intervento al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista – 18 novembre 2012
Non mi sottraggo all’esercizio, in cui tutti ci stiamo cimentando, dell’interpretazione e dell’esegesi della relazione del Segretario.
Allora io dico che condivido la linea politica proposta da Ferrero, e cioè la costruzione di una lista di sinistra autonoma dal Pd e contraria alle politiche del governo Monti; e la condivido nella misura in cui l’aggregazione a cui lavoriamo ha il peso, la massa critica, la dimensione per risultare autorevole, credibile, attrattiva agli occhi dei lavoratori e della nostra gente.
Noi diciamo da tempo che questa aggregazione deve avere una vocazione di tipo maggioritario, l’ambizione di essere egemonica, di essere un soggetto con legami di massa, che vive nella testa delle persone, nel sentire comune di pezzi consistenti di società. Questo argomento non va banalizzato, non ne va fatta la caricatura: se volessimo dire che vogliamo un accordo di governo con il Pd non ci gireremmo intorno: diremmo che vogliamo un accordo con il Pd.
Invece chiediamo semplicemente di evitare l’isolamento, il settarismo. E questo progetto dei non allineati, per dirla con De Magistris, può avere queste caratteristiche. Dobbiamo lavorare affinché le abbia, perché questa è la condizione necessaria perché il progetto riesca nel suo intento.
E perché noi si riesca nell’impresa di tenere aperta, anche dopo il passaggio elettorale, la “questione comunista” nel nostro Paese. Una “questione comunista” che deve essere collocata – questa è la mia opinione – dentro la costruzione di una sinistra di massa, popolare, una sinistra reticolare e molecolare, diffusa ma forte, presente, pesante.
Detto questo, io vorrei riflettere con voi su tre ulteriori questioni.
La prima è connessa con – diciamo – la mia interpretazione della linea del partito. Ha fatto ieri un ottimo intervento il compagno Rappa, che ci ha ripetuto con grande lucidità quel che il gruppo dirigente della Fiom (cioè il gruppo dirigente della più grande e combattiva organizzazione di massa dei lavoratori metalmeccanici italiani) ci dice da un bel po’ di tempo.
Attenzione: il capitalismo italiano (a partire dalla Fiat, che come spesso accade detta la linea nelle relazioni industriali) ha imposto negli ultimi mesi un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro, nuovi rapporti tra le classi. E il volto materiale e immateriale di questo nuovo equilibrio tra le classi è la solitudine dei lavoratori, la loro frammentazione, la sfiducia drammatica nei confronti della grandi organizzazioni, politiche e sociali. È urgente allora costruire un soggetto politico che possa difendere e riorganizzare i lavoratori e non soltanto quando sono costretti dalla disperazione a gesti estremi.
Rifondazione comunista non è più sufficiente, non è – da sola – più in grado di farlo. La sinistra di massa che va costruita è allora la sinistra del lavoro, del conflitto tra capitale e lavoro.
Seconda questione: ieri mi sono perso qualche intervento perché ho partecipato insieme a Guglielmo Epifani ad un’assemblea promossa dagli studenti del Liceo Tasso di Roma, all’interno di una occupazione (lo voglio dire a questo organismo e in primo luogo al Segretario: non l’unica in tutta Italia) in cui i Giovani Comunisti hanno un ruolo, diciamo così, non irrilevante. Vedendo quelle facce, parlando con loro mi sono fatto un’idea precisissima sul nostro futuro. Sbaglia chi parla di rivoluzione alle porte e anche chi vive della mistica della rivolta, intravedendo “insorgenze” ad ogni manifestazione o ad ogni corteo. Ma – lo dico chiaramente – o noi ci facciamo travolgere e rigenerare da questi movimenti e da questa generazione, che è la nostra e quella dei nostri fratelli minori, oppure siamo morti. La sfida è costruire un’alleanza permanente tra i movimenti e le forze organizzate – unite, insieme – della sinistra politica e sociale. Ma come a loro ho detto che non devono abbandonare il movimento, il conflitto e devono provare ad evitare il riflusso invertendo la rotta tradizionale dei movimenti (i suoi andamenti carsici) perché devono avere finalmente la forza di travolgere il recinto, rompere la gabbia della politica e inondare il grigiore delle nostre stanze, delle nostre sedi; così dico a noi che saremmo dei folli se continuassimo a respingere una discussione vera e profonda sulla necessità del rinnovamento, tappandoci le orecchie quando qualcuno di noi mette in guardia, ammonisce, prova a discuterne. Perché non può esistere che noi esaltiamo la carica innovativa e modernizzatrice dei movimenti giovanili e poi chiudiamo porte e finestre ai nostri partiti, al nostro partito, scegliendo la strada della continuità e della conservazione.
