Scrivo queste note appena rientrato in Italia, dopo dieci giorni di viaggio in Cina. Queste mie righe hanno il solo obiettivo di accennare o alludere a cinque grandi questioni che quest’esperienza (un viaggio di studio organizzato dal Dipartimento Esteri del Partito comunista cinese) ha fatto risaltare, senza alcuna pretesa di completezza e organicità, per le quali rimando a riflessioni che avremo modo di comporre nelle prossime settimane.
In premessa, una dichiarazione epistemologica: l’approccio alla realtà che scelgo – l’unico che sono in grado di pensare – tenta di bandire ogni pretesa eurocentrica (il nostro non è l’unico mondo possibile, la nostra non è l’unica cultura possibile) e al contempo fissa alcuni punti di riferimento (tra tutti la razionalità e la capacità espansiva dell’economia e il grado di protagonismo, diretto e indiretto, dei lavoratori) che fungano da criteri interpretativi e valutativi generali.
Il primo tema con cui confrontarsi è la straordinaria crescita economica della Cina accumulata dal 1949 e, con un ritmo travolgente, dalla politica di riforma e apertura stabilita da Deng dopo il fallimento della Rivoluzione culturale. È una crescita incontestabile e con pochi precedenti nella storia dell’umanità.
Dal 1949 al 2009 il Pil cinese è aumentato di 77 volte, l’incasso fiscale di 1000 volte, la produzione elettrica di 805 volte, il volume del commercio estero di 2266 volte, la riserva di valuta estera di 14mila volte.
Dal 1978, in particolare, la Cina registra una crescita media del Pil del 9,5%. Il reddito pro capite annuale in quell’anno era di 200 dollari (per 1 miliardo di persone). Nel 2010 ha raggiunto i 5000 dollari (per 1 miliardo 350 milioni di persone). È già la seconda economia mondiale ed entro il 2025 scavalcherà anche gli Stati Uniti (ogni dodici mesi Goldman Sachs rivede la previsione, anticipandola di qualche anno).
Vado a vivere in Cina (19/04/2012 rassegna.it) Informazioni e consigli per chi vuole andare a vivere in Cina. Farsi una pensione, cambiare residenza, cambiare e spedire valuta in Italia. Una guida ristretta su come affrontare i problemi della vita quotidiana in terra straniera DI GAIA ALESSI
E’ anche su Marx21. Ringrazio i curatori del sito.
http://www.marx21.it/internazionale/cina/1494-quanto-e-vicina-la-cina.html
La rivoluzione nel mercato mondiale passa (nuovamente) dalla Cina
12 Aprile 2012 16:23 Internazionale – Economia
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di Pasquale Cicalese per Marx21.it
Gli occidentali si stracciano le vesti, le borse sprofondano giacché il segnale che proviene dall’import cinese di marzo (+5,9% annuo) rifletterebbe la frenata dura dell’economica di quel Paese.
Gli occidentali, immemori, non sembrano dare conto di un dato storico: nel primo trimestre del 2002 l’attivo commerciale della Cina è di appena 670 milioni di dollari, contro circa 40 miliardi di euro del surplus tedesco nello stesso periodo.
Tale numero rivela un cambiamento storico nel mercato mondiale. Per capirlo è utile analizzare cosa è avvenuto in Asia a partire dalla crisi del ‘97/’98. In quel periodo tutte le tigri cadono a terra, Fondo Monetario e Banca Mondiale si precipitano nelle capitali asiatiche per imporre alle popolazione di quei paesi il cosiddetto “Washington Consensus”, vale a dire terapie d’urto consistenti in privatizzazioni, deregolamentazioni, liberalizzazioni delle finanze e abbassamento dei livelli di vita.
Contro i desiderata occidentali avvengono però tre fatti “storici”: 1) i coreani si precipitano a decine di migliaia a consegnare oro alla banca centrale; con questo messaggio fanno capire chiaramente che non hanno nessuna intenzione di perdere un apparato industriale costruito con il sangue; 2) il premier malese Mahatir Mohamed sbatte fuori gli emissari del “Washington Consensus” e adotta politiche espansive; 3) fattore sconvolgente, che spiazzerà gli occidentali, è la mossa cinese di non svalutare lo yuan permettendo alle altre valute asiatiche di aver sbocchi commerciali.
Con questa mossa la dirigenza cinese si assicura l’amicizia delle potenze asiatiche nel primo decennio del 2000.
Dopo la crisi asiatica, e quella russa, che permetterà a Wall Street di raggiungere il record delle quotazioni azionarie e di rimandare la propria recessione, visto il notevole afflusso di capitali verso gli USA, un altro fattore sconvolgerà il mercato mondiale, vale a dire l’entrata della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, avvenuta nel 2001 in risposta alla non interferenza da parte cinese della futura invasione statunitense in Afghanistan, a cui seguirà la fine dell’Accordo Multifibre, in vigore dal 1974 e che permetteva un forte protezionismo da parte occidentale del settore tessile e dell’abbigliamento. Con queste due mosse la dirigenza cinese conquista il mercato mondiale, contribuendo ad una crescita vigorosa del PIL grazie al notevole surplus commerciale.
La crisi del 2007/2008, che gli asiatici definiscono “crisi atlantica”, porta ad un repentino cambio di rotta. In risposta alla debacle occidentale, il Consiglio di Stato cinese, l’organo di governo centrale, annuncia nel marzo del 2009 un piano di espansione fiscale di 600 miliardi di dollari, trascinando con sé i produttori di materie prime asiatici, sudamericani, africani e dell’Oceania, contribuendo alla risalita del commercio mondiale.
