Intervento Direzione Nazionale Prc – 13 dicembre 2012
Ho apprezzato l’onestà della discussione e in primo luogo della relazione del Segretario sulle difficoltà e le criticità del processo che abbiamo avviato. Per questo, con l’obiettivo di lavorare per superarle, voglio indicare quelle che a me paiono le più significative.
In primo luogo c’è un problema che riguarda i tempi: siamo in ritardo clamoroso e nel giro di tre settimane, vacanze di fine anno incluse, dobbiamo decidere nome, simbolo e liste. Un’impresa.
Secondo: c’è un problema di visibilità e riconoscibilità. Non siamo ancora entrati nell’immaginario collettivo, nel sentire comune della nostra gente, nel discorso pubblico.
In terzo luogo c’è un profilo programmatico ancora molto fragile e una grande eterogeneità tra di noi. Alcuni interventi ascoltati per esempio ieri all’assemblea del movimento arancione (a cui dobbiamo guardare con grande attenzione e interesse) sono davvero distanti da noi, dalla nostra cultura politica. Per noi il grado di civiltà di un Paese si misura dalla condizione delle carceri e dal grado di investimento nelle pene alternative. Una cosa molto diversa da chi propone un orizzonte simbolico composto da galera e manette.
Infine è problematico il nodo di come le decisioni vengono assunte, non tanto dentro il gruppo dirigente centrale ma nel rapporto tra centro e territori, i quali devono essere coinvolti, resi protagonisti e non trattati come soggetti passivi di decisioni altrui.
Detto questo, il processo che abbiamo avviato ha una risorsa incredibile, un valore aggiunto su cui mi concentrerei radicalmente: l’ampiezza del fronte che si sta attivando. Cambiare si può, movimento arancione, Idv, Rifondazione comunista, soggetti di movimento e parti di società civile progressista e democratica. Un fronte ampio che ha potenzialità ancora maggiori, potendo intercettare per il profilo che ha scelto gli scontenti di Sel e pure tutti quei compagni della Fds che fino ad oggi hanno fatto scelte diverse.
Proprio per questo non capisco perché tra noi ci sia chi vuole chiudere la porta e non aprirla. E ancora meno capisco lo sport, anche di questi giorni, della caccia all’untore, del tiro al bersaglio contro De Magistris, che è diventato per qualcuno il primo dei nemici e dei traditori semplicemente perché ha un profilo non ambiguo ma più dialogante, più dialettico e che pone – pur con molti limiti – il tema di una proposta radicale ma maggioritaria, potenzialmente di governo, esattamente come in tutta Europa fanno Syriza, Izquierda Unida, il Front de Gauche, Die Linke.
Chiudo sull’innovazione, a cui giustamente Ferrero ha dedicato molto spazio nella sua relazione. Noi siamo dentro una crisi di credibilità e di autorevolezza della politica e delle sue forme tradizionali, in primis i partiti, di portata storica. Dentro questa crisi noi siamo considerati parte del problema e non della soluzione.
Per questo noi dobbiamo difendere, argomentando, il ruolo dei partiti e delle strutture organizzate, dei corpi intermedi e dei soggetti collettivi e su questo facciamo benissimo a respingere la spocchia di qualche professore: spesso facce più vecchie e più impresentabili di quelle che vorrebbero rottamare.
Ma attenzione: non possiamo arroccarci nella difesa acritica delle classi politiche dirigenti, dei tanti ceti politici che costituiscono un tappo alla vera democrazia e alla vera partecipazione, frenando od ostacolando un rinnovamento che è necessario. Serve un coraggio straordinario e aprirci in tutto alle donne, ai giovani, ai movimenti e ai territori e alle loro lotte. Senza fare crociate, ma con un po’ di intelligenza e di connessione con la realtà e i bisogni reali del Paese.
