intervento all’Assemblea nazionale di Essere Comunisti – 7 settembre 2013
Permettetemi di dire che questa assemblea, questa sala piena, ripaga di tante delusioni, di tante amarezze, di tanti momenti difficili passati in questi mesi e in questi anni dentro Rifondazione Comunista.
Mesi e anni in cui ci hanno raccontato che la colpa di tutto era il correntismo, le posizioni organizzate, le aree politico-culturali. Ma si diceva correntismo e si pensava solo e soltanto ad Essere Comunisti. L’assillo costante, il rovello, l’ossessione di una parte del gruppo dirigente eravamo noi. Lo siamo tuttora. Si è arrivati a dire che la colpa del fallimento della Federazione della Sinistra prima e di Rivoluzione civile poi in fondo era nostra, e che senza di noi si sarebbe stati liberi di fare scelte più radicali, senza freni e ambiguità. Ve lo ricordate? Il mantra del “piombo nelle ali”, sempre quello.
Sì, è vero: noi siamo piombo perché abbiamo un pensiero forte, una cultura politica pesante, che ci unisce e che ci consente di rimanere uniti, per scelta di fondo e non per convenienza o contingenza. Abbiamo un pensiero forte, una cultura politica; non siamo una cordata di interessi particolari.
Siamo qui, in campo, pronti ad affrontare il congresso.
Ma dobbiamo sapere che sarà un congresso ricco di insidie. La prima non proviene dalla commissione politica, ma dalle commissioni regolamento e Statuto. Impedire la rappresentanza proporzionale degli emendamenti nelle platee congressuali e nei nuovi organismi dirigenti significa imporre un modello di partito iper-maggioritario, autoritario. Significa imporre un cesarismo senza Cesare, un autoritarismo senza autorevolezza.
Questa è la premessa che è bene chiarire, con serenità e fermezza: non siamo disponibili ad accettare che si giochi una partita in cui corriamo per 90 minuti, segniamo, stiamo per vincere e poi la vittoria viene assegnata a tavolino all’altra squadra. Sarebbe una violazione delle regole democratiche semplicemente inaccettabile.
Ma cosa diremo in questa partita?
Tre cose semplicissime.
La prima riguarda la collocazione politica internazionale dei comunisti, che non può essere più affidata a comunicati stampa che sembrano spesso poco più che uno sfogo. Serve una mobilitazione vera, qui ed ora, contro l’ennesima guerra imperialista che si prepara e – dato che torna di moda la disobbedienza – diciamo disobbedienza alle basi Nato, alla rapina di territorio e sovranità, sapendo che se la guerra partirà le basi italiani saranno utilizzate e allora i ministri del governo Letta-Berlusconi al posto che digiunare ipocritamente dovranno essere spinti da una vasta mobilitazione a prendere posizione formale e concreta contro questa guerra. Ma la collocazione internazionale significa anche l’Europa. Lo hanno detto in molti e quindi non mi dilungo: la nostra collocazione è dentro la Sinistra Europea, per un grande progetto di Europa progressista, che rompa con i trattati e le politiche dell’austerità. Non è, non può essere, il rinculo nazionalista, il ritorno alle piccole patrie e alla lira. Dalla crisi si esce insieme, non con un ritorno al passato.
La seconda cosa è ancora più semplice: bisogna battere il minoritarismo autistico che ci fa dialogare soltanto con noi stessi e che più ci vede nell’angolo e più ci fa abbaiare alla luna. Battere il minoritarismo significa mettere Rifondazione Comunista al servizio di un processo costituente di uno spazio politico nuovo della sinistra, tutto da costruire, che occupi un campo che oggi è quasi deserto, abbandonato. Unità con il Pdci, perché è folle e inconcepibile rimanere divisi. Unità con Sel, con ciò che si muove intorno alla Fiom e al suo segretario Landini proprio in queste ore. Unità con il nostro popolo, con i movimenti reali, con le lotte di chi non si arrende e mantiene un contatto con la realtà, con la società, con i suoi corpi intermedi.
Questo vuol dire sciogliere? Vuol dire liquidare? No, cari compagni: noi siamo comunisti. E proprio perché siamo comunisti scegliamo di prendere in mano le nostre bandiere e di provare a piantarle nella società, per cambiare le cose, incidere, con una ambizione egemonica di trasformazione. I riflessi condizionati della pura testimonianza non ci interessano, non ci appartengono. Siamo comunisti e vogliamo cambiare la realtà, qui ed ora, e non abbiamo paura di parlare di potere, di governo, di blocco sociale, di alleanze, di cambiamento.
Ma per farlo – ed è questa l’ultima cosa che voglio dire – non è pensabile continuare con questo Segretario, con questo gruppo dirigente. Lo voglio dire chiaramente: non si può mettere nelle mani di chi ha fallito sistematicamente ogni appuntamento politico ed elettorale negli ultimi cinque anni le chiavi del nostro futuro. E men che meno di chi, una intera classe dirigente, aveva in mano il più grande partito comunista dell’Occidente e ci ha consegnato in vent’anni questa miseria.
Non è rottamazione, è buon senso.
Non è una lotta di qualcuno contro qualcun altro, ma un cambio di passo che dobbiamo fare tutti insieme, per il bene del partito e della sinistra italiana.
Vedendo questa sala, questo gruppo dirigente, sono ancora più fiducioso di ieri. So che possiamo farcela.
Del resto non è difficile. Machiavelli – ricorre proprio quest’anno il cinquecentesimo anniversario del Principe – ci insegna che bisogna guardare l’alto delle istituzioni e delle forme del potere dal basso e il basso della società e delle sue contraddizioni dall’alto. Questo incontro di sguardi è la politica.
Che intuizione meravigliosa!
Qualcosa mi dice, l’assemblea di oggi innanzitutto, che la politica non solo ci appassiona, ma siamo anche in grado di farla.
6.L’idea secondo cui l’unità dei comunisti in solo partito, e segnatamente la riunificazione tra PRC (oggi circa 30-35.000 iscritti) e PdCI (oggi circa 25.000 iscritti) si dovrebbe realizzare con l’annesione del secondo al primo è una stupidaggine impolitica e propagandistica che non merita neppure di essere discussa: e infatti, salvo pochi elementi privi di buon senso e di pudore, nessuna la discute e la propone, neanche nel PRC. Non si capisce perchè l’uno dovrebbe rientrare nell’altro, e non si debba invece organizzare – semmai – un congresso unitario costituente, con pari dignità, di un nuovo partito comunista, aperto anche ai comunisti senza tessera (il processo unitario non è riducibile ai soli PRC e PdCI). Questa è la nostra proposta, oggi. E questo è, peraltro, il motivo principale per cui mi sono iscritto a questo partito, e ho preso la tessera del 2011 che indica una strategia (Ricostruire il partito comunista, unire la sinistra), e insieme a Oliviero Diliberto e Vladimiro Giacchè ci abbiamo scritto un libro. Non è un prendere o lasciare: è un processo aperto che nel congresso di Rimini di vede solo una tappa.