Anche perché – e questo è il terzo e ultimo punto che voglio affrontare – noi spesso quando abbiamo un problema semplicemente lo rimuoviamo.
È successo con il governo Prodi (non abbiamo ancora affrontato e tematizzato seriamente la questione del governo e del nostro rapporto con il governo), è successo con l’Arcobaleno (non abbiamo ancora capito quanto sia importante preparare i terreni, preparare anche le collocazioni elettorali con una visione a medio termine, con attenzione strategica), sta succedendo di nuovo con l’agonia della Federazione della Sinistra e con le difficoltà gravi che sta vivendo il nostro partito.
Ma attenzione: la rimozione determina in massima parte la formazione dell’inconscio. E nell’inconscio (nel nostro inconscio) rischiano di sedimentare e di agire senza che noi se ne abbia contezza vita natural durante tutti gli errori commessi. Al punto tale da creare un inconscio abnorme, non più controllabile e che con questi errori ci sovrasta, ci fagocita, ci travolge.
Dobbiamo vincere le resistenze (che si chiamano così in psicoanalisi e anche in politica), tornare in possesso di questo materiale rimosso, affrontare i problemi in maniera cosciente prima che sia troppo tardi. È questo il compito, gigantesco ma decisivo, che abbiamo di fronte.
molto bene giovanni russo spena
Grazie Giovanni, un abbraccio!
Ai coordinatori nazionali dei Giovani Comunisti
Al Coordinamento Nazionale dei Giovani Comunisti
Al segretario regionale del Partito della Rifondazione Comunista
Al Comitato Politico Regionale del Partito della Rifondazione Comunista
Al segretario provinciale del Partito della Rifondazione Comunista
Al Comitato Politico Federale di Udine del Partito della Rifondazione Comunista
Al segretario del circolo della Montagna del Partito della Rifondazione Comunista
Ai Giovani Comunisti della provincia di Udine
Già da alcuni mesi mi trovo in dissenso con la linea politica nazionale del Prc, nell’ultimo periodo il mio dissenso si è fatto sempre più intenso, ma nonostante ciò ho sempre pensato di continuare la mia “battaglia” dall’interno, proponendo come ho fatto, sottoscrivendo quello che è passato come il documento dei 33, ovvero il documento a firma Valentini-Nocera.
Proprio perché voglio bene a questo partito, che per sette anni è stato la mia casa, ho pensato di proporre i miei ragionamenti sempre in una prospettiva costruttiva e mai distruttiva, nella speranza di poter evitare al partito quella chiusura e quel sentimento di minoritarismo che sempre più lo sta caratterizzando. Ho sempre inteso Rifondazione Comunista e la seguente Federazione della Sinistra come un soggetto che potesse rendersi utile alla costruzione di un’alternativa e di una prospettiva di cambiamento all’interno del panorama politico nazionale, ed è per questo che nell’ultimo periodo ho voluto contrastare l’isolamento in cui il partito si stava ponendo, pensando che una prospettiva di maggior apertura al dialogo fosse la soluzione più adeguata.