Caro Simone, cerchiamo di non cercare il solito pelo nell’uovo come ci accade sempre a sinistra. Il dibattito deve essere aperto e il confronto è fondamentale. Ma come dici giustamente tu dobbiamo accelerare i tempi per la raccolta dei consensi sulle liste e definire nome e simbolo. Quando saremo riusciti ad ottenere i “fondamentali”, riprenderemo il dibattito sui contenuti che a mio avviso troveranno la giusta sintesi solo quando saremo riusciti a dimostrare di poter ottenere un minimo di consenso in un Paese disastrato dal berlusconismo e ubriacato dalle televisioni padronali. Dài che possiamo farcela a restituire piano piano la ragione a questo paese, tra cui quella a cui giustamente ti riferisci rispetto alle manette che tintinnano e che soprattutto tintinnano soltanto per alcuni…..Un caro saluto Dalila Novelli
Simone abbiamo bisogno di aprire una discussione profonda e politica trovando
la sintesi tra
identità irrinunciabile e tattica del momento. Cosa assai difficile e
complessa ma che, se lavoreremo
tutti con la stessa “pulizia” mentale e morale che abbiamo tra compagni può
portarci ad un risultato
positivo.
ciao
Gino Marchitelli
Le considerazioni che ho fatto io da semplice sinpatizzante,aggiungerei in
modo univoco le alleanze anche a livello amministrativo nei comuni regioni e
province non è secondario a mio parere non si ci può alleare a prescindere
Aldo Imola
Infatti Simone, non c’ero all’assemblea,
ma da fuori a me pare una cordata “alla poltrona” sinceramente.
Culture diverse, sensibilità diverse hanno bisogno di tempi per crescere.
Viceversa è come per l’arcobaleno, nel voler rappresentare tutti, alla fine
non si rappresenta nulla e nessuno.
Ciao
Emanuela
Completamente concorde. Giovanni Russo Spena
Io penso che il grado di civiltà di un paese
si misuri da tante cose
e certo, sì, ‘dalla condizione delle carceri e dal grado di
investimento nelle pene alternative’,
ma penso che si misuri anche dalla possibilità che hanno i più deboli fisicamente, e penso alle donne, di vivere e muoversi liberamente a qualsiasi ora del giorno e della notte in città non degradate.
La mancanza di libertà si misura da tante cose, anche da questo. E non mi si dica che sono sciocchezze: su questo sono pronta a qualsiasi contraddittorio.
Forse se si tenesse conto anche di questi problemi -senza lasciarli in mano alle destre- si potrebbero trovare soluzioni anche alle liste elettorali, oltre che avere consensi più ampi.
Molto gentilmente mi permetta di condividere con lei la gioia della scoperta di un indicatore unico in grado di determinare con precisione lo stato reale della democrazia di un Paese:
Un unico indicatore di democrazia
http://www.hyperlinker.com/ars/indicatore_unico.htm
Certo che saprà apprezzare questo importante conseguimento della ricerca sociopolitica italiana, che trasforma la democrazia da mera ridda di opinioni a prodotto di una scienza esatta, la ringrazio per l’attenzione e le invio il mio saluto più cordiale.
Il quadro politico generale, con un aggravamento impressionante delle condizioni di vita e di lavoro della larga parte delle masse popolari e timide ma sempre più numerose risposte di lotta alle misure del governo finto tecnico Monti appoggiato da PD e PdL, avrebbero autorizzato chiunque a pensare che la scelta più logica per le prossime elezioni politiche fosse quella di costruire un polo alternativo al PD, rafforzare la sinistra anticapitalista ed egualitaria ma con una presenza forte e chiara del PRC.
Dopo l’implosione della Federazione della Sinistra, crollata sul punto dirimente del rapporto col centrosinistra, anche i tentativi di costruzione di un “quarto polo” stanno mostrando rapidamente tutte le loro debolezze. Le assemblee che stanno presentando questa ipotesi (basta vedere resoconti indipendenti) evidenziano vere e proprie manovre contro il nostro partito, che si concretizzano in veti posti sulla presenza del simbolo e di fatto su qualsiasi elemento di riconoscibilità della nostra organizzazione, accettata solo nella misura in cui fornisca una manovalanza militante ma politicamente muta e sotto tutela.Ci sembra inoltre, che si tenda a rinviare qualsiasi approccio all’ineludibile questione del rapporto con il PD.