Contemporaneamente, dal lato della politica monetaria si assiste ad una vera e propria rivoluzione, data dalla sterilizzazione monetaria e da una lenta, ma costante rivalutazione dello yuan rispetto al dollaro e, da qui, all’euro. Nel giro di pochi anni la moneta cinese si rivaluta sul dollaro del 30% e sull’euro di circa il 26%.
Nel 2011 il Consiglio di Stato, dando il via al Piano Quinquennale, informa la comunità internazionale che la Cina intende aumentare notevolmente l’import di beni energetici, di impiantistica, di tecnologie e di beni di consumo, ponendo l’accento su di un graduale aumento dell’interscambio commerciale e facendo a meno degli storici surplus che caratterizzavano l’economia di quel Paese negli anni 2000.
La People’s Bank of China, per mano della vice-governatrice Yi Gang, autrice di un rapporto sulla strategia monetaria di questo decennio pubblicato due anni fa, indirizza tale politica con 3 punti: rivalutazione della moneta e aumento degli investimenti all’estero, internazionalizzazione dello yuan come strumento di riserva monetaria e crescita basata sulla domanda interna tramite la reflazione salariale e l’aumento del salario sociale globale di classe.
Il dato dell’interscambio del primo trimestre 2012 mostra che tale strategia sta avendo successo, giacché il Pil di questo periodo, che è stimato pari all’8,2% annuale, è interamente dovuto alla domanda interna, vale a dire investimenti e consumi, costituendo le esportazioni nette un contributo nullo, visto l’azzeramento del surplus commerciale.
Dopo decenni, dunque, la crescita cinese, è autopropulsiva, affatto dipendente dall’estero, specie dall’Occidente e l’aumento dell’import lascia prefigurare una politica espansiva attuata nel commercio mondiale, specie negli scambi sud-sud.
Questo in un contesto caratterizzato da un tasso di interesse del 6,5%, da una restrizione monetaria dura, con riserve obbligatorie al 20,5% dei depositi, e da una politica fiscale “prudente”: ciò significa che i cinesi hanno ampi margini per compensare una minore dinamica dell’export e per far fronte alla “crisi atlantica”.
C’è poi da fare un’altra considerazione: crescere al ritmo del 10% con un Pil nominale a 3 mila miliardi di dollari è ben diverso dal crescere del 7,5% unicamente con fattori interni con un Pil di 7 mila miliardi di dollari; in termini assoluti il secondo dato è ben più alto e qualitativamente è ben altra cosa…E questo sarebbe il processo che gli occidentali definiscono “atterraggio duro” o recessione!
Cina. L’ex potente funzionario sospeso dal Politburo – Sospetti di omicidio sulla compagna
Silurato Bo, indagata la moglie
Francesco Sisci
PECHINO
In una nuova evoluzione del più grande giallo politico della Cina dai tempi di Lin Biao, morto in circostanze misteriose dopo un fallito colpo di Stato contro Mao nel 1971, Bo Xilai ieri è stato espulso dal comitato centrale e dal Politburo ed è sotto inchiesta della commissione di disciplina del partito. Il 15 marzo era stato già deposto da capo della megalopoli di Chongqing.
È la fine politica di un uomo che sembrava dover arrivare ai vertici del potere cinese e che stava cercando di imporre una linea “neo-maoista”. I vertici del Paese, per la prima volta nella storia del partito, si sentono oggi di fatto obbligati a tenere l’opinione pubblica interna ed esterna informata delle evoluzioni del processo decisionale.
La storia presenta molti risvolti inquietanti. Wang Lijun, ex braccio destro di Bo e capo della polizia di Chongqing, la cui tentata fuga al consolato americano il 6 febbraio ha aperto il caso, ha dato agli Usa materiale di cui Pechino non è bene a conoscenza. Quindi se il Governo non vuole trovarsi in imbarazzo all’esterno deve giocare a carte più o meno scoperte su una delicata vicenda interna in cui in passato il segreto rimaneva di fatto assoluto.
Ma questo è solo il primo velo di una storia misteriosa per tutti. La fuga di Wang, e forse una prima indagine su Bo, pare sia stata causata dalla misteriosa morte a novembre, in circostanze sospette, di Neil Heywood, 41 anni, socio in affari di Gu Kailai, moglie di Bo.
L’uomo sarebbe morto per infarto, secondo una versione, e il corpo è stato subito cremato.
La cremazione, per investigatori ultra sospettosi come quelli cinesi, sa quasi di ammissione di colpa da parte di persone vicino alla Gu. «Se la morte fosse davvero dovuta a cause naturali perché la fretta di procedere alla cremazione?» pensano alcuni investigatori cinesi che hanno messo la Gu ufficialmente sotto inchiesta per sospetto di omicidio.
Heywood non era un uomo d’affari come tanti. In passato era stato agente dell’MI6, il servizio di intelligence esterno britannico, e manteneva rapporti di lavoro con un servizio di informazioni privato pieno di ex agenti dell’MI6.
Questo fatto, la sua morte poco chiara, la tentata fuga nel consolato di un capo della polizia, col grado di vice ministro, moltiplicano i sospetti di Pechino, già paranoica normalmente.
La storia, secondo le autorità, puzza di tradimento verso un Paese straniero, non è più solo una questione di politica interna. In realtà tale sospetto tocca un elemento molto delicato del sistema cinese. Tutti i leader hanno infatti mandato i loro figli a studiare in America, e tanti anche in Gran Bretagna. Figli, mogli, parenti hanno tutti rapporti d’affari e d’amicizia con stranieri con identità che a volte potrebbero essere sospette.