In una situazione come quella italiana, dove il conflitto sociale è molto arretrato, mantenendosi sempre su un basso profilo e manifestandosi in maniera disorganizzata e saltuaria, la prospettiva di una Syriza italiana, per quanto suggestiva, al momento non è praticabile, perché si troverebbe in una situazione di isolamento e di incomprensione rischiosa e poco edificante, anche alla luce del fatto che il nostro sistema politico si trova eccessivamente schiacciato su un bipolarismo che volente o nolente rappresenta ancora un carattere dominante che azzera gli spazi esterni, oltre al fatto che le forze a cui ci siamo rivolti, sempre per costruire questo progetto, o hanno scelto strade alternative o non hanno mai risposto ai nostri appelli, evidenziando la nostra scelta esiziale. Penso che uno schieramento come quello che si potrebbe profilare in questo momento con Alba e altri piccoli movimenti, si presenterebbe come un cartello elettorale (quello che criticavamo della Sinistra Arcobaleno!) e farebbe una fine uguale o peggiore della SA. Inoltre il nostro segretario nazionale, dopo aver cercato un accordo con Di Pietro e l’Idv, ha perfino strizzato l’occhio a Grillo pur di trovare un improbabile interlocutore. In più mi trovo a criticare la posizione che equipara Renzi a Bersani, e più ancora quella che sostiene che Grillo sia migliore di Bersani.
In questa fase, vista la nostra debolezza, non possiamo pretendere tutto e subito, ma dobbiamo essere responsabili, e per le ragioni esposte prima, e per come l’elettorato percepisce la situazione italiana, trovo irresponsabile e sbagliato, che Rifondazione Comunista, non provi a cercare un accordo col centrosinistra, cercando di inserirsi nel dibattito che attraversa il Pd sul superamento dell’agenda Monti, cercando insieme alle altre forze di sinistra, di influenzare e spostare la linea di quest’ultimo. Magari non è il meglio che si possa prevedere, ma nell’arretrata situazione attuale, il dialogo col centrosinistra e l’inserimento in un dibattito visto dal popolo italiano come centrale, sarebbe un mancare al senso di responsabilità che contraddistingue i comunisti e la Rifondazione Comunista. Forse è vero che col centrosinistra comunque non otterremmo molto, ma è l’unica possibilità, secondo me, al momento per cercare di tornare in gioco, e sicuramente otterremmo di più dentro l’istituzione che fuori, perché è sicuramente vero che un’altra legislatura fuori dal Parlamento ci comprometterebbe per sempre. Purtroppo è una fase in cui la Sinistra non può pretendere tanto, ed è quindi il momento di essere realisti e rinunciare a qualcosa in cambio della sopravvivenza. E’ il momento in cui ricamarci uno spazio che ci ridia un po’ di ossigeno, sopratutto se si fa massa critica a sinistra con Sel e il Pdci, nonostante i rapporti di forza non sono siano a nostro favore, ma in questa fase è necessario essere più pragmatici che ideologici.
Chiudo, aggiungendo un altro punto di conflitto, pensando che sostenendo la candidatura di Vendola alle primarie, si possa tentar di ricostruire quello spazio a sinistra che possa spostare gli equilibri e che possa agglomerare la sinistra, cercando di arginare lo spostamento verso il centro del Pd, una prospettiva che è fortemente rigettata dalla direzione nazionale.
Alla luce di tutto ciò, posso dire, che l’ascolto da parte degli altri compagni è stato pari a zero, e vari compagni dei Giovani Comunisti, hanno perfino richiesto le mie dimissioni o l’allontanamento dal partito in virtù del fatto che non sono in linea con le posizioni dominanti. Io dopo quasi sette anni che mi trovo in maggioranza ho sempre considerato le minoranze del partito come soggetti che contribuivano al dibattito interno e che non erano da eliminare ma con cui si doveva dialogare, e che mai ho pensato di voler escludere dal partito. Ora mi trovo nella situazione in cui sono io a essere discriminato per le mie posizioni e a essere visto come un elemento di troppo che va allontanato o “epurato” dal partito. E viste le eccessive pressioni che ho subito, mi trovo nella condizione in cui non posso più riconoscere Rifondazione Comunista come la mia famiglia e la mia casa, ed è per questo che mi dimetto dalle mie cariche e da questo partito, nella speranza di trovare la mia strada.