Tra l’altro, il voler lanciare proprio negli stessi giorni della campagna politica del PD chiamata “Primarie” la raccolta di firme x ben 5 referendum, non solo non ci ha dato la visibilità alternativa sperata ma proprio grazie al meccanismo delle primarie, ha cancellato politicamente e visivamente la stessa raccolta di firme. Ora, siamo in una fase dove parlare di un confronto con il PD serve solo ad attirarsi addosso l’accusa di essere “destri”; proprio quando si fa una lista con gli arancioni di De Magistris e di Di Pietro (schiantato dalle proprie contraddizioni e da qualche scandaletto) che hanno come ipotesi questa “lista arancione” pensata in realtà per costruire un rapporto col PD con l’illusione di poterne condizionare a sinistra il corso politico, proponendosi come alleato alternativo ai centristi, dimenticando che SEL è partita prima e già occupa, insieme a Diliberto, i posti disponibili. Non ci sembra di vedere altro che una grande incertezza sulla effettiva concretizzazione del progetto, sulla sua eventuale capacità di aggregare un consenso significativo e sul suo futuro.
Ma al di là dei tatticismi elettorali emerge il dato di fondo: nessuna reale alternativa può essere costruita se non in un rapporto forte con il movimento operaio, con la crescente radicalizzazione giovanile e senza una chiara prospettiva politica e programmatica capace di uscire dalle secche di una azione politica tutta protesa a come entrare nel “palazzo”. E di tutto questo, non ci sembra di vedere alcunché nella proposta politica che ci viene avanzata dagli organismi nazionali del Partito.
E’ mancata fino ad oggi la capacità di parlare prima di tutto al “nostro” popolo, quello di sinistra, ma anche ai militanti ed agli iscritti del PRC che, in larga parte, ancora non sanno che c’è il rischio di liste senza il nostro simbolo e che stanno già preparandosi a votare pensando di indicare il PRC e i comunisti come scelta politica. Ma se non trovano il nostro simbolo sulla scheda, Voi pensate che voteranno? L’esperienza de “la Sinistra, l’Arcobaleno” non vi ha insegnato nulla, almeno sul piano della tattica elettorale o solo sul piano della comunicazione simbolica (che in caso di elezioni e di richiesta di una delega di rappresentanza attraverso il voto, è anche tattica elettorale)?
Noi chiediamo di presentarsi con liste aperte, certamente, ma liste con il nostro simbolo, facendo così un forte investimento sul futuro che renda chiara la nostra prospettiva di forza antagonista al sistema. Vogliamo che il Partito sia chiamato tutto, attraverso attivi di zona e provinciali o almeno la convocazione di Comitati Politici federali aperti agli organismi di Circolo, ad esprimersi, aprendo – da qui ai primi di gennaio 2013 – un dibattito che investa effettivamente tutto il Partito, senza caricature delle posizioni diverse.
Noi, Comitato Direttivo Comunale del Circolo PRC di Lamporecchio, esprimiamo oggi con questo documento una posizione chiara: possiamo accettare anche la presentazione in un quadro di alleanze delle forze che non si riconoscono nelle politiche di Monti e Bersani ma con una lista rappresentata dai nostri simboli e con una rappresentanza – ben equilibrata in termini di genere e di rappresentanza di vertenze e di territori – espressa dal nostro Partito. In caso diverso, non siamo in grado di garantire né campagna elettorale nel nostro territorio, né i nostri voti.
Il Comitato Direttivo Comunale del Partito della Rifondazione Comunista di Lamporecchio (PT)
Lamporecchio, lì 18.12.2012
Grazie per l’intervento di ieri, ci hai convinto serve rigore precisione nell’analisi e quella passione che metti e che molti altri non fanno. Grazie anche da parte di mio figlio!
da Flavio su facebook… lo riporto, vai Simo!