È impossibile isolare queste famiglie, quindi il Governo oggi potrebbe sentirsi costretto a essere più aperto con gli americani, per arginare eventuali fughe di notizie da altre parti. Ciò potrebbe portare un’evoluzione nel sistema cinese di maggiore apertura verso gli Usa, che in questo caso poi si stanno «comportando bene» secondo Pechino. Washington, infatti, ha rifiutato l’asilo politico a Wang e non ha rivelato alla stampa il contenuto delle dichiarazioni o dei documenti di Wang al consolato. Entrambe le cose avrebbero messo in estremo imbarazzo Pechino.
Infine, c’è il fatto che negli ultimi 15 anni tutte le grandi sfide alla leadership del partito sono venute dalla sinistra conservatrice, i Falungong nel 1999 e Bo Xilai oggi. Cosa che potrebbe spingere il partito a essere oggi più audace sulla strada delle riforme politiche.
Ma Pechino in ogni caso non ama essere costretta alle sue scelte da elementi esterni e ciò peraltro non risolve il quesito sulla morte di Heywood. Perché la Gu l’avrebbe ucciso? Per metterlo a tacere su questioni di soldi? O c’era anche altro? Presto potrebbero esserci nuove rivelazioni.
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interessante…. lo stanno massacrando!!
per Paolo:
Caro Paolo,
ti ringrazio davvero molto per il tuo commento e l’interesse che hai dimostrato.
Interloquisco allora soltanto sui due nodi che non sciogli, considerando invece che condivido totalmente tutte le tue riflessioni critiche.
Primo punto. Ho scritto che il settore privato è il vero motore economico della Cina basandomi sui dati che gli stessi compagni cinesi ci hanno messo a disposizione. Dal 2006 la Cina è la principale meta di investimenti privati stranieri, con più di mezzo milione di imprese in regime di joint venture o pienamente controllate da capitali stranieri. Parliamo di un investimento di oltre 800 miliardi di dollari. Questo processo, ampiamente agevolato dall’ingresso nella WTO del 2001, fa sì che oggi circa il 55% della crescita economica cinese sia frutto dell’attività del settore privato (proprio in virtù di un investimento di capitale estero massiccio).
Secondo punto: il sindacato. Da questo punto di vista parlo sulla base di quello che abbiamo potuto vedere direttamente in due incontri con il management di due grandi colossi (uno nel campo dei macchinari industriali, l’altro nel settore alimentare): l’impressione è che il sindacato eserciti un ruolo di mediazione tra gli interessi dei lavoratori e quelli dell’impresa, inducendo come primo obiettivo i lavoratori al massimo della disciplina. Si tenga conto che la tipologia di contratti più diffusa nel settore privato è quella del contratto annuale rinnovabile a discrezione dell’azienda di anno in anno. E’ facilmente immaginabile la condizione di precarietà e di solitudine – proprio a causa del ruolo giocato dal sindacato – nella quale si trovano questi lavoratori.
Per ora è tutto: un caro saluto,
Simone Oggionni
Grazie per la risposta.
Solo una battuta su pubblico e privato.
Sullo stabilire quanta ricchezza sia prodotta dal pubblico e quanta dal privato, c’è un problema di definizione del pubblico e del privato.
Le joint venture vengono spesso registrate come private, anche se magari il capitale pubblico cinese è maggioritario rispetto al privato straniero.
C’è poi la questione della partecipazione del pubblico alla giungla delle società per azioni, da un’indagine di polizia nata da una causa di lavoro è emerso che la proprietà della Huawei, formalmente registrata come privata, è in mano a soggetti pubblici.
Buon lavoro,
Paolo
Grazie per le informazioni e i dettagli!
Simone
Chi l’ha pagato il viaggio guidato dalla tour operator PCC ad Oggionni?
Inizia a lavorare in Italia che tra poco le paghe del Guangdong ci sembreranno alte…
tu non sei antistalinista, sei semplicemente un provocatore! quindi dicci chi sei! il viaggio in Cina di 12 compagni, non di Oggionni, l’ha pagato il partito comunista cinese – dipartimento esteri. dal primo all’ultimo centesimo. Sei contento? hai qualcosa da dire?
coglione!
Imola…
La manifestazione del 12 maggio: un impegno straordinario!
di Fabio Nobile
La direttrice catastrofica presa dall’Europa nella gestione della crisi, vede in Monti l’interprete più conseguente. Mentre lo spread sale e scende. La partita vera, quindi, si gioca in Europa, ma per partecipare a quella partita, noi dobbiamo saper affrontare la situazione nel nostro Paese.
Come ci siamo più volte detti, la sospensione della democrazia è la cornice dentro cui il crimine contro i lavoratori viene perpetrato in Italia ed in Europa.
E questo è un dato da non dimenticare nelle nostre riflessioni, perché tale sospensione è resa possibile in Italia dal sostegno delle maggiori forze politiche (PD;PDL;Terzo Polo) e del Presidente della Repubblica.
Dopo l’attacco alle pensioni, i tagli, le tasse e l’accelerazione delle procedure per le privatizzazioni ecco la controriforma del mercato del lavoro. Viene definita storica dal Presidente del Consiglio. Un tassello, dice Monti, fondamentale per rilanciare la crescita. Ebbene mentre la Confindustria e la destra chiedono lo scalpo dei lavoratori, considerando ancora non sufficiente quanto scritto sul disegno di legge, il Pd e la Cgil parlano di un risultato strappato sull’art.18. Seppure nella CGIL permane la critica sulla riforma complessiva, tale critica scompare nel PD. Ma risultato strappato per cosa e per chi? In realtà l’art. 18 è superato, la precarietà è per tutti, con l’aggiunta drammatica della riduzione degli ammortizzatori sociali. Un provvedimento devastante.