Questo potrebbe non essere un addio, ma la situazione che ho descritto mi porta alla necessità di un allontanamento, per la diversa prospettiva che caratterizza le mie idee rispetto a quelle del partito, dove purtroppo ho riscontrato un’eccessiva chiusura, quasi stalinista, verso chi la pensa diversamente, ed un’eccessiva convinzione di detenzione della verità, che porta all’allontanamento dalla realtà che ci circonda, per una rincorsa estenuante di settarismi ed ideologismi i quali conducono solo all’auto-testimonianza.
Detto questo, spero che la mia scelta, seppur non condivisa, venga compresa ed accettata e che i rapporti umani che in questi anni ho stretto con vari esponenti del partito, possano non essere compromessi, perché in sette anni di militanza è indubbio che mi sia affezionato ad alcune persone, e mi dispiacerebbe interromperne completamente le relazioni.
In maniera ragionata, ma con non poca sofferenza, mando questa missiva.
Marco Craighero
Non ho ascoltato Ferrero e la discussione nel cpn, ma condivido… dobbiamo cambiare! Temo che le scelte isolazioniste del segretario ci condanneranno, noi teniamoci pronti…
Ciao Simone, condivido tutta la tua riflessione.
Sarà perchè mia figlia (sedici anni) ha partecipato all’occupazione del suo liceo, il Socrate?.
No, non solo per quello, ma come dici tu perchè da loro sto imparando pratiche e linguaggi che, certamente, non entrano nelle stanze grige. Io ho cominciao a dirlo che se non impariamo a guardare il mondo con i loro occhi saremo sconfitti dalla Storia.
Ovviamente la cultura del rottamare non mi appartiene, ma neanche quella di perseverare nell’errore.
Buona fortuna a [email protected] noi
Serena
Grazie Serena, non avrei saputo scriverlo meglio. E’ il loro sguardo che deve essere decisivo. Dobbiamo correre incontro al nostro futuro, altrimenti rimarremo incagliati nelle nostre liturgie e nei nostri errori… e non avremo scampo!
un abbraccio e buona fortuna anche a te,
Simone
Congratulazioni per il lavoro che state facendo per far risalire una sinistra Italiana.
Sono un nuovo tesserato Tommaso Cedroni nato a roma il 27/12/1960 e residente da qualche anno in Cerveteri.
Ho conosciuto Mario Priarolo e subito ho fatto amicizia, sposando il suo pensiero politico dandogli fiducia con la tessera ed essere di aiuto nei banchetti estemporanei nelle piazze di cerveteri/ladispoli.
UNITI SI VINCERA’ SEMPRE E NOI NON DOBBIAMO MOLLARE MAI.
Coordinatore Infermieristico
Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma
Ha senso farsi “pervadere” dai movimenti quando questi portano delle questioni e soprattutto si assumono la responsabilità di portarle avanti.
Troppo comodo dire “vogliamo più soldi per la scuola pubblica” e poi disinteressarsi di come ottenere questi risultati.
Poi ovvio che questi votano per il PD, gli si presentano all’ultimo come quelli che possono portare avanti le loro istanze (ma anche quelle delle private etc etc). O sono movimenti “maturi” e con le spalle grosse o è meglio lasciar perdere perché ci si rovina solo il fegato.
Ottimo intervento del compagno Burgio!
Alberto BurgioCPNRifondazione comunista
Intervento di Alberto Burgio al Comitato politico nazionale PRC :: 17 – 18 novembre 2012
1. Comincio questo intervento dichiarando il mio disagio per essere costretto a concentrarmi sui nostri problemi trascurando questioni rilevanti e in parte drammatiche che stanno segnando queste giornate: penso all’esito delle elezioni negli Stati Uniti, al congresso del partito comunista cinese e alla tragedia di Gaza, che produce morte e sofferenza ed evoca il rischio concreto di una nuova guerra che potrebbe incendiare tutto il Medio Oriente. Spero avremo presto modo di confrontarci su questi temi e di approfondirli come meritano. Ma il tempo è tiranno e occorre che ciascuno di noi prenda intanto posizione in questa nostra discussione. Nei pochi minuti che ho a disposizione mi limiterò a tre questioni sollevate dalla relazione del segretario.