la democrazia interna di un partito è fondata principalmente sui congressi: al congresso si vota una linea politica e si eleggono gli organismi dirigenti che devono proporzionalmente (almeno in Rifondazione succede così) rappresentare tutti gli iscritti. il risultato è che io delego a questi gruppi dirigenti democraticamente eletti di fare delle scelte… il risultato è che i gruppi dirigenti mi rappresentano, come mi rappresenta l’intervento di Simone Oggionni (portavoce nazionale Giovani Comunisti) in direzione nazionale del PRC (13 dic 2012)
Claudio Grassi scrive:
14 dicembre 2012 alle 15:31
CARISSIMI CLAUDIO E BRUNO
Vito Nocera
Leggo questa vostra nota sulla serata arancione del teatro Eliseo con un certo interesse. Trovo positivo che Rifondazione ( almeno la sua parte numericamente più consistente ), dopo mesi di sterile attendismo, provi finalmente a chiarire l’indirizzo verso il quale intende incamminarsi. Uno dei principali nodi aperti in questi mesi ha riguardato esattamente questo aspetto. A fronte di una linea da me e da altri proposta, credo con grande lealtà e limpidezza, di investire il nostro patrimonio collettivo in un esplicito raccordo con l’area del socialismo europeo, e quindi qui da noi con il centrosinistra di Vendola e Bersani, permaneva dall’altra parte una ricerca un po’ indistinta di difficile decifrazione. Personalmente, come vi è noto, più volte ho introdotto il tema della necessità ( direi la inevitabilità ) per il Prc di un passo indietro nella classica speranza di farne “due avanti”. A questa riflessione ( cui voi siete sempre stati attenti )molte sono state le critiche e perfino le invettive. Prendo atto che, almeno a questo, intanto ci siamo. Chi per tanto tempo si è dilettato confusamente sull’idea di una identità simbolica troppo infantile, facendo fatica a riconoscere sia lo stato di difficoltà di Rifondazione sia i processi reali che investono il Paese, è certo costretto adesso a un salto di maturità. Pur avendo una idea differente da quella cui state lavorando personalmente guardo con attenzione, e perfino simpatia, alla possibilità che possa prendere forma una esperienza come quella che voi descrivete. Processi grandi hanno investito assetti di potere e blocchi sociali, sistemi complessi come quello della comunicazione irrompono sulla scena come nuovi grandi poteri e la scena del mondo disegna una geografia economica e politica fino a pochi anni fa impensabile. Un panorama complicato e intrigante difficile da impattare con un consenso residuale rimasto ad esperienze come la nostra, il cui ciclo ventennale si era già chiuso da tempo. Averne, alla fine, preso atto lo trovo un gesto coraggioso e apprezzabile. Naturalmente non è detto, e vengo al punto critico, che la direzione intrapresa fosse, e sia, l’unica possibile. La cultura politica che coniuga il concetto di rivoluzione e civismo ( piuttosto che con classismo ) non è una novità nel nostro Paese. Tutta la stagione a cavallo tra il crollo del vecchio sistema politico e l’avvento della cosiddetta seconda repubblica ne è stata, spesso positivamente, permeata. Mani pulite e la Rete di Orlando, Falcone e Borsellino. Fino ai girotondi, ai movimenti viola e alle performance graffianti di comici ed artisti. E’ questo, certo ridotto all’essenziale, il retroterra dal quale emerge l’esperienza arancione di oggi. Grillo e il suo movimento, come sull’altro versante Renzi, sono solo due varianti autoreferenziali di questo filone culturale più omogeneo e robusto. Hanno provato a forzarne le istanze, Grillo volgarizzandone, con successo, l’impianto, Renzi piegandolo a una visione sociale più moderata ed egualmente estrema nello sgomita mento sui ruoli. Queste due variabili, pur se al momento dotate di maggiori consensi, di certo hanno un diverso e ben meno attraente spessore. L’arancione che evocano il sindaco di Napoli e Ingroia ha un profilo più solido e serio, interpreta con più capacità un sentimento che c’è nel Paese. Ed esercita un fascino forte su quelle parti dell’Italia che vivono la questione morale come anteposta a quella sociale e di classe ( pur non del tutto assente dal loro orizzonte ) e come, con agilità e intelligenza ha scritto Simone Oggionni, orizzonte simbolico di galera e manette. Anche a causa di una contemporaneità che disvela ogni cosa conferendo apparente chiarezza a cose in realtà più complesse, sono convinto che a sinistra per tutta una fase non si potrà prescindere , almeno in Italia, da