Ebbene mentre in Spagna, piuttosto che in Portogallo, in Grecia e in Francia la sinistra di classe, i comunisti e le organizzazioni sindacali più combattive stanno organizzando un livello di mobilitazione mai conosciuto in questi anni, da noi tutto è più difficile. Il ruolo del PD, la debolezza e le incertezze della sinistra e con essi le contraddizioni della CGIL mettono il freno a mano tirato ad una mobilitazione di massa quanto mai necessaria.
D’altra parte il Governo Monti-Napolitano e la stagione che ha aperto si pone l’obiettivo di modificare il quadro politico e di normalizzarlo. Lo stesso attacco della magistratura alla Lega e a Lusi, pur evidenziando il desolante quadro corruttivo di quei partiti e non credo che le “sorprese” siano finite, viene utilizzato per delegittimare ulteriormente la politica, per affondare i colpi delle cosiddette riforme. Legge elettorale, riforme istituzionali, tutte questioni aperte, ma che a quanto pare puntano a chiudere per costruire la futura legislatura ad immagine e somiglianza dell’ultima fase di questa.
Ma gli effetti delle politiche di Monti stanno cominciando, assieme all’aggravarsi della crisi, ad essere avvertite dai lavoratori e dai settori popolari, e la stessa debacle giudiziaria della Lega e le difficoltà del PD aprono spazi per la ripresa di una sinistra credibile e determinata. Uno spazio che risiede in primo luogo in quella larga fascia della classe lavoratrice che ha ingrossato le fila degli astensionisti, senza dimenticare che in questi anni si è spostata a destra. Uno spazio, quindi, mai scontato. Dobbiamo essere coscienti , infatti, che senza l’iniziativa decisa della sinistra, il qualunquismo o le diverse forme che può assumere la destra sono pronte ad assorbire il malessere sociale. Lo stesso PD può ricevere scossoni solo dalla presenza di una sinistra determinata e con un netto profilo politico.
Per tutte queste ragioni assume una rilevanza straordinaria la manifestazione nazionale indetta per il 12 maggio dalla Federazione della Sinistra. Si sente l’urgenza di un segnale chiaro volto ad assumersi la responsabilità di mettere in campo un percorso capace di rilanciare una sinistra di classe e di lotta in questo Paese. Una sinistra dentro cui noi del PdCI e i comunisti in generale abbiamo e potremo avere un ruolo decisivo.
Una manifestazione straordinaria che sappia aprirsi ed interloquire con tutta la sinistra politica e sociale che si oppone all’esecutivo dei professori. Con chi ha prodotto iniziativa in questi mesi e con chi ha mostrato incertezze. Aperta ed inclusiva contro il massacro sociale e il Governo Monti, perché si tracci l’identità di una via d’uscita alternativa alla crisi, fatta di patrimoniale, ruolo pubblico in economia, difesa dei beni comuni, estensione dei diritti dei lavoratori. In sostanza, a partire dall’elemento simbolico e concreto dell’art.18, costruire la critica complessiva all’intera politica del governo e dell’Europa, questo è l’obiettivo.
La mobilitazione deve essere preparata con una vera e propria campagna nei territori, nei luoghi di lavoro, attraverso assemblee unitarie ovunque sia possibile in vista della scadenza. Bisogna lavorare affinché tanti siano i pullman che arrivino a Roma, ma allo stesso tempo perché tutta Italia sappia del 12 maggio. E’ chiaro che è un primo passo anche per uscire dalle timidezze tattiche che spesso ci paralizzano, ma un passo importante.
Un appuntamento che insieme può raggiungere molteplici obiettivi: 1) rafforzare un profilo politico netto della FDS e con essa dei Partiti che la compongono, 2) aprire una stagione di confronto nell’ azione che possa condizionare l’intera opposizione politica di sinistra al governo, 3) unire i comunisti tra loro in un lavoro comune che li renda vero motore di una meno eterea Federazione della Sinistra, 4) sollecitare un dibattito vero nel Paese 5) dialogare con quanto accade fuori dai confini nazionali.
Questo è il momento del coraggio e del protagonismo. Poi saremo in grado anche di fare i conti con le elezioni e con la gestione della fase successiva. Il Fronte De Gauche in Francia sta affrontando la campagna elettorale a colpi di corteo in tutte le città con lo slogan” Prendete il Potere”. Certamente la legge elettorale in Francia non è migliore che da noi e la loro condizione di partenza fino a pochissimi anni fa non era più esaltante della nostra. E anche se tutto non è riproducibile nel nostro Paese, con certezza è possibile mettere in campo la stessa determinazione. Mettiamocela tutta.
fabionobile.wordpress.com
Completamente d’accordo con Fabio Nobile. Simone
pubblicato qui: http://bellaciao.org/it/spip.php?article31245
Ottima analisi lucida e dettagliata..
Carissimi,
ho partecipato alla stesura del documento per un “nuovo soggetto politico” perché penso sia venuto il momento di mettere in campo un’altra politica che offra alla cittadinanza che non riesce ad identificarsi né negli attuali partiti né nella logica del cosiddetto Governo tecnico un’alternativa anche elettorale all’astensionismo e all’antipolitica.
Il nostro soggetto si rivolge a quella maggioranza di italiani che hanno votato no al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua, rifiutando in modo critico e consapevole l’atteggiamento dominante che predicava l’astensionismo o che praticava la strategia del silenzio. Ovviamente, fra quei 27 milioni di italiani che hanno capito l’esigenza di “invertire la rotta” rispetto ad un modello di sviluppo suicida ci sono le sensibilità politiche più diverse accomunate dalla volontà di difendere e promuovere i beni comuni costruendo un nuovo modello di pubblico, democratico e partecipato, che sappia opporsi con coraggio ed autorevolezza a privatizzazioni, statalismo e partitocrazia.
Vi sarei molto grato se trovaste il tempo di leggere il documento, riportato nel sito a calce e, in caso di condivisione, lo sottoscriveste inviandoci magari qualche commento.