2. La prima concerne una questione di parole: quindi una questione niente affatto trascurabile. Ferrero ha presentato la nostra posizione parlando della necessità di costruire una «terza repubblica». Io chiederei di evitare con cura questa espressione, e ciò per diversi motivi.
Il primo è che essa evoca con forza un periodo oscuro della storia politica francese, segnato da revanscismo e nazionalismo, colonialismo e antisemitismo (la Terza Repubblica fu in qualche modo inaugurata dall’affaire Dreyfus, e si può sostenere che senza di essa non ci sarebbe stata la Francia di Vichy). Non so se Montezemolo pensi a questi trascorsi nell’intitolare la propria iniziativa al progetto di fondare una terza repubblica; ne dubito; ma certo quell’esperienza storica non è in contraddizione con le sue idee come con le nostre – e comunque (ecco un secondo motivo) eviterei di parlare di «terza repubblica» anche per evitare qualsiasi confusione con l’attivismo pro-montiano del presidente della Ferrari e dei suoi sodali.
Infine, parlare di «terza repubblica» comporta il riconoscimento della «seconda repubblica», e su questo punto credo ci si debba intendere tra noi. Con l’espressione «seconda repubblica» si è etichettato il periodo (dagli anni Novanta ad oggi) iniziato con le riforme istituzionali (costituzionali ed elettorali) e con l’adesione all’Europa di Maastricht. La cosiddetta seconda repubblica è la fase della costituzionalizzazione di fatto del neoliberismo e del bipolarismo coatto, in forza della quale si è portato a compimento – insieme alla precarizzazione organica del lavoro, alla privatizzazione dell’economia e delle istituzioni e alla massima polarizzazione sociale – il processo di emarginazione dei comunisti avviato con la Bolognina.
Il giudizio su questa fase non è certo tra noi motivo di discussione, né, quindi, la convinzione che da essa sia necessario uscire, per restituire piena efficacia al disegno sociale e istituzionale inscritto nella Costituzione antifascista. Ma parlare di «seconda repubblica» presenta un inconveniente: implica riconoscere il rango costituzionale della regressione verificatasi in questo ventennio (di norma, la scansione tra una prima, una seconda e una terza repubblica coincide con il varo di nuove Carte costituzionali), laddove si è trattato piuttosto di forzature operate tramite legislazione ordinaria o della semplice adozione e imposizione di soluzioni di prassi. Voglio dire che chi ha per primo parlato di «seconda repubblica» l’ha fatto per mettere il paese di fronte al fatto compiuto, per legittimare quei cambiamenti e per suggerire che – benché introdotti con mezzi normativi impropri o mercé l’uso disinvolto del potere maggioritario – essi valevano ormai come norma indiscutibile, cristallizzata.
Insomma, «seconda repubblica» è un concetto del lessico politico e storico dei ceti dominanti e il fatto che anche noi lo si sia impiegato nella polemica di ogni giorno non ci deve far perdere di vista la sua origine e il suo segno regressivo. Anche per questo bisogna evitare di inserire il concetto di «terza repubblica» nel nostro linguaggio e – soprattutto – nella nostra progettualità politica. Una cosa è usare termini dell’avversario per farsi capire nel dibattito politico, tutt’altra cosa è consacrarne la terminologia, interiorizzarla e legittimarla, con tutto ciò che essa comporta in termini di interpretazione e valutazione dei processi politici.
3. Vengo alla seconda questione – l’unità della sinistra – che è poi il centro stesso della nostra discussione.
Ferrero ha detto che tutti nostri appelli all’unità della sinistra sono sistematicamente caduti nel vuoto – e suppongo alludesse tanto all’ambito della Federazione della sinistra (giunta al punto più basso della sua non gloriosa esperienza), quanto al contesto dei rapporti con le altre forze di alternativa (a cominciare da Sel). Io penso tuttavia che, quando si fa un bilancio di questo genere, bisognerebbe sempre chiedersi se su un esito tanto deludente non pesino anche responsabilità proprie.