questo universo composito che coniuga radicalità civica e blocco d’ordine. E penso anche che mettere insieme il valligiano che occupa la sua zona ad oltranza o il giovane che sfila contro la discarica nel suo quartiere e il rigore giudiziario assoluto propugnato da Ingroia, sia alla lunga difficile ma che intanto si regge. C’è però in questo mondo una ricerca di integrità e radicalità che, seppur giustificata dal degrado attuale, a volte sfocia nell’intolleranza che può essere rischiosa per la democrazia, che forse richiede un più paziente esercizio. La stessa questione del conflitto tra Procura di Palermo e Quirinale, al di là della eccessiva permalosità dell’inquilino del colle che col ricorso alla Corte ha enfatizzato la cosa, mi è parsa e mi pare una clava agitata con disinvoltura eccessiva. Quanto tutto questo sia distante dal comunismo italiano e togliattiano lascio a voi due giudicare. Non a caso, cari Claudio e Bruno, con la vostra acutezza provate giustamente a conferire una torsione all’impianto richiamando la memoria delle stragi e il nodo dello storico sovversivismo delle classi dirigenti italiane. E’ il segno di una consapevolezza di stare in un territorio culturale inedito che impone di riancorare il percorso ad aspetti altamente identitari di una storia più lunga e profonda. Tuttavia non vedo come questa esperienza possa meglio del centrosinistra che è in campo provare a ridare un significato e un riscatto al Paese. Paul Krugman ha sintetizzato con esemplare chiarezza ciò che l’Italia avrà dopo il voto bisogno di fare. Invertire la linea di austerità che ha portato in recessione il Paese, rinegoziare con la Germania e l’Europa le condizioni del debito ( mutualizzarlo magari con gli eurobond ). E per questa via favorire di fatto, in vista delle elezioni in Germania, il cambio della guardia tra Merkel e la Spd. La ragione per cui Monti era popolare in Germania – scrive infatti testualmente Krugman – era che la sua bolla e la sua austerità facevano buon gioco alla cancelliera nel ritardare le decisioni difficili sulla risoluzione del debito e la riforma istituzionale a dopo le elezioni tedesche del prossimo anno. In sostanza, al di là del chiacchiericcio politicista nostrano, ciò che ,senza squilli di tromba che lo esporrebbero ad una pericolosa aggressione del tipo che ha conosciuto Syriza alle elezioni greche, si propone di tentare un possibile governo Bersani. Un tentativo cui mi pare del tutto legittimo che i comunisti diano oggi, sia pur criticamente, una mano. Anche per questo, in conclusione, mi auguro che l’esperienza cui state lavorando, anche grazie al vostro peso e ruolo, trovi la forza per concorrere a un disegno serio, evitando di favorire, suo malgrado, quella frammentazione che, sapete bene, rischierebbe proprio di rilegittimare Monti e con lui il profilo attuale della Germania e dell’Europa. In ogni caso un punto mi sembra, spero, assodato. Al di là della quantità di compagni e compagne del Prc che sceglieranno l’una o l’altra opzione ( immagino siate ben consapevoli che non potremo stare tutti nella scelta arancione ) nessuno svende nulla né va con il cappello in mano. E le due diverse scelte è bene vengano vissute con pari dignità. Niente steccati né guerre di religione ma percorsi diversi, peraltro contigui, destinati ,nell’interesse del mondo del lavoro e del Paese, a ritrovarsi prima di quanto si pensi.
Claudio Grassi scrive:
14 dicembre 2012 alle 15:31
CARISSIMI CLAUDIO E BRUNO
Vito Nocera
Leggo questa vostra nota sulla serata arancione del teatro Eliseo con un certo interesse. Trovo positivo che Rifondazione ( almeno la sua parte numericamente più consistente ), dopo mesi di sterile attendismo, provi finalmente a chiarire l’indirizzo verso il quale intende incamminarsi. Uno dei principali nodi aperti in questi mesi ha riguardato esattamente questo aspetto. A fronte di una linea da me e da altri proposta, credo con grande lealtà e limpidezza, di investire il nostro patrimonio collettivo in un esplicito raccordo con l’area del socialismo europeo, e quindi qui da noi con il centrosinistra di Vendola e Bersani, permaneva dall’altra parte una ricerca un po’ indistinta di difficile decifrazione. Personalmente, come vi è noto, più volte ho introdotto il tema della necessità ( direi la inevitabilità ) per il Prc di un passo indietro nella classica speranza di farne “due avanti”. A questa riflessione ( cui voi siete sempre stati attenti )molte sono state le critiche e