E’ un processo dal basso quello che vogliamo far partire, apparentemente utopistico ma, come ci ha insegnato la campagna referendaria, mai dire mai!
Un saluto caro
Ugo Mattei
http://www.soggettopoliticonuovo.it/
Luisa, 43 anni, Palermo: insegnante precaria con 2 figli a carico
Roberto, 27 anni, Roma: part time call center, € 700 al mese
Martina, 29 anni, Verona: ricercatrice a progetto
Calogero, 31 anni, Reggio Calabria: impiegato in cassa integrazione, con genitore disabile
Abey, 47 anni, Filippine, Torino: badante senza contratto
Mario, 45 anni, Milano: libero professionista, idraulico, in crisi per il ritardo nei pagamenti delle ditte dove fa gli interventi
Mustafa, 51 anni, Marocco, Bari: bracciante agricolo stagionale
…care/i Compagne/i, in Italia come nel resto del mondo, tutti abbiamo bisogno di Comunismo e Rifondazione deve essere la stella polare che concretamente rappresenti una reale possibilità contro questo fallimentare e devastante liberismo.
La nostra storia parte dalle fabbriche, ma non sono solo gli operari a dover essere rappresentati, perchè troppo spesso parlo con persone che non si sentono rappresentate, ma anche queste, come quelle in elenco, sono realtà che hanno bisogno di Rifondazione: non dimentichiamolo mai!!!!
Grazie e un abbraccio !!!
Paolo
A tutti i giudici della Cina: ma vi rendete conto da che pulpito parlate? Non vi sentite piccoli piccoli e non vi vergognate un po’ di sparare giudizi su di un partito che è riuscito ad estrarre dalla povertà centinaia di milioni di persone?
per gianmpiero fasoli: ma che sta a dì??
http://www.marx21.it/internazionale/cina/1377-cina-il-piano-di-sviluppo-economico-e-sociale-per-il-2012.html
Cina: il piano di sviluppo economico e sociale per il 2012
di Alberto Gabriele
Ancora una volta condivido: non è né capitalismo nè comunismo, è una fase intermedia, un mostro bicefalo che va studiato con attenzione…
ottima analisi, complimenti sempre Simone
Dal “caso italiano” di democrazia più avanzata al “caso italiano” di liberismo e regressione dalla democrazia (3)
LE AZIONI NON SORRETTE DALLA TEORIA SONO IMPULSI INFRUTTIFERI” (Gramsci) Il titolo sui “diritti” è la perpetuazione del metodo introdotto da “destra” e da “sinistra”, all’inizio degli anni ’90, come rinuncia alla rivendicazione di potere sia sociale che politico dalla cui consistenza ha dipeso la conquista negli anni 60-70 dei “diritti” oggi in bilico e indifendibili proprio per l’assenza – in nome della “globalizzazione” e dei “diritti” – di ogni forma di contrattacco del potere della classe operaia al potere del sistema delle imprese. In linea con questa rinuncia, c’è poi la convergenza acritica sui c.d. “beni comuni” pur di non parlare più di socializzazione dei poteri e dell’economia e dello stato, e quindi di socialismo.
L’EPOCA DELLE COSTITUZIONI REGRESSIVE E DELLA REGRESSIONE DALLA DEMOCRAZIA
Governabilità “cinese” e riduzione della politca a potere di iniziativa e di indirizzo dei governi.
Un’epoca dove hanno reso plausibile l’inimmaginabile e dove la gente lo accetta
…Lo squadernarsi del rapporto “funzionale” delle modifiche costituzionali e del diritto e dello stato rispetto alle dinamiche della formazione sociale capitalistica, riguarda il significato che dal punto di vista culturale e dell’uso incontenibile della “ideologia” manipolatrice di ogni teoria sociale è venuta assumendo nel mondo l’aggressività della strategia del capitalismo finanziario angloamericano ed europeo, che dopo l’URSS anziché dar luogo alla “fine della storia” e del “900”, proprio al contrario ha aperto scenari nuovi per spinte ad un “dominio reale” di dimensione mondiale. Le tre scuole dei rapporti internazionali: quella realista-conservatrice, quella liberale e quella marxista dell’imperialismo
Lezioni di “governabilità” dalla Cina
Lo Stato “borghese” è stato solamente considerato un “apparato repressivo” ed una “macchina” da rompere. Da qui il vuoto sui temi del diritto e dei differenti modelli costituzionali (ad esempio della differenza tra costituzione e stato liberale e costituzione stato democratico) o sulla variabilità storica delle forme di Stato, che ha reso sia i post marxisti (sia certo marxismo economicistico e deterministico), sia sul terreno teorico che soprattutto su quello dei fatti, subalterni rispetto a forze capitaliste capaci, invece, di un uso sapiente e articolato degli strumenti del diritto e delle Costituzioni per aggirare la “questione sociale” ricorrendo alle mistificazione dei c.d. “diritti” e dei c.d. “beni comuni”.
Le evoluzioni giuridiche della Cina confermano che l’assunto ideologico secondo cui il potere va sempre e solamente inteso come comando dall’alto, porta alla conseguenza di fare dei governi e dei vertici esecutivi (in qualsiasi tipo di istituzione, anche politica e sociale, anche di partito o di sindacato) delle “variabili indipendenti” dalla base e dalla società. La Cina si è avviata a diventare il più grande paese capitalista del mondo assumendo finanche forme “americane” di negazione dei diritti sociali (ad esempio la totale cancellazione di ogni forma di sanità pubblica, una scuola che assorbe fino al 70% del salario di chi vuole frequentarle, per non parlar del supersfruttamento del lavoro, dei bassi salari e relativo licenziamento di tutti coloro che rivendicano minimi aumenti) ma mantenendo “formalmente” le le stesse “forme di potere” statale del “socialismo”. Si è potuto lasciare del tutto intatto l’impianto generale della Costituzione “socialista”, grazie e in forza di un potere autoritario e repressivo che, a parità di Stato plasmato dal partito “comunista”, perviene a rovesciare l’ordine economico-sociale sancendo “l’inviolabilità” della proprietà privata – da “abolita” che era – nella stessa forma e formula con cui la si introdusse nell’Italia liberale del 1848 (mentre la Costituzione democratica e antifascista italiana, 100 anni dopo, impose che fosse almeno resa compatibile con l’interesse sociale).