Il Pdci non aveva 25.000 iscritti anni fa! I dati del 2011 lo danno a 20.164 iscritti:
http://www.comunisti-italiani.it/upload/dl/Dipartimento_Organizzazione/tesseramento_dati_2011.jpg
Il 2012 non è nemmeno disponibile.
Per non morire di tattica
Sabato 28 Settembre a Roma Assemblea Nazionale di «Comincia Adesso»
http://www.cominciadesso.it
Uno storico che, in un futuro non troppo lontano, si trovasse ad esaminare e ad interpretare le vicende politiche del nostro paese tra il 2008 e il 2013 il primo aspetto che, probabilmente, noterebbe è la velocità del cambiamento. Sul terreno delle relazioni internazionali alle recenti guerre imperialiste in Iraq, Afghanistan e Libia si somma oggi l’aggressione ai danni della Siria: uno straordinario sommovimento scuote alle fondamenta il fragile ordine venutosi a creare dopo l’89, nei paesi capitalistici, a tutte le latitudini, forti tensioni sociali segnano la vita politica interna. Contestualmente, in poche settimane o mesi, si sono definiti, o si vanno definendo, processi politici in incubazione da decenni, nell’area euro-occidentale recano il marchio della reazione: meno diritti per i lavoratori, meno tutele sociali, meno democrazia rappresentativa, un’accentuata sperequazione della ricchezza interna. La più grave crisi economica del modo di produzione capitalistico, dal secondo dopoguerra, segna indelebilmente questa complessa fase storica. Altrettanto peculiare è un secondo aspetto: la diffusa inconsapevolezza, nel nostro paese in primis, delle dimensioni di questo cambiamento. Dalla culla fino alla tomba la vita delle persone è destinata a mutare profondamente: un peggioramento cui, tuttavia, non è corrisposta, né corrisponde, una presa di coscienza diffusa né tantomeno una mobilitazione politico-sociale.
La ripresa del conflitto sociale in Italia e, quindi, la lotta contro le politiche d’austerity della BCE e del governo Letta costituiscono il primo punto all’ordine del giorno per i comunisti e la sinistra. Un’ampia convergenza di intenti può in questo senso rilevarsi nella discussione generale: il nodo, come è intuibile, riguarda quindi le modalità di azione e i termini di questo processo. Semplificando potrebbe dirsi: chi guarda a destra considera con attenzione il cosiddetto «travaglio» di una parte del gruppo dirigente del Pd e di alcuni settori sociali di riferimento, auspicando la nascita di un «campo del cambiamento» e di uno «spazio pubblico di discussione» secondo la proposta avanzata da Giulio Marcon e Giorgio Airaudo di Sel; chi guarda a sinistra invoca, invece, l’avvio di «un processo democratico chiaro nel suo indirizzo politico», fuori e contro il Pd, sotto l’egida di alcune “personalità” «garanti» secondo la proposta di Marco Revelli. Le due proposte, nella loro diversità, pongono in evidenza alcune questioni importanti.
La prospettiva. La discussione a sinistra, nonostante l’ennesima clamorosa batosta elettorale, verte esclusivamente sul presente: l’orizzonte politico cui si fa costantemente riferimento è sempre, immancabilmente, il presente stesso. Simmetricamente viene rimosso ogni esame e discussione della profondissima crisi in cui si dibatte il movimento comunista e la sinistra. Né passato, né futuro.
Un clima emergenziale permanente. Affinché passato e futuro non siano oggetto di dibattito si perpetua uno stato emotivo di allarme: dal 2008 siamo immersi in una dimensione epica. In quanto tale amici e nemici, come nei brutti sogni, appena stanno per essere afferrati svaniscono. A ciò si accompagna un sensazionalismo apocalittico ormai non più credibile: «sappiamo da dove viene il pericolo», «questa volta ci giochiamo molto, forse tutto».
La classe, le classi. Entrambe le proposte, in ragione probabilmente dell’«emergenza», si affidano ad un indistinto e generico luogo di aggregazione della sinistra. A sinistra come a destra non si individua né oggettivamente né soggettivamente l’attore del cambiamento: il rischio, ancora una volta, è quello di costruire alleanze elettorali che non sono espressione di alleanze sociali: ad essere rimosso sarebbe il tema del «blocco storico».
Movimento e soggettività. Poco chiaro, in particolare sul versante sinistro del dibattito, è il ruolo del Partito e la sua relazione col «movimento». La sovrapposizione dei due elementi, prescindendo da una sintesi soggettiva, rischia di condannare le mobilitazioni esistenti alla marginalità da una parte o alla subalternità dall’altra.
Col manifesto «Comunisti e Fronte della Sinistra» abbiamo cercato di gettare le basi per un confronto politico di più ampio respiro. Un percorso che non vuole, quindi, essere finalizzato ad una tornata elettorale quanto alla paziente costruzione di un nuovo progetto e di un nuovo soggetto politico, a partire dall’auto-superamento delle due principali organizzazioni comuniste: Prc e PdCI. Nella chiarezza del profilo strategico si può quindi discutere dei percorsi politici e sociali cui contribuire, e quindi affrontare lo spinoso tema elettorale: non viceversa. La discussione che si sta producendo sembra invece contraddistinguersi per il consueto iper-tatticismo, prodromico del peggiore codismo.
1) Si può rendere percepibile la prospettiva del «campo del cambiamento» se in Europa si sta col PSE guerrafondaio di Hollande, garante della “gabbia” europea, e in Italia si fa un’opposizione di maniera garantendo un futuro sostegno a Renzi?
2) Possono le due principali organizzazioni della sinistra di classe italiana limitarsi a rincorrere le rispettabilissime proposte avanzate dagli altri soggetti?
3) Per costruire «un processo democratico chiaro nel suo indirizzo politico» ci si può risolvere nell’a-democrazia della delega a presunti «garanti», illuminati da chi e che cosa, senza definire basilari elementi di strategia?