perfino le invettive. Prendo atto che, almeno a questo, intanto ci siamo. Chi per tanto tempo si è dilettato confusamente sull’idea di una identità simbolica troppo infantile, facendo fatica a riconoscere sia lo stato di difficoltà di Rifondazione sia i processi reali che investono il Paese, è certo costretto adesso a un salto di maturità. Pur avendo una idea differente da quella cui state lavorando personalmente guardo con attenzione, e perfino simpatia, alla possibilità che possa prendere forma una esperienza come quella che voi descrivete. Processi grandi hanno investito assetti di potere e blocchi sociali, sistemi complessi come quello della comunicazione irrompono sulla scena come nuovi grandi poteri e la scena del mondo disegna una geografia economica e politica fino a pochi anni fa impensabile. Un panorama complicato e intrigante difficile da impattare con un consenso residuale rimasto ad esperienze come la nostra, il cui ciclo ventennale si era già chiuso da tempo. Averne, alla fine, preso atto lo trovo un gesto coraggioso e apprezzabile. Naturalmente non è detto, e vengo al punto critico, che la direzione intrapresa fosse, e sia, l’unica possibile. La cultura politica che coniuga il concetto di rivoluzione e civismo ( piuttosto che con classismo ) non è una novità nel nostro Paese. Tutta la stagione a cavallo tra il crollo del vecchio sistema politico e l’avvento della cosiddetta seconda repubblica ne è stata, spesso positivamente, permeata. Mani pulite e la Rete di Orlando, Falcone e Borsellino. Fino ai girotondi, ai movimenti viola e alle performance graffianti di comici ed artisti. E’ questo, certo ridotto all’essenziale, il retroterra dal quale emerge l’esperienza arancione di oggi. Grillo e il suo movimento, come sull’altro versante Renzi, sono solo due varianti autoreferenziali di questo filone culturale più omogeneo e robusto. Hanno provato a forzarne le istanze, Grillo volgarizzandone, con successo, l’impianto, Renzi piegandolo a una visione sociale più moderata ed egualmente estrema nello sgomita mento sui ruoli. Queste due variabili, pur se al momento dotate di maggiori consensi, di certo hanno un diverso e ben meno attraente spessore. L’arancione che evocano il sindaco di Napoli e Ingroia ha un profilo più solido e serio, interpreta con più capacità un sentimento che c’è nel Paese. Ed esercita un fascino forte su quelle parti dell’Italia che vivono la questione morale come anteposta a quella sociale e di classe ( pur non del tutto assente dal loro orizzonte ) e come, con agilità e intelligenza ha scritto Simone Oggionni, orizzonte simbolico di galera e manette. Anche a causa di una contemporaneità che disvela ogni cosa conferendo apparente chiarezza a cose in realtà più complesse, sono convinto che a sinistra per tutta una fase non si potrà prescindere , almeno in Italia, da questo universo composito che coniuga radicalità civica e blocco d’ordine. E penso anche che mettere insieme il valligiano che occupa la sua zona ad oltranza o il giovane che sfila contro la discarica nel suo quartiere e il rigore giudiziario assoluto propugnato da Ingroia, sia alla lunga difficile ma che intanto si regge. C’è però in questo mondo una ricerca di integrità e radicalità che, seppur giustificata dal degrado attuale, a volte sfocia nell’intolleranza che può essere rischiosa per la democrazia, che forse richiede un più paziente esercizio. La stessa questione del conflitto tra Procura di Palermo e Quirinale, al di là della eccessiva permalosità dell’inquilino del colle che col ricorso alla Corte ha enfatizzato la cosa, mi è parsa e mi pare una clava agitata con disinvoltura eccessiva. Quanto tutto questo sia distante dal comunismo italiano e togliattiano lascio a voi due giudicare. Non a caso, cari Claudio e Bruno, con la vostra acutezza provate giustamente a conferire una torsione all’impianto richiamando la memoria delle stragi e il nodo dello storico sovversivismo delle classi dirigenti italiane. E’ il segno di una consapevolezza di stare in un territorio culturale inedito che impone di riancorare il percorso ad aspetti altamente identitari di una storia più lunga e profonda. Tuttavia non vedo come questa esperienza possa meglio del centrosinistra che è in campo provare a ridare un significato e un riscatto al Paese. Paul Krugman ha sintetizzato con esemplare chiarezza ciò che l’Italia avrà dopo il voto bisogno di fare. Invertire la linea di austerità che ha portato in recessione il