essere necessariamente largo, inclusivo, senza veti nei confronti di nessuno, collocato sul crinale della sinistra di governo, in tutte le sue articolazioni.
Condivido il richiamo all’ulivismo (una stagione che però non tutti hanno condiviso e frequentato, anche per banali ragioni anagrafiche) e al civismo, all’associazionismo e al cattolicesimo democratico, ovviamente, ma serve altrettanto una iniezione di radicalità, di coraggio, di guerra di movimento. Ciò che serve è una sinistra radicale e di governo, come avviene per la gran parte delle forze della sinistra europea cui guardiamo con rispetto e solidarietà (dalla Grecia alla Francia, dalla Germania al Portogallo, sino al Regno Unito). Una collocazione a cavallo cioè tra la socialdemocrazia che svolta a sinistra e la sinistra radicale che si confronta con la sfida del cambiamento e del governo dell’Europa al tempo della crisi. Lì in mezzo, in quel punto di intersezione, ci siamo noi, c’è Articolo 1 e penso ci debba stare anche il cuore del progetto della nuova lista.
Ma perché non sia una questione di pura geometria serve il programma, cioè la politica, e in ogni caso un processo democratico di partecipazione simile a quello che propongono Anna Falcone e Tomaso Montanari. Senza paletti e veti, appunto, che non siano quelli della condivisione di un programma.
Poche priorità ma precise: lotta alle diseguaglianze, piano per il lavoro, pensioni, sanità. No ai voucher, non “no, ma”. La partecipazione alla manifestazione della Cgil del prossimo 17 giugno sarà uno spartiacque. No alla manovrina proposta dal governo che scippa il referendum e reintroduce dalla finestra l’idea dei contrattini di lavoro senza tutele anche per le aziende. No alla fiducia, quindi, assumendoci anche in Parlamento la responsabilità di ciò che è già nelle cose: e cioè che si voti tre mesi prima e che Renzi si presenti alle elezioni con il programma delle larghe intese (le quali non nascono nelle maglie della legge elettorale, ma sul terreno delle politiche economiche e sociali condivise da centro-destra e Pd in questi ultimi anni).
Due ultime raccomandazioni, sulle quali Giuliano Pisapia ha completamente ragione. Deve essere chiaro che siamo indisponibili a riprodurre una sommatoria dei piccoli partiti della sinistra radicale, il tavolo delle sigle e delle micro-sigle. Sarebbe politicismo anacronistico e trasmetterebbe un’ansia da sbarramento davvero insopportabile.
Infine, dobbiamo tentare di evocare anche per questa esperienza quel modello di sinistra di governo, ragionevole, possibile e gentile, che ha caratterizzato la stagione arancione. Quando Giuliano invoca un tratto di stile, la gentilezza, la capacità pragmatica del buon governo, che è estraneo a tanta parte delle discussioni cui siamo stati abituati in questi anni, dice una cosa necessaria. Ricordo che Corbyn nel corso di una grande assemblea con centinaia di sindacalisti scozzesi riuniti a Glasgow un anno fa disse che il socialismo per lui era sì la società di liberi ed eguali da raggiungere ma era innanzitutto la capacità di avere cura uno dell’altro, tenersi per mano. Dentro una comunità politica quale quella che stiamo provando a costruire tenersi per mano è semplicemente essenziale.
Purtroppo, noi della Sinistra “inconcludente” non siamo capaci di capire la realtà.
Anche Pisapia, testa pensante, anzichè proporre “cosa fare e come” perde temo a dire “con chi”
Non si va da nessuna parte, compagni.
Una sinistra, che voglia ricostruirsi e ricostruire, deve proporre cosa fare ed il percorso per farlo : strategia e tattica, come dicevamo una volta noi vecchi marxisti (ormai ho paura che siamo in velocissima estinzione).
Quali sono le cose che interessano le classi che vorremmo rappresentare: lavoratori, disoccupati, pensionati, malati, gente ai margini? Secondo me : L’ECONOMIA più dello ius soli : la gente ha problemi di povertà e di futuro per i propri figli, LA SICUREZZA, più che i diritti civili : la gente ha più paura del ladruncolo che gli entra in casa che del farabutto potente che corrompe e rovina la società intera. La Sinistra, per rientrare in sintonia col suo popolo deve fare proposte su questo : intervento dello Stato in Economia, creazione di lavoro buono e stabile, lotta VERA all’evasione fiscale col cui ricavato (120 – 180 miliardi di euro/anno) finanziare iniziative economiche che portino alla piena occupazione, leggi severissime sulla corruzione (60 miliardi di euro/anno), velocizzazione dei processi, abolizione della prescrizione, ricorsi solo in casi eccezionali alla Corte di Cassazione che sono, come ora, la scappatoia per ricchi e potenti in attesa della prescrizione, ma a cui chi non ha soldi non può accedere rendendo, di fatto, la Legge Non Uguale Per Tutti. Perciò invece di pensare a chi coinvolgere, bisogna essere d’accordo su cosa (poco) e come farlo (senza ammazzare nessuno). Su questo costruire una nuova formazione politica che possa allearsi con chi ci sta.
Gli operai francesi votano al 38% la Le Pen. Dobbiamo rassegnarci ad una classe operaia fascista?
I socialdemocratici di tutta Europa hanno scelto il liberismo e la globalizzazione economica a scapito del welfare, del salario e dei diritti. Il risultato è che se non abbiamo un’idea su come sottrarre il cervello del popolo alla sifilide razzista dei Salvini, ci ritroveremo coi campi di concentramento per gli zingari, con l’approvazione della maggioranza dei cittadini. Difficilmente chi ha la pancia piena, e buone prospettive per il futuro, si fa convincere dai vari Salvini che i suoi guai non sono dovuti al Capitalismo trionfante, ma a siriani e negretti che scappano dalla morte per fame e guerra.
Siamo capaci di organizzarci su poche e semplici cose o continueremo a litigare nel nostro piccolo cortile : Renzi si o Renzi no ? Facciamo le primarie di coalizione o di partito? Andiamo sulla Luna o su Marte ?
Fare politica non è andare alle olimpiadi : non si gioca per partecipare, si partecipa per cambiare la Società.
Francamente concordo col sig. Cortignani. Il fatto di Pisapia calato da non si sa bene dove, ma che è parso subito un rastrello di voti a sinistra per renzi tranne poi correggere un po’ il tiro rende tutta questa situazione altamente ambigua. tempo fa si parlava di una costituente di sinistra che doveva nascere a roma “dal basso” e poi si è dissolta nel nulla. ora invece sembra di vedere un’operazione sostanzialmente postparlamentare più che ulivista e questo lascia perplessi. se questi frammenti di pd (tranne Bersani che merita un discorso a parte) rappresentano la punta di un grande iceberg radicato nella società civile e nel mondo del lavoro con un solido programma red and green senza se nè ma (e chissene del pd) , allora si può discutere. ma fin qui non c’è chiarezza…