La Cina dimostra, in modo lampante, quanto poco diverse dalle peggiori forme “borghesi” fossero le forme di Stato e di potere costruite in nome del cosiddetto “socialismo reale”, intercambiabili con qualsiasi forma economica e buone per tutte le stagioni, anche per quella del neoliberismo. La Cina è un clamoroso esempio di un’epoca solcata da “Costituzioni regressive”, in cui tutte le forme storiche di organizzazione del potere -dai regimi di tipo autoritario, a quelli di “democrazia formale”/elettorale, a quelli che si dicevano di “democrazia sostanziale” o “socialista”, e tutti i partiti e le forze politiche e sociali, di destra e di sinistra- trovano, nonostante la diversità delle forme, un punto teorico di omologazione sotto l’idea del dirigere e del governare dall’alto. Il “governare” e il “dirigere” è oramai ovunque solamente inteso come restringimento -anziché allargamento- della società, come arroccamento di gruppi di potere dietro forme apparenti di “democrazia”.
Lanciata personalmente dagli esponenti “illuminati” del capitalismo privato della Commissione “Trilateral” come i Rockefeller, Kissinger, Agnelli, Monti, ecc. in nome dell’esigenze delle imprese di ridurre la democrazia per contrastare gli effetti delle lotte sociali e democratiche di massa degli anni 60-70, l’ideologia della governabilità è, in quanto tale, incompatibile con una prospettiva di democrazia sostanziale, sociale e diretta – ma persino di democrazia “minima” di libera dialettica sociale e politica – che attiene alle forme e all’organizzazione della democrazia sociale, di base, di territorio, di fabbrica, di quartiere, eccetera. Per un potere di iniziativa e di proposta dal basso che è l’opposto della cosiddetta “democrazia diretta” liberale, ovvero del pseudo-democratico referendum abrogativo, a cui si acconcia ormai tutta la “sinistra” (anche quella cosiddetta “radicale”) sia per abrogare leggi, sia per “primarie” codiste e personalistiche di modello statunitense, in cui quesiti e candidati sono sempre e comunque proposti dall’alto, dai vertici politici e culturali, e quindi volti a consolidare il primato degli esecutivi sulla società e il sociale.
PER UNA NUOVA TEORIA DEL POTERE
Che superi il potere esclusivo di iniziativa e di indirizzo dei governi come il vero potere politico
La Cina non rappresenta il solo esempio di “Costituzione regressiva”. Rilevanti sono anche le modifiche intervenute nella Costituzione e nel sistema politico italiano. Prima di esaminarne qualcuna, va posta l’attenzione su un punto: il potere di direzione ed iniziativa è il vero potere politico. Il vero potere politico è di chi propone e dispone, inizia e promuove, indirizza e guida, orienta e determina. Ed oggi, qualunque sia la forma di governo -presidenziale o parlamentare, pluripartitico, bipartitico o a partito unico- il vero potere “dominante” delle istituzioni statali è quello “esecutivo”.
Il cosiddetto “controllo”, cui sono stati ridotti i Parlamenti, in quanto attività esercitata a posteriori, non solo è reso in pratica impossibile (ad esempio quando il governo, in sede d’approvazione di provvedimenti economici e finanziari, pone ripetutamente la “fiducia”), ma non è nemmeno tale, essendo il vero controllo solo quello che si esercita in ogni fase, prima e durante le fasi di impostazione, preparazione e indirizzo, e non dopo “a posteriori”. Tanto che tale “controllo” non è considerato in alcuna teoria del potere.
È in nome del “controllo” che si sono cancellati il ruolo e il potere delle assemblee regionali e locali, già con le cosiddette “riforme” degli enti locali e regionali predisposte da famigerate leggi “Bassanini” e dei governi dell’Ulivo, e poi col cosiddetto “federalismo”, con tanto di “presidenzialismo” del sindaco e del presidente elettivo voluto da forze “di sinistra” che considerano “meno grave” – e invece è persino più grave, stante che così le istituzioni locali negano la socialità proprio dove non si può negarla, cioè nel territorio – se tale primato è del governo e del primo ministro (o del capo dello Stato) sul Parlamento.
Col “federalismo” si è ulteriormente perfezionato tutto ciò che ha cancellato l’autonomia delle istituzioni locali sia dal lato della gestione delle risorse, controllate dal Centro e da esso ripartite, sia soprattutto dal lato della produzione delle risorse, in quanto il “federalismo” espropria le autonomie regionali e locali di ogni titolarità nella politica economica. Questa è infatti messa a disposizione dei vertici di potere centrali, mentre i Bassolino ed i Formigoni e i Vendola, sedicenti autonomi, si autodefiniscono “governatori”, cioè col nome che è proprio del funzionario del governo centrale quando viene distaccato in un territorio e che è del tutto subalterno e privo di autonomia dal governo. Il “federalismo” si conferma così – come ben si vede negli USA – come la più raffinata e sofisticata delle forma di potere oligarchico, grazie ad un potere centralistico che non si “decentra” affatto, bensì si deconcentra in una articolata pluralità di centri di potere verticistici e presidenziali.