Siamo proprio sicuri di avere fatto sempre tutto il possibile perché quegli appelli andassero a buon fine? Possiamo dirci certi che, se le cose sono andate così, ciò si deve esclusivamente alla volontà dei nostri interlocutori? Parlando della Fds (ma il discorso vale anche per i rapporti con le altre forze della sinistra), il segretario ha ammonito a non banalizzare le divergenze, che – ha detto – non discendono da fattori soggettivi, idiosincratici, ma riflettono concrete differenze politiche. Ma queste differenze non bastano a spiegare di per sé l’insuccesso degli appelli unitari per il semplice fatto che questi appelli riposavano su elementi condivisi. Se ci fossero soltanto differenze, non sarebbe possibile alcuna iniziativa unitaria: allora il problema è: come mai ci ritroviamo isolati nonostante condividiamo con altre forze politiche analisi e proposte che ci hanno indotto ad assumere iniziative unitarie? Questa è la domanda alla quale si dovrebbe rispondere e credo che una risposta seria coinvolga anche responsabilità nostre (anche: nessuno qui si sogna di ignorare l’influenza dei comportamenti altrui). Come ho detto innumerevoli volte (anche, da ultimo, in occasione del Consiglio nazionale della Federazione), a me pare che la linea unitaria sia stata – anche da parte nostra – piuttosto proclamata che praticata.
Per quanto concerne la Federazione, essa (come osservava il compagno Guagliardi) è stata imprigionata – anche per nostra responsabilità – nella logica del puro e semplice cartello elettorale. Non si è mai lavorato a un processo politico di consolidamento delle relazioni, sicché la sua sostanziale – e speriamo non definitiva – implosione non è un incidente di percorso ma il risultato perseguito. All’opposto di quanto è stato qui sostenuto dalla compagna Barbarossa (che non ha mai fatto mistero di avversare la Federazione), l’impasse della Fds non è il riflesso di differenze incolmabili: è piuttosto vero il contrario: queste differenze sono rimaste immutabili e si sono persino acuite proprio perché da parte di molti sin dall’inizio si è puntato a mettere in mora la Federazione. Chi, fuori e dentro il partito, ha operato in coerenza con tali posizioni si è assunto una grave responsabilità perché non mi pare possa esserci dubbio sul fatto che la separazione delle forze che avevano dato vita alla Federazione rende ancor più problematica la nostra stessa sopravvivenza.
Quanto osservato sin qui a proposito della Federazione credo valga in larga misura anche per i rapporti con le forze di alternativa che non ne fanno parte. Non mi sfugge che il gruppo dirigente di Sel ha risposto negativamente a molte nostre proposte, e lo stesso vale per quello dell’Idv (il voto siciliano ne è l’ultima sciagurata conferma). Ma anche su questo terreno troppe volte noi stessi abbiamo mostrato di pensare e di fare il contrario di quanto dicevamo, declinando in modo non molto nobile il modello della «doppiezza» di togliattiana memoria.
Non me ne stupisco più di tanto, beninteso. L’unità è faticosa. Mette in discussione sovranità (o micro-sovranità) e identità. È una sfida, perché si colloca nel campo della contraddizione. Quindi non sorprendono resistenze settarie e minoritarie. Ma queste resistenze vanno contrastate e battute, poiché – come hanno detto prima di me, tra gli altri, i compagni Sconciaforni e Petrini – questa è la fase nella quale unire la sinistra rappresenta l’obiettivo prioritario. E vanno battute, queste resistenze, anche per un fatto radicale, di cultura politica. Esse riposano di norma su una scissione (e contrapposizione) tra il terreno sociale e il terreno politico-istituzionale che denota una elementarità nella lettura dei processi e delle dinamiche conflittuali. Ci si può riferire a Ingrao o allo stesso Gramsci finché si vuole, ma sfido chiunque a trovare nell’uno o nell’altro un’attitudine di tale primitivismo, che richiama piuttosto schemi anarco-sindacalistici. Il marxismo teorico italiano, nelle sue pagine più alte, dovrebbe avere insegnato che il conflitto sociale e il conflitto politico si sviluppano di pari passo, sono momenti dello stesso processo. E del resto dovrebbe bastare l’esercizio di un po’ di buon senso per trarre questa stessa lezione dalla nostra esperienza di questi ultimi cinque anni.