Avanzare queste perplessità non significa non voler parlare con la base di massa e anche militante del fu centro-sinistra e della sinistra diffusa: il problema è come farlo. In primo luogo definendo un’opzione alternativa credibile, un profilo politico ed, infine, una propria proposta rivolta all’intera sinistra. Un Fronte i cui principali obiettivi siano: allargare il più possibile, su temi definiti l’opposizione, e riaprire un percorso di reinsediamento politico organizzativo dei comunisti quale motore del cambiamento. Non quindi alchimie politiciste in vista delle Europee quanto un progetto politico. Sul terreno elettorale poi, nella chiarezza, si verifica il da farsi in base ai percorsi politici e sociali che si sono fatti. Viceversa si perde sempre anche sul piano elettorale: ad essere nitidamente percepita è la strumentalità di siffatti percorsi, ormai non ci casca più nessuno.
L’assemblea di «Comincia Adesso» del 28 settembre a Roma rivendica, dunque, l’urgenza di questa discussione. Un’urgenza diffusa all’interno del corpo attivo dei due partiti comunisti ed in modo particolare tra i giovani. L’assise congressuale del PdCI ha visto, non a caso, coagularsi un’importante consenso attorno agli emendamenti presentati: in modo particolare tra i giovani. Si è scelto però di rifiutare una sintesi politica più avanzata con gli emendamenti proposti, permangono quindi alcune ambiguità, cui si accompagna la sensazione di non voler convintamente rinnovare modalità e pratiche dell’agire politico di questo Partito. Lo scioglimento d’imperio della FGCI, ventilato in luglio a Chianciano, costituirebbe, in questo senso, un gravissimo vulnus. Per parte nostra riteniamo indispensabile che la FGCI, al pari del Partito, debba mettersi a disposizione, senza ambiguità, di un processo di auto-superamento, congiunto ai Giovani Comunisti e al Prc, per la costruzione di una nuova, ed unitaria, organizzazione comunista.
Carlo Alberto Ciaralli – Coordinatore FGCI Abruzzo
Nicola Fabrizio – Coordinatore FGCI Emilia Romagna
Giulia Loche – Esecutivo Nazionale FGCI
Sara Milazzo – Esecutivo Nazionale FGCI
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Riusciremo mai a fare un congresso sul merito e non sul tifo da stadio? 🙂
ottimo
Un altro punto di vista
10 settembre 2013 alle ore 19.41
Il clima da congresso è cominciato, e anche questa volta ha tutti i tratti della convention democratica piuttosto che della dialettica tra comunisti.
In particolare è notevole l’ultimo articolo del Portavoce nazionale pro tempore dei Giovani Comunisti Simone Oggionni, intitolato “Comincia il congresso: o si cambia o si muore” che è la trascrizione dell’intervento dell’autore ad un’assemblea dalla corrente “Essere Comunisti”.
Nell’articolo vengono esplicitati almeno tre elementi riguardo la linea politica di questa corrente, al momento la seconda per peso burocratico e politico interno: 1) il primo è il concetto di “popolo della sinistra”; 2) il secondo è un attacco frontale all’attuale dirigenza ferreriana; 3) il terzo è un abbozzo di proposta politica imperniata su tre parole d’ordine A) della Sinistra Europea, B) della Costituente della Sinistra e C) del ricambio della dirigenza.
Non mi trovo d’accordo né sul tipo di analisi, né sul giudizio dell’operato del Segretario Ferrero, né sulle proposte.
1) L’analisi svolta nell’articolo in questione infatti rappresenta ancora una volta una cultura politica di tipo elettoralistico. È impensabile, infatti, parlare di “popolo della sinistra” quando è dimostrato dalla storia recente (se non bastasse la teoria!) che esso è scomparso gradualmente fino a ridursi ad una piccola e sconnessa comunità in via di estinzione, che perlopiù gravita attorno a Rifondazione Comunista. Un’accezione di “sinistra” come quella si fonda su due elementi che oggi, in Italia, o non esistono oppure non è possibile definirli di sinistra; essi sono la presenza di un leader carismatico e di un pensiero politico diffuso a livello di massa. La ricerca del capo-popolo ci ha portato negli anni a grosse sbandate, che da Bertinotti ci hanno portato a Ingroia, e che oggi si vorrebbe destinare al duo Landini-Rodotà: evidentemente ogni ricerca di un portavoce carismatico non può che fare i conti con i personaggi appositamente costruiti dai media borghesi, per quanto progressisti possano essere, e dunque in balia delle esigenze tattiche di un’area politica certamente non di sinistra! (Il caso Ingroia ci insegna anche questo, cioè che il centro-sinistra costruisce e distrugge personaggi mediatici in base alle proprie esclusive necessità.)
Del resto anche un pensiero di sinistra diffuso oggi è più che mai parcellizzato, de-ideologizzato, egemonizzato a larghi tratti dal pensiero unico dominante, trasversale alle classi e incapace di produrre sintesi organiche: anche di questo fatto la storia recente deve essere più impressionante della teoria, e mi riferisco ad esempio alla totale scomparsa del cosiddetto “popolo della pace”, che andava ben oltre i confini della sinistra e che ad ora, tuttavia, è stato incapace di affrontare ben due progetti interventisti, in Libia e in Siria. E dunque anche sul piano delle idee, un popolo della sinistra non esiste più, o tuttalpiù deve essere identificato con maggiore compiutezza nel centro-sinistra e non nel campo della sinistra anticapitalista e rivoluzionaria.
Se non è possibile analizzare la conformazione sociale e politica dell’Italia nella crisi organica del capitale secondo il mantra “popolo della sinistra”, è però vero, se siamo marxisti, che deve essere possibile farlo dal punto di vista della composizione e conformazione di classe.
Occorre infatti reindividuare e ritracciare una via italiana al socialismo a partire dalla lotta di classe attuale, dai luoghi fisici e materiali del conflitto, dalle fabbriche e dalle periferie metropolitane in primis, dai milioni di operai e di lavoratori subordinati, dai precari e dai lavoratori immigrati che ogni giorno, consapevolmente o inconsapevolmente, mettono in discussione l’esistenza stessa del capitalismo attraverso lotte ti tipo sindacale o prassi di tipo mutualistico. Questa lotta di classe proletaria è oggi in Italia frammentata, perlopiù autorganizzata, priva di una direzione politica nazionale e organica e incapace di assumere su di sé l’onere della presa del potere. Essa non ha un’identità politica autonoma, ma ha precisi confini sociali e necessita di precise parole d’ordine radicali, di obiettivi reali e di una proposta teorica e pratica del tutto alternativa allo stato di cose presenti: tutto ciò non può essere fornito né da Landini, Rodotà o Cremaschi, né tantomeno da vuoti e asettici contenitori elettorali “di sinistra”.