È in nome del “controllo” turlupinato come “potere” che si riducono i parlamenti -e la sovranità popolare- a variabili dipendenti dagli esecutivi. Il Parlamento si trova nella pratica sempre più ridotto a dover spulciare, rovistare, frugare nei piatti che gli vengono cucinati, confezionati e passati da altri. Il tutto secondo la formula “americanizzante” e anglosassone per cui “il governo deve governare e il parlamento controllare”. Una formula opposta sia a quella del “governo parlamentare” previsto dalla Costituzione italiana del 1948, sia a quella di una coerente impostazione della sovranità popolare, in cui il governo non deve affatto governare, bensì “servire” il popolo, che è il vero sovrano. Il governo dovrebbe quindi “governare” solo per il tramite del Parlamento e di un potere organizzato dal basso, cioè sociale, in cui sarebbero fondamentali partiti e sindacati democratizzati, in cui cioè il “potere di iniziativa” non sia messo totalmente ed esclusivamente in mano dei vertici, ma anche della base (cioè del sociale).
L’opposto, quindi, di ciò che invece accade, soprattutto col maggioritario, nei partiti: ad esempio nella “sinistra radicale” di vario conio – intellettuali, politici, giornali, sindacalisti -, dove, come già in passato, ad es. in RC, le mozioni congressuali predisposte dal basso sono state impedite, essendo “autorizzate” solo quelle decise dal vertice. E dove, detto per inciso, rifacendosi ad una tradizione riformista e revisionista -e storicamente dimostratasi errata- della teoria marxista dell’imperialismo, la sua corrente maggioritaria preferisce promuovere una concenzione negriana (cnche di “Impero” anzichè di imperialismo) contro cui dovrebbero muoversi masse individualizzate, né socialmente né politicamente organizzate, prive di “forma” collettiva sia intellettuale che sociale.
spero tu non sia a Milano, guarda che ci sono anche i fasci!
Protesta contro il governo
Milano blinda Piazza Affari
In corteo dalle 14 i No Debito di Cremaschi, i No Tav, Rifondazione comunista e anche
alcuni gruppi di destra. Fra le adesioni ci sono quelle di Moni Ovadia e Gianni Vattimo
di ILARIA CARRA
Protesta contro il governo Milano blinda Piazza Affari La sede della Borsa con il ‘Dito’ di Maurizio Cattelan
Contro la crisi. E contro «le misure lacrime e sangue e la macelleria sociale del governo MontiBce». È dal sindacalismo di base, dalla sinistra alternativa, dai movimenti “no debito” e dagli antagonisti dei centri sociali che nasce “Occupyamo Piazza Affari”, la manifestazione nazionale prevista oggi a Milano nella piazza «simbolo della finanza e del capitalismo». Il centro sarà quindi blindato. Una protesta contro le politiche e le riforme del governo Monti, per il no alla Tav e alle modifiche dell’articolo 18. La mobilitazione ingloba varie tematiche. E una miriade di sigle di associazioni, alcune tra gli organizzatori della manifestazione dello scorso ottobre a Roma, guastata anche da episodi di guerriglia. Motivo per cui l’appuntamento desta non poca apprensione tra le forze dell’ordine, che presidieranno massicciamente la marcia e la stessa piazza Affari.
Partenza alle 14 da piazzale Medaglie d’Oro, corteo lungo corso di Porta Romana, via Santa Sofia, Molino delle Armi, via De Amicis, via Torino, via Cordusio, fino alla Borsa. «Bisogna creare uno spazio politico alternativo, fondato su radici sociali reali e notevoli — commenta il leader del coordinamento No Debito, Giorgio Cremaschi — un’alternativa rispetto a questo modello di potere, al contrario delle illusioni del Pd o di Vendola». In piazza anche Rifondazione Comunista «contro il governo Monti, lo strapotere delle banche e degli speculatori», attacca il segretario nazionale Paolo
Ferrero. In piazza sono annunciati anche personaggi della cultura, da Moni Ovadia a Gianni Vattimo. Vittorio Agnoletto, già esponente del movimento dei social forum, apre poi le porte a quelle formazioni che «per ora non hanno ritenuto di aderire ufficialmente, pur sapendo che molti dei loro iscritti non vedono l’ora di mandare a casa Monti».
Promette poi di esserci, all’evento, anche la destra. Destra per Milano, Destra sociale, Progetto nazionale e Unione patriottica, oltre al sindacato Ugl, sono le sigle che alla vigilia hanno detto sì. «Una battaglia che vogliamo sostenere — spiega Roberto Jonghi Lavarini, esponente dell’estrema destra milanese — Andremo senza segni di riconoscimento per evitare frizioni, al massimo porteremo dei tricolori. Sono finiti gli schieramenti ideologici: se giuste, le battaglie vanno fatte insieme».
(31 marzo 2012)
Compagni però non dobbiamo dimenticare che il progresso economico cinese si fonda sullo sfruttamento di milioni di lavoratori; la Cina è ormai un paese capitalistico privo delle tutele democratiche che possono consentire ai lavoratori di difendersi dallo sfruttamento.
caro Diego, condivido con te (e l’ho scritto) che la crescita cinese imperiosa è fondata su di un (intollerabile) ipersfruttamento del lavoro e che, in esso, c’è tanto capitalismo!
Sarei più cauto nel fare discendere da questo fatto (assolutamente centrale, determinante) un giudizio definitivo sul modello e sul modo di produzione, che è temperato strutturalmente da una forte presenza dello Stato e della pianificazione.
Simone
ma soprattutto… chi è questo per giudicare i viaggi del nostro coordinatore?
Sono un militante di questo partito, e c’è un tastino per contattarmi, se si muore dalla voglia di sapere di preciso chi sono.
Non mi sembra d’aver scritto nulla che meriti una rispostaccia del genere, i viaggi di Oggionni sono di dominio pubblico e li si può legittimamente commentare.
Fra l’altro, mi sembra evidente che più che una critica a Oggionni il commento sia una critica a chi s’è stracciato le vesti per aver osato scrivere di Cina
Ciao Paolo, hai perfettamente ragione: quello che faccio è di dominio pubblico ed è commentabile! Ogni tanto, e lo dico affettuosamente a Maria, si cade in un riflesso condizionato di “difesa a prescindere” che è tanto dannoso quanto il suo opposto.
Ne approfitto per chiederti, nel merito (pur non essendo il mio un pezzo che passerà alla storia della sinologia…), che cosa condividi e che cosa no. Un caro saluto, Simone
Sì, ho capito ma guarda anche l’altro aspetto… non e’ possibile che ci sia gente pronta a criticare ogni cosa… perche’ nessuno ha detto niente sul tuo viaggio in Palestina nel quale hai incontrato tutte le organizzazioni della resistenza? perche’ a qualcuno non conveniva dirlo… due pesi due misure sempre, ma tu vai avanti così che la maggior parte parla così per invindia e non parlo di Paolo che non conosco!
(La risposta l’ho pubblicato anche sul mio blog http://bit.ly/HBFr3h magari viene più facile leggerlo lì che nello spazio dei commenti)
Ho scritto che l’articolo non rimarrà negli annali della sinologia non perché non si valido in sé, ma perché si tratta di spunti di discussione politica indirizzati a un ambiente di non specialisti e perché esistono ambienti del pensiero critico che si occupano di Cina e su queste faccende dibattono da un paio di decenni.
In Italia, purtroppo, questi ambienti di pensiero critico non esistono, a larga maggioranza è passata l’idea che le riforme cinesi siano state una restaurazione del turbocapitalismo e che il PCC sia un guscio vuoto che di comunista ha conservato solo la forma. Per carità, ci sono autorevolissimi marxisti, David Harvey per dirne uno, che la pensano così, però loro sono in rapporto dialettico con tutti gli altri che hanno altre letture, in Italia invece c’è una chiusura quasi totale.
Esiste in Italia anche una corrente “filo cinese” per motivi largamente geopolitici, il discorso è più meno che per quanto possa esserci il turbocapitalismo, bisogna essere a favore della Cina per il ruolo ”oggettivamente antimperialista”.
A me pare che entrambe queste posizioni siano sbagliate e che non possano generare nessuna dialettica utile. Invece mi sembra che l’articolo di Oggionni possa essere utile, ed è utile principalmente perché viene da un dirigente comunista di livello nazionale.
Veniamo alla ciccia dell’articolo.
Sono fondamentalmente d’accordo con l’impostazione non eurocentrica dell’articolo, d’altronde l’eurocentrismo è alla base dei due errori che ho descritto prima: non è il socialismo come ce lo siamo immaginato noi Vs. è il ruolo geopolitico come non sappiamo svolgerlo noi.
La crescita
Oggionni riporta alcuni dati sulla crescita economica della Cina. Ovviamente, per non fare esplodere l’articolo in una dissertazione lunghissima, deve essere sintetico. Ma un paio di precisazioni sono comunque utili.
– Il reddito pro capite andrebbe calcolato anche in termini di potere d’acquisto reale. Ha provato a farlo Alberto Gabriele, anche su Marx21: http://www.marx21.it/internazionale/cina/129-salari-cinesi.html
– Il fatto che la crescita debba essere rivista spesso al rialzo rispetto alle previsioni non è, per noi comunisti, una cose del tutto positiva. Infatti, è spesso anche l’indice che la pianificazione non riesce a controllare del tutto l’allocazione delle risorse tra consumo e investimento.
L’ambiente
È importante che Oggionni sottolinei le punte avanzate nel risparmio energetico e in generale nelle teconologie “verdi”. Anche grazie a ristrutturazioni urbane che per noi sarebbero assolutamente impensabili, una città cinese moderne è mediamente più efficiente di una città europea moderna. D’altra parte bisogna anche dire che “paese in larga misura avanzato” è un’espressione da prendere con le pinze. Le punte avanzate delle sviluppo sono concentrate sulle provincie costiere e in progetti pilota nell’entroterra. L’apparato produttivo rurale è vecchio e poco efficiente.
Il pubblico e il privato
Anche qui, è importante che si ribalti il mito della Cina in cui tutto è stato privatizzato. Se durante gli anni ’90 il trend è stato quello delle privatizzazioni, negli anni ’00 questo trend sembra essersi equilibrato, con alcune provincie (il “modello Chongqing”, ma non solo) in cui il pubblico è avanzato e il privato è arretrato. Non capisco in che senso il compagno Oggionni dice che il settore privato è “vero motore economico”. Sono assolutamente d’accordo sul fatto che si debba studiare a fondo il new socialist countryside, ma questo è un problema anche degli studi cinesi in generale, non solo degli italiani.
Penso che vada specificato anche che per quanto esista la proprietà privata del capitale, la terra continua ad essere di proprietà collettiva, e che non si tratta di una questo puramente nominale. Se fosse puramente nominale non sarebbero possibili le lotte contro il land grabbing. D’altra parte qua si aprono contraddizioni pesantissime, dato che molte di queste lotte puntano a farsi riconoscere diritti di proprietà individuali sulla terra e non solo diritti d’uso.
L’accumulazione
Strettamente connessa alla questione della terra è quella dell’accumulazione. Sicuramente le riforme hanno permesso il formarsi di una nuova classe borghese cinese, spesso arrogante oltre ogni limite