4. Vengo così all’ultimo punto che intendo toccare brevemente: la proposta politica avanzata dal segretario in ordine alla costruzione del polo di sinistra in vista del prossimo – decisivo – appuntamento elettorale nazionale.
Considero opportuno l’uso di toni drammatici da parte di Ferrero, che nella sua relazione non ha esitato a dire che alle prossime politiche si tratta né più né meno che di «salvare la pelle», invitandoci a confrontarci su soluzioni efficaci. Se siamo d’accordo che la sopravvivenza di Rifondazione comunista è un fine in sé (non per salvare un ceto politico, ma per salvaguardare un presidio politico in grado di sostenere, promuovere, coordinare e auspicabilmente dirigere il conflitto di classe), dovremmo esserlo anche nel considerare assai grave e delicato il momento nel quale ci troviamo. E sinceramente non mi riesce di comprendere quei compagni che banalizzano i rischi che il partito corre, rappresentandosi la possibilità di tenere in piedi la nostra organizzazione e di consentirle di svolgere un’attività non puramente testimoniale rimanendo per un’altra legislatura fuori dal parlamento nazionale. Come diceva il compagno Cangemi, non è questione di «cretinismo parlamentare», ma di sobrietà e di principio di realtà.
Come hanno detto molti compagni prima di me, la proposta del segretario è condivisibile e deve essere da noi assunta e praticata sin da oggi con la massima determinazione. In questo la campagna referendaria è di certo un momento-chiave, sia per le opportunità che offre di costruire relazioni e pratiche unitarie, sia perché il successo nella raccolta delle firme costituirebbe per il partito un risultato molto importante in termini di credibilità.
Trovo anche molto importante quanto sottolineato dal compagno Oggionni: senza assumere alcuna posizione escludente (è fuor di dubbio l’esigenza di interagire costruttivamente con l’iniziativa di De Magistris e dei 70, come pure con Alba), la nostra pratica unitaria deve muoversi lucidamente sotto il vincolo dell’efficacia avendo a cuore in primo luogo la massa critica che ci dobbiamo proporre di raggiungere. Di qui la necessità di puntare con la massima determinazione alle principali forze sociali e politiche della sinistra, a cominciare dalla Fiom, da Sel e dall’Idv.. Battendo da una parte le resistenze anti-partito che proliferano anche a sinistra (segno della pervasiva egemonia dell’anti-politica), dall’altra le residue propensioni settarie di chi, anche tra noi, non si stanca di ricordarci che questi soggetti sono diversi da noi, come se i rapporti politici e gli accordi non presupponessero, per l’appunto, differenze e divergenze.
Andiamo avanti, dunque, nella costruzione di rapporti unitari, con più forza e decisione di quanta non ne abbiamo mostrata sin qui. E con la consapevolezza di un punto-chiave. Siamo (e vi resteremo, sino alla pausa festiva di fine anno) nella fase di massima incertezza e fluidità. La situazione è quanto mai aperta, indeterminata. E noi non siamo di certo i soli a riflettere su queste questioni, ad essere attraversati da queste incertezze e da questo travaglio. Tutti i nostri interlocutori sono alle prese con questo stesso dibattito, e credo lo sia anche – fatte le debite distinzioni – il Partito democratico, benché i sondaggi e le altrui difficoltà lo rappresentino come una forza organica e coesa. In realtà la crisi generale attraversa tutte le forze della sinistra e dello stesso centrosinistra. Ed è una crisi ancora lontana dal concludersi. Molto probabilmente nel corso della prossima legislatura si verificheranno in tutto il sistema della rappresentanza in Italia trasformazioni molto profonde che coinvolgeranno anche noi, e alle quali anche noi dovremo essere preparati.
Alberto Burgio
complimenti sei sulla Repubblica di oggi, che bello vai avanti così