Paese, rinegoziare con la Germania e l’Europa le condizioni del debito ( mutualizzarlo magari con gli eurobond ). E per questa via favorire di fatto, in vista delle elezioni in Germania, il cambio della guardia tra Merkel e la Spd. La ragione per cui Monti era popolare in Germania – scrive infatti testualmente Krugman – era che la sua bolla e la sua austerità facevano buon gioco alla cancelliera nel ritardare le decisioni difficili sulla risoluzione del debito e la riforma istituzionale a dopo le elezioni tedesche del prossimo anno. In sostanza, al di là del chiacchiericcio politicista nostrano, ciò che ,senza squilli di tromba che lo esporrebbero ad una pericolosa aggressione del tipo che ha conosciuto Syriza alle elezioni greche, si propone di tentare un possibile governo Bersani. Un tentativo cui mi pare del tutto legittimo che i comunisti diano oggi, sia pur criticamente, una mano. Anche per questo, in conclusione, mi auguro che l’esperienza cui state lavorando, anche grazie al vostro peso e ruolo, trovi la forza per concorrere a un disegno serio, evitando di favorire, suo malgrado, quella frammentazione che, sapete bene, rischierebbe proprio di rilegittimare Monti e con lui il profilo attuale della Germania e dell’Europa. In ogni caso un punto mi sembra, spero, assodato. Al di là della quantità di compagni e compagne del Prc che sceglieranno l’una o l’altra opzione ( immagino siate ben consapevoli che non potremo stare tutti nella scelta arancione ) nessuno svende nulla né va con il cappello in mano. E le due diverse scelte è bene vengano vissute con pari dignità. Niente steccati né guerre di religione ma percorsi diversi, peraltro contigui, destinati ,nell’interesse del mondo del lavoro e del Paese, a ritrovarsi prima di quanto si pensi.
Rispondi
Bravo Simone, vedo che sei rimasto tra i pochi con un po’ di coraggio e che almeno sa’ che se andiamo avanti così c’è solo il baratro dentro cui precipitare. Magra consolazione eh?
Mi rifaccio alle parole di Oggionni : “Proprio per questo non capisco perché tra noi ci sia chi vuole chiudere la porta e non aprirla. E ancora meno capisco lo sport, anche di questi giorni, della caccia all’untore, del tiro al bersaglio contro De Magistris, che è diventato per qualcuno il primo dei nemici e dei traditori semplicemente perché ha un profilo non ambiguo ma più dialogante, più dialettico e che pone – pur con molti limiti – il tema di una proposta radicale ma maggioritaria, potenzialmente di governo, esattamente come in tutta Europa fanno Syriza, Izquierda Unida, il Front de Gauche, Die Linke. Condivido completamente!
Caro Simone,
come sai non condivido la prospettiva politica del Movimento Arancione, ma trovo,in ogni caso, questo tuo intervento una boccata d’aria fresca.
Un abbraccio.
Cari amici, vorrei far notare la vera faccia del movimento “Fermare il Declino” che dietro i curriculum accademici dei suoi promotori e grafici statistici fa tante belle parole per far credere alla gente che è un movimento di gente colta che vuole salvare l’Italia e aiutarla a crescere, ma in realtà mira a difendere un’ideologia malata in difesa delle grandi finanziarie e multinazionali.
Questo movimento va stroncato sul nascere, perchè potrebbe attirare parecchi delusi del PDL e persone che non sono molto propense al voto a PD e il vostro M5S.
Se leggete in dettaglio le loro idee, i punti chiave sono:
-Liberismo Capitalista assoluto di livello anarchia delle aziende che potranno fare quello che gli pare e quando gli pare.
-Allentare le cinghie dell’antitrust… se l’azienda ha un monopolio per loro è giusto che lo abbia perchè la posizione se l’è guadagnata giustamente “secondo loro”.
-Abolizione della proprietà intellettuale, come si può vedere da un libro di Boldrin, uno dei promotori, che ha scritto un libro in proposito con la scusa di diffondere il sapere,
se una cosa del genere la si applicasse in una società comunista o anarchica si tratterebbe di diffondere il sapere, ma visto che le idee di Boldrin sono fortemente capitaliste, come si inquadra questa posizione? Semplice:
le aziende potranno essere libere di campare sulle idee degli altri, e progettisti e scrittori evidentemente dovranno campare d’aria.
-Logica del più sei ricco e più sei meritevole, se sei povero vuol dire che sei un incapace, a prescindere.
Vi pregherei di approfondire questi punti chiave e usarli per sputtanare questa gente sul nascere prima che crescano e diventino una minaccia seria.
Buona serata
Andrea