Bisogna prendere atto che manca, nei fatti, l’azione teorica e organizzativa di un Partito Comunista di fatto, e non solo di nome, e che è questo il perno politico da cui deve discendere ogni altra deduzione.
2) Ecco perché non si può ritenere il compagno Ferrero unico responsabile della crisi devastante dei comunisti e della sinistra. Intanto si deve riconoscere a Ferrero, e alla sua cultura politica, di essersi sempre posto in alternativa al travolgimento egemonizzante del centro-sinistra, cioè di aver sempre riconosciuto l’esistenza reale di uno spazio politico oltre e contro il vortice ingombrante e vorace del Partito Democratico.
Le responsabilità di Ferrero sono quindi le stesse di tutti gli altri maggiori dirigenti comunisti; tutti hanno ritenuto di poter individuare nella società una richiesta corale di presenza della sinistra in Parlamento, e a discendere da ciò hanno tentato, ognun per sé, di ritagliarsi uno spiraglio di eleggibilità attraverso le tattiche più disparate, interne ed esterne alle organizzazioni.
A partire dal presupposto che la lotta andasse rappresentata e non organizzata e che le istituzioni potessero divenire lo spazio per eccellenza di sopravvivenza dei comunisti, sono stati partoriti cartelli elettorali pattizi, incapaci di sviluppare la minima convergenza politica, assolutamente centralizzati e del tutto autoreferenziali, che hanno conseguito l’unico risultato di acuire le divergenze esistenti tra i vari soggetti politici della sinistra e, di converso, di deludere e disilludere tanti militanti che con sincerità hanno adottato la parola d’ordine dell’unità della sinistra.
Tanto Ferrero quanto Grassi e gli altri, hanno rinunciato alla Rifondazione Comunista in nome di una crociata che riportasse la sinistra nelle istituzioni. Oggi siamo esclusi dalle istituzioni, espulsi dal nostro stesso corpo elettorale e militante, e il bisogno di una Rifondazione Comunista è sempre più urgente.
In un contesto del genere le complicità del gruppo dirigente sono collegiali e la responsabilità unanime, ed è dunque ancor più stucchevole, o forse indecoroso, assistere a scaramucce congressuali volte da entrambi i lati ad ingessare il dibattito, cercando soluzioni burocratiche e formali per tentare di “pesare” le correnti negandone al contempo l’esistenza, pronunciandosi in nome della base e dei territori con il vero scopo di eterodirigere la dialettica interna: il tutto per normalizzare e incanalare l’evidente scontento della base non tanto verso il consenso a due linee politiche, quanto a due persone: Claudio Grassi e Paolo Ferrero.
Tanto l’uno quanto l’altro si accorgeranno che la Storia e la lotta di classe fanno volentieri a meno di miseri e inutili comitati personalistici e che non è un Congresso, come non è una tornata elettorale, a sancire la sopravvivenza o l’esistenza di un gruppo politico, che senza saldezza teorica e organizzativa può sgretolarsi alla prima difficoltà.
3) Ed è proprio la mancanza di solidità ideologica e pratica a caratterizzare la linea politica che si evince dall’intervento del compagno Oggionni. In effetti, la proposta di Essere Comunisti si snoda su tre deboli indirizzi, non nuovi, ma che nel periodo delle nozze napoletane – dal Congresso del 2012 alle elezioni di quest’anno – non potevano essere esplicitati; come dicevamo, sono i temi della Sinistra Europea, della Costituente della Sinistra e del ricambio della dirigenza.
A) In effetti la crisi economica e finanziaria ha posto Rifondazione di fronte alle sue profonde lacune rispetto alle politiche europee e alla mancanza sia di analisi dei processi di unificazione monetaria e politica, sia di proposta mobilitativa contro la perdita di sovranità nazionale e le politiche neoliberiste europee. Il PRC ha provveduto ammettendo il proprio peccato di ingenuità e, nel generale clima di de-leninizzazione del Partito, costruendo una linea politica basata sulle dichiarazioni del Segretario, costruite attorno alla parola d’ordine ”l’Europa dei popoli contro l’Europa delle banche”. Il Partito non ha né coinvolto intellettuali ed economisti marxisti nella elaborazione di un’analisi compiuta, né consapevolizzato tutto il corpo militante circa il dibattito in corso, e di fronte alla messa in discussione dell’Unione Europea e dell’Euro non ha saputo né potuto esprimere posizioni forti e inequivocabili: siamo contro l’Unione Europea? Siamo contro l’Euro? Se sì, quale realtà opponiamo?
Mentre rivendica l’appartenenza alla Sinistra Europea, l’articolo in oggetto non sa riconoscere che le posizioni interne alla stessa sono diversificate, che vi sono importanti Partiti Comunisti di Paesi UE esterni alla Sinistra Europea e che non è possibile, come invece Oggionni fa incautamente, accostare la Sinistra Europea ad un “progetto di Europa progressista”. L’intervento sembra riecheggiare i continui appelli ferreriani del tipo “bisogna fare la Linke/la Syriza/il FdG/l’IU italiane”, ma con una retorica più sottile, che parla di casa europea contro i rinculi nazionalistici.
La Sinistra Europea, però, non rappresenta un appiglio sicuro per la crisi della sinistra italiana, in primo luogo perché è essa stessa colta da lacerazioni politiche e crisi d’identità che noi subiamo passivamente e da cui difficilmente potremmo ricavarne una qualche forza, in secondo luogo perché fintanto che Rifondazione non si doterà di conoscenze adeguate circa la natura di classe delle dinamiche europee, sarà del tutto inefficace ogni utopistico tentativo di seguire qualsivoglia eventuale vento di cambiamento europeo (che a detta di qualcuno persino Hollande poteva rappresentare).
La casa dei comunisti italiani è il movimento comunista internazionale in tutte le sue forme, senza distinzioni continentali (l’Italia è per antonomasia ponte tra Europa, Africa e Medio Oriente), e, che ci piaccia o meno, la nostra prassi quotidiana si svolge nella nostra comunità nazionale, cioè tra le classi lavoratrici che, banalmente, parlano italiano, che subiscono l’oppressione e lo sfruttamento del grande capitale in Italia e che sono educate nel sistema di valori sovrastrutturali della cultura tradizionale italiana. Tanto più ora che il nostro Paese vive un vasto fenomeno di deindustrializzazione e di colonizzazione franco-tedesca noi dobbiamo essere contro l’Unione Europea e contro l’Euro, per la sovranità popolare, il riscatto nazionale, la solidarietà internazionale e la sovranità monetaria: contro l’Europa delle banche, l’internazionale dei lavoratori. (E del resto solo così è possibile anche formulare un’analisi compiuta dei fenomeni interimperialistici odierni e prendere attivamente parte contro l’imperialismo nostrano.)
B) Il riconoscimento dell’alveo della Sinistra Europea come panacea ai mali del PRC cozza brutalmente con il secondo paradigma grassiano: la Costituente della Sinistra. Questo progetto è il solito di sempre, dall’Arcobaleno alla Lista Anticapitalista, dalla FdS alla Rivoluzione Civile, dal Partito del Lavoro a [email protected], ogni volta declinato in veste tattica differente, ma sempre gravato alla nascita da forti tensioni interne e da una tenace pulsione elettoralistica.
L’unità della sinistra in salsa “costituente della sinistra” unisce dal PdCI a SEL, dunque nella migliore delle ipotesi non fa i conti con il fatto che entrambi i due partiti si nutrono spesso e volentieri alla mangiatoia del PD, che SEL sia addirittura interna al Partito Socialista Europeo e che nel PdCI gli elementi più avanzati sono stati messi ancora una volta in minoranza. Inoltre, si ripropone l’unità coi movimenti e la società civile, che, come è noto, non è ancora stata tentata ed è foriera di masse rivoluzionarie al momento inspiegabilmente sopite. Infine, questa unità, da una parte non metterebbe in discussione l’esistenza di Rifondazione, dall’altro però darebbe origine ad un soggetto inedito e nuovo. (E ci dicevano che Ferrero è schizofrenico?)
L’unità della sinistra senza un Partito Comunista, lo dimostra anche la storia recente, è impossibile e impensabile, e nasconde in verità o un tentativo disperato di salvaguardare le burocrazie attraverso patti e sommatorie, oppure la precisa volontà politica di costruire una massa critica in vista di un confronto con forze più grandi, ad esempio nelle prossime primarie del centro-sinistra. E in quest’ottica viene ridicolizzata anche la parola d’ordine dell’”unità dei comunisti”, derubricata a mera faccenda di etichette, simboli e nomi, e sorpassando indecentemente a piè pari ogni questione di ordine ideologico e strategico, dimenticandosi sia che esistono tutt’ora in Italia migliaia di comunisti esterni a PRC e PdCI, tutti da richiamare, sia che è irrealistico proclamare fusioni a freddo senza indicare quanto meno percorsi di unità nella lotta quotidiana e di unificazione nella dialettica e nella sintesi teorica.
Rifondazione, i cui odierni limiti sono macroscopici, deve riadottare una prassi e un’analisi comuniste, fondate sull’aggiornamento del marxismo e del leninismo nel solco di una via italiana al socialismo del XXI secolo. Solo un PRC forte ed autorevole, organizzato e intellettualmente preparato, può e deve efficacemente contribuire all’unità dei comunisti e alla costruzione di una sinistra di massa.
C) Per ultimo, mentre si riconosce il fallimento complessivo e collettivo della dirigenza del PRC degli ultimi anni, si lancia l’offensiva di una sua parte importante per l’occupazione totale della dirigenza. Il tutto nella contiguità politica che abbiamo denunciato fin qui.
Essere Comunisti, nei fatti, dichiara che o le si darà la possibilità di fare una scalata al vertice, oppure continuerà la sua esistenza probabilmente nella Costituente di Landini e Rodotà. Una dichiarazione che è speculare, lo riconosciamo, all’intenzione di Ferrero di pilotare il Congresso verso la sua riconferma alla Segreteria, scontentando persino quanti dei suoi stanno da mesi costruendo il traghettamento del PRC in [email protected] Posizioni, queste, che rischiano di esplodere da un momento all’altro e che solo un analfabeta politico non sa intravedere dietro il velo del “documento unitario”. È allora doveroso smentire ogni ipocrisia, e affermare che questo è un Congresso per la conta interna o, meglio, per la resa dei conti.
Ma i problemi del PRC non si risolvono solo con la rimozione totale della dirigenza, bensì con la costruzione di una dirigenza nuova all’altezza dei tempi, formata ideologicamente e avvezza alle pratiche di lotta. Al PRC non occorrono false dichiarazioni d’amore, ma uno stravolgimento interno che ristrutturi il Partito secondo le possibilità economiche, le esigenze concrete, la reale conformazione del tessuto economico e sociale e le linee di indirizzo politiche e di radicamento.
Il Congresso deve poter rinnovare ogni gruppo dirigente, nazionale e intermedio, riconoscendo le responsabilità politiche e personali di chi gestisce il Partito da anni, se non dalla sua fondazione, ma non senza rinnovare l’organizzazione interna, il patrimonio teorico e la linea politica. Un Congresso che serva a soppesare Ferrero e Grassi, in vista di un loro ricollocamento burocratico, è inutile, se non dannoso, per lo sviluppo della coscienza di classe in questo Paese e illuderà ancora una volta parte della base in nome di una unità infondata e pronta a sfaldarsi.
A tutto ciò occorre opporsi a tutto campo e con ogni sforzo, per evitare la smobilitazione definitiva dei comunisti e l’affossamento della Rifondazione Comunista, senza la quale è impossibile il riscatto dei comunisti in Italia, la ricostruzione di una sinistra di classe e lo sviluppo di una coscienza rivoluzionaria di massa.
Marco NebuloniCoordinamento Nazionale Giovani Comunisti
Caro compagno,
non ti conosco, ma posso dirti che predicherai nel vuoto.
Io ho avuto la stessa posizioni per anni nella Federazione di Milano, ma alla fine
me ne sono dovuto andare. Ora sono nel Movimento 5 stelle. Naturalmente non
condivido quasi niente della loro ideologia (semmai ne avessero un barlume) però ci
sono giovani volenterosi che hanno voglia di fare e che avremmo dovuto avere con noi
se i dirigenti di questo partito non lo considerassero l’ultima sponda della loro
insognificante vita, perché in quella reale non avrebbero saputo combinare nulla.
Buttandomi nella lotta di un Movimento, mi sento profondamente comunista!
Stammi bene,
Bruno Tamburri
500 mi piace in un giorno… Ma non erano isolati quelli di Grassi e Oggionni?
“Vedendo questa sala, questo gruppo dirigente, sono ancora più fiducioso di ieri. So che possiamo farcela.”
Lo stesso gruppo dirigente che è stato in maggioranza fino a ieri con il Segretario, compreso l’autore del post, coordinatore GC.
Più che rottamazione mi sembra riciclo.
Bravissimo, questa è l’unica possibilità per Rifondazione, ascoltate un po’ la base ogni tanto
Mi pare di leggere cose di grande buon senso e di ottima cultura politica, caro
Oggionni. Continua così, fino in fondo.
Un abbraccio.
Il primo annuncio di cambiamemto e di non minoritarismo sarebbe che si dicesse sempre che siamo comunisti e comuniste, e che rifacciamo, prima di tutto, l’analisi di che cosa è oggi il proletariato nel mondo., siamo noi donne, in una democrazia che perciò non si può chiamare rappresentativa, non diciamo socialista e per carità non parliamo di comunismo. manca questo riconoscimento della realtà, il che taglia fuori del discorso più di metà della specie umana: di che cosa si vuol parlare? Non se ne può più lidia
Ma non se ne può più di che cosa? Non capisco se il problema è che manca in un intervento per il congresso la citazione della questione di genere (?) oppure il problema è che non si dice che si è comunisti. Oltre al fatto che l’ho detto e ripetuto, il problema mi pare essere quello di “come” si è comunisti, dato che la semplice professione di fede non ha mai portato da nessuna parte.
Simone Oggionni
come? Mai sentito parlare di materialismo storico etc etc? 🙂
Si bisogna cambiare il gruppo dirigente,tra questi vi è anche Oggionni che è anni che fa dei grandi interventi,ma e figlio insieme a Grassi dello sfacelo in cui hanno fatto finire questo partito,fatevi da parte e largo a i giovani, veramente!!!!!!
Ma più giovane di Oggionni chi c’è? Topo Gigio? Se dici via Oggionni dici via ad un gruppo di giovani comunisti presente in tutta Italia e con grandi prospettive, poi fai te
Scusate, ma quando si dice “comincia il congresso”, parlate di qualche data certa?
Oggionni, essendo organizzatore dei GC, ci farà una relazione sul lavoro svolto fin’ora, sulle iniziative e sui risultati ottenuti? Questa sarebbe sì una rivoluzione, un cambiamento nelle cose. Ogni dirigente o persona con incarico, dovrebbe render conto ai compagni del lavoro svolto.
P.S. perché i commenti sono in moderazione?
magari lo farà come sempre ha fatto alla conferenza dell’organizzazione giovanile
sai cos’è l’autonomia dei Gc?
juri bocciato
Sì, Yurj, in effetti esiste l’autonomia politico-organizzativa dei Giovani Comunisti, quindi sarò felicissimo di svolgere la conferenza nazionale della giovanile e lì di verificare il consenso che abbiamo costruito in questi anni. Purtroppo il continuo ritardo di questo “straordinario congresso” ci ha obbligato a posticipare la nostra conferenza, ma non mancherà occasione.
ps: il congresso nazionale dovrebbe tenersi il primo week end di dicembre.
Grazie per le risposte, mettete in rete i materiali così possiamo leggerli.
i considerazione:
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L'”antifascismo” che alimenta il fascismo
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Giungono di continuo comunicati d’allerta da parte di associazioni che si dichiarano “antifasciste”, apparentemente preoccupate per le formazioni neofasciste che si fanno avanti un po’ ovunque.
Per intenderci cose così:
On 23/08/2013 at 10.20 Alessio Di Florio wrote:
>L’orda nera non deve dilagare! Basta con il neofascismo nelle nostre città
>
>Ass. Antimafie Rita Atria
>Ass. Culturale Peppino Impastato
Ma questa gente, che se la prende tanto col NEOFASCISMO, ha mai investito una sola parola per denunciare il FASCISMO TRADIZIONALE insito in un antidemocratico APPARATO FINTO-PUBBLICO che è rimasto pari pari (AUTORITARIO, GERARCHICO, ARMATO) così come ce lo lasciarono il duce ed i re? Come fanno costoro a stupirsi se poi, nella esclusione e ribellione che esso genera, vengono fuori dei fenomeni sociali che mai vorremmo vedere?
Come possono queste associazioni, che oltre a sentimenti d’antifascismo dovrebbero portare avanti un generale progresso, pensare che una società con una CENTRALITÀ FINTO-PUBBLICA, malfatta da ogni punto di vista, possa dare buoni frutti? Che senso ha prendersela con le SPINE se non fanno nulla per cavare il ROVO e piantare un MELO? Che senso ha prendervela coi mali sociali se non fate nulla per introdurre il PUBBLICO IMPIEGO a TEMPO DETERMINATO, così che le persone possano coinvolgersi e responsabilizzarsi tutte nel buon andamento della società?
Ma un ragionamento decente non lo fate mai voi “antifascisti” che non vedete manco una gigantesca organizzazione (con ben 3.000.000 e passa di membri!) la cui CONCEZIONE, STRUTTURA e METODI risalgono ad epoca fascista e perdurano questa in piena epoca democratica?! Avete mai controllato che tra di voi non vi siano degli appartenenti a questa decrepita organizzazione, dispotica, tirannica, i quali, compromessi da un evidente CONFLITTO d’INTERESSI, affossano le idee più all’avanguardia, democratiche e paritarie, egalitarie?
Vero è che il problema del mondo sta tutto in un ANTIFASCISMO incapace di riconoscere il FASCISMO nelle ISTITUZIONI e di darsi da fare per renderle DEMOCRATICHE. Ragioniamo un momento: i capitalisti, gli imperialisti, i neoliberisti NON vogliono introdurre il tempo determinato nel pubblico impiego perché sanno bene che, se noi cittadini potessimo partecipare concretamente gli incarichi tutti della Repubblica, per loro non vi sarebbe più alcuna possibilità per fare i loro comodi a nostre spese. E voi “antifascisti” (che sapete vedere il fascismo solo se accompagnato da MAZZE da BASEBALL ma non lo vedete affatto quando impugna la STILOGRAFICA), anche voi difendete, come loro, l’incarico finto-pubblico a vita, lasciando così la Terra ricolma di tiranni!
Basta. Questa vergogna non deve continuare. Le associazioni antifasciste smettano di combattere inutilmente il fascismo. Impegnatevi a vincerlo partendo dalla BASE: costruendo una CENTRALITÀ PUBBLICA DEMOCRATICA, aperta e partecipata da ogni persona dotata dei necessari requisiti e desiderosa di servire il popolo cui appartiene.
Danilo D’Antonio
PUBBLICO IMPIEGO DEMOCRATICO
http://www.hyperlinker.com/ars/
ottima analisi politica, è quello di cui avevamo bisogno. Grazie!
Ho letto il tuo intervento, Simo. Lo condivido. Penso che siamo al redde rationem. Bisogna rinnovare non solo il gruppo dirigente del Partito ma l’intero Partito anche nelle istanze di base.
Non è tanto una questione anagrafica, ma di partecipazione e di crescita culturale e politica al contempo delle compagne e dei compagni.
E’ un lavoro che va fatto, altrimenti quel che resta di Rifondazione Comunista non servirà nemmeno per rilanciare la Sinistra Italiana.
L’utilità di questo piccolo, generoso partito comunista esiste ed esisterà se sapremo farne patrimonio per il futuro.
Io sono un po’ più timido di Alberto nell’usare il termine “obsolescenza”, ma mi rendo conto che le questioni poste sono veritiere.
Chiudo con questa riflessione che, del resto, ho già proposto qui su Facebook e anche su EC e su la Sq: noi possiamo anche adoperarci con entusiasmo per un nuovo progetto a sinistra, ma se nel Paese non esiste “domanda” di sinistra, non esiste l’esigenza della sinistra, dei comunisti, come possiamo rendere fattivo il progetto anche innovativo e moderno che vogliamo costruire?
Questo interrogativo lo ritengo primigenio rispetto a tutto il resto.
Auguriamoci un buon congresso!
Per fortuna qualcuno si chiede se l’offerta corrisponde alla domanda… 🙂
e questo è di Luca Garau, un altro giovane compagno
Intervento all’Assemblea Nazionale di Essere Comunisti – Roma 7 settembre 2013
Compagne e compagni, io credo che questo congresso debba risolvere quel problema che correttamente il compagno Grassi ha citato nella sua relazione introduttiva: il problema della percezione. La percezione sia all’esterno che all’interno, ossia da un lato la percezione che la società italiana ha di Rifondazione Comunista e dall’altro la percezione che i militanti hanno del partito stesso, perché è evidente come ci sia, e in Sardegna questo è ancora più sentito, uno scollamento tra la base del partito e la sua classe dirigente.
Partendo dalla percezione esterna, credo che sia palese come l’attuale Rifondazione Comunista non sia considerata più utile e il suo attuale ruolo non sia più funzionale al raggiungimento dei fini per i quali essa è nata. E credo che, questa misera percezione, questa inutilità derivino da quella che qualche compagno ha definito “involuzione della cultura politica della classe dirigente di questo partito”. Un imbarbarimento culturale che ci ha portati in un baratro di settarismo dalla quale diventa sempre più difficile uscire. Un settarismo che non è nei confronti di Renzi, Letta, Camusso e dei dirigenti di partiti e sindacati, il quale sarebbe anche giustificabile, ma è un settarismo assai più pericoloso. Siamo diventati settari nei confronti dei lavoratori della CGIL, lo siamo diventati nei confronti di tutti i compagni che hanno perso la fiducia in rifondazione, lo siamo diventati nei confronti di tutte le italiane e gli italiani di sinistra che urlano il bisogno di una sinistra che sappia essere inclusiva, responsabile, organizzata e utile e che possa portare dentro le istituzioni le istanze delle classi subalterne.
Io credo che questo imbarbarimento culturale lo si ritrovi anche nell’attività politica quotidiana. Chiedo scusa per la brusca semplificazione, ma ultimamente in questo partito si produce tanta elaborazione dottrinaria mentre scarseggia il pragmatismo. Conosciamo perfettamente le posizioni congressuali dei partiti comunisti di mezzo mondo e non abbiamo una posizione nostra su questioni tangibili come il Patto di Stabilità o come la TARES, facciamo incetta di citazioni dotte e non sappiamo parlare alle lavoratrici e ai lavoratori italiani dei problemi della quotidianità.
Io penso che questo sia il nodo centrale che il congresso dovrà sciogliere se vogliamo che la nostra Rifondazione Comunista ritorni ad essere un soggetto protagonista nella scena politica italiana e un baluardo efficace nella difesa delle classi lavoratrici italiane.
E va risolto anche il problema di percezione interna, cioè la percezione che hanno i militanti. Torno a dire che in Sardegna la situazione è drammatica. Assistiamo non solo a fuoriuscite di singoli compagni delusi, ma addirittura di interi circoli, e anche circoli storici e largamente rappresentativi. E accanto all’emorragia del tesseramento c’è un’altra emorragia altrettanto grave che è quella della militanza, in quanto sono sempre di più coloro che per pura fedeltà, per pura vicinanza ideologica rinnovano la tessera, limitando a quest’unico gesto la loro militanza. E al netto di queste considerazione non mi sento di nascondere che in molti circoli sardi sarà difficile celebrare il congresso.
Per concludere, è necessario ormai un cambio di rotta globale, sia a livello di classe dirigente che a livello di pratica politica. Occorre che il partito sia presente nella società per poter tornare ad essere percepito come utile.
Quasi sempre mi trovo a condividere ( la quasi totalità di quello che scrivi ) … Si il quasi rappresenta l abbraccio con Vendola….ma in ogni caso….io voglio una sinistra degna di questo nome… .quindi apprezzo e condivido
duecentocinquanta likes in due ore, daje!
Caro Simone come sai sono molto critico con queste strane combinazioni in cui c’è tutto e non c’è niente. La prospettiva di riprendere alcune lotte con altri la ritengo essenziale ma da questo a formare non si sa che con loro non lo ritengo un passo avanti ma bensì 10 indietro . Lo smarrimento nel partito è ormai abissale. Se non diamo un segno di forte cambiamento facciamo la fine della riserva indiana. Il non aver fino ad ora fatto niente(di visibile) contro la guerra, mi amareggia e non solo a me. Concludo dicendo che se in questo congresso non riusciamo a rilanciare l’unità dei COMUNISTI siamo finiti.
Una posizione limpida e condivisibile, quella di Simone Oggionni, era ora! Anche se SEL rimane ambigua sulle sue mire, è tutto sottoscrivibile!
quanta passione in questo intervento! bravo Simone!
Posto qui sotto l’intervento alla stessa assemblea di un altro Gc, Alessandro Fatigati, che domani troverete sul sito di Essere Comunisti.
Nei giorni immediatamente successivi alla sconfitta delle ultime elezioni politiche mi è capitato di rileggere questa breve poesia di Bertolt Brecht che racconta efficacemente la nostra storia, o meglio la storia di quello che a mio avviso a Sinistra non abbiamo avuto il coraggio di chiederci, fare, interpretare, rispondere negli ultimi anni.
Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato. E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può più mentire. Siamo sempre di meno. Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno, e da nessuno compresi? O contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua.
Il titolo di questi versi è sicuramente un monito verso la più grave delle nostre insufficienze: a chi esita. Esitazione nei confronti dell’unità, esitazione nei confronti del rinnovamento, che sono le parole chiave sulle quali abbiamo costruito questa assemblea.
#1 Rinnovamento, certo non per ragioni anagrafiche, né solamente perché le nostre classi dirigenti sono diventate la fotografia di vent’anni di sconfitte, fallimenti e divisioni. Potrà apparire contraddittorio, ma prima di tutto rinnovamento per un nuovo sguardo al passato. La Rifondazione Comunista e la Sinistra tutta, non sono ancora riuscite a fare i conti con il novecento, con le sue categorie e le sue contraddizioni; con la nostra storia e con la nostra cultura politica.
E più noi ci siamo attardati nell’analisi, tanto più chi ci stava di fronte è riuscito a convincere le persone che la modernità avrebbe portato con sé la fine dei conflitti sociali, delle guerre o quanto meno -di fronte a tutt’altra evidenza- che l’esigenza di organizzarsi in massa per combattere dall’una parte o dall’altra della barricata avrebbe lasciato il posto ad un più vantaggioso individualismo. Era il modo più semplice ed efficace per toglierci il terreno sul quale per anni abbiamo fatto camminare le nostre idee. Ma che modernità è quella in cui le condizioni necessarie al benessere dei pochi sono il dominio dei mercati e un nuovo colonialismo mediorientale? Una modernità col sapore amaro dell’Ottocento. E Grillo e Renzi sono palesemente prodotti di questa indecente modernità.
Non è un caso che i gruppi industriali, una parte consistente dei dirigenti del PD, e gli stessi Grillo e Berlusconi guardino con favore la candidatura del sindaco di Firenze alla segreteria democratica. Quando qualcuno dice che Renzi rappresenta una risposta al Conservatorismo ha ragione: é la risposta aziendalista e corporativa a sessant’anni di lotte operaie.
Non è un caso poi che Grillo, nonostante il foltissimo gruppo parlamentare, scelga di far salire un pugno di Deputati sui tetti di Montecitorio, anziché provare a far scendere nelle piazze milioni di persone in difesa della Costituzione. Le scelte non sono casuali: più facile per chi rappresenta trasversalmente anche la piccola-media imprenditoria attirare mediaticamente il qualunquismo individuale, che provare a dare una risposta organica al disagio di masse sterminate. Più facile criticare le Istituzioni e il pubblico -proponendo addirittura di depotenziare entrambi- che contaminarli democraticamente. E la critica al sindacato, sta tutta in questa dinamica; e la critica all’Europa -si badi, all’Europa, non ai trattati economici del mercato unico europeo- sta tutta in questa dinamica. Una dinamica, che temo, in alcuni aspetti ha fatto egemonia perfino nella classe dirigente del nostro Partito. Da qui l’esigenza di un cambio di passo radicale.
Ma Rinnovamento anche e soprattutto per un occhio coraggioso al futuro: perché se è vero che l’obbiettivo è riappropriarci delle nostre parole d’ordine e ricostruire un rapporto autorevole col Sindacato -primo fra tutti la Fiom- deve essere per noi altrettanto prioritario formulare nuove categorie che siano capaci di interpretare l’esistente. Ancora una volta ritengo che solo una generazione nata nel paradigma della precarietà possa provare a dare risposte efficaci ad un mondo eterogeneo, e drammaticamente precario.
#2 Unità: perché non possiamo rassegnarci all’assunto che “non ci sono le condizioni per costruire un partito comunista di massa”. Perché se è vero quanto detto fino ad ora, non possiamo ridurci a vivere il nostro agire politico come un’opposizione eternamente minoritaria alla crisi nel momento di maggiore difficoltà del nemico. Abbiamo parlato del Front de Gauche, di Die Linke, di Izquierda Unida, di Syriza -tutte formazioni che si presentano al loro elettorato come potenziali forze di governo- ma se non fossimo eurocentrici riusciremmo a guardare all’esperienza sudamericana, al Frente Amplio, alla Bolivia di Evo Morales e al Venezuela di Maduro. Alternativa non può restare solo per noi sinonimo di opposizione!
Mi avvince l’idea che nella sinistra diffusa esista una massa critica potenziale che non siamo ancora riusciti ad intercettare, un’autostrada tutta da percorrere, sfiduciata oggi dalle nostre divisioni e dai nostri limiti. Mi avvince l’idea che di questa sinistra facciano parte anche le esperienze di Landini, di Rodotà e di quanti parteciperanno alla grande assemblea che si terrà domani qui a Roma. Mi avvince l’idea che gli iscritti di Sinistra Ecologia e Libertà non si rassegneranno ad entrare tout court nel Partito Socialista Europeo o addirittura nel PD, come suggeriscono ancora una volta le parole lusinghiere di Gennaro Migliore nei confronti di Renzi.
#3 Oggi sono più convinto che mai che bisogna amare profondamente un collettivo umano per sentirsi attanagliati dalla terribile paura che possa continuare ad essere condannato all’inesistenza. O Rifondazione impegnerà la propria cultura politica e le proprie risorse per la costruzione di un campo più largo e autorevole in opposizione alle politiche di austerità sulla strada del rinnovamento, o semplicemente –e drammaticamente- non avrà più senso di essere. Bisogna battersi con tutte le proprie forze per scongiurare questo pericolo.
e chissà se da quest’ultima chiamata, possa rinascere il piu grande spazio di sinistra che ha caratterizzato gli anni 90 e 2000
il problema vero è che questo partito serve un cambiamento dirigenziale con gente nuova perché questo partito a bisogno di una mossa perché se restiamo cosi non serviamo a nessuno
Oggionni segretario Ferrero via subito
bellissimo articolo Simone. Un mese fa ho parlato con ferrero e gli ho detto praticamente le stesse cose, anche non conoscendo bene essere comunisti e il messaggio che la corrente sta mandando. Unità dei comunisti, rilancio dei giovani, spinta movimentista ed unità della sinistra alternativa al PD. Il vero cambiamento siamo noi, non Grillo. E mi viene voglia di gridare.. Oggionni segretario!
Sia chiaro,eh…le questioni interne di Rifondazione riguardano Rifondazione, ed il loro gruppo dirigente, segretario compreso, se lo decidono solo loro. Ma le questioni generali dei comunisti sono anche mie, nostre; rompere il muro di silenzio e di ipocrisia sui problemi urgenti dell’ unita’ dei Comunisti e della sinistra è la cosa da fare, subito. Simone finalmente l’ha fatto, con una proposta che è una sfida a tutti i minoritarismi e a tutte le autoreferenzialita’, senza questa svolta radicalmente unitaria il Paese declina, e noi con lui.
Le ho digerite tutte ma dopo la cazzata di andare con Ingroia per me Rifondazione non esiste più, non farò mai più la tessera. Preferisco la coerenza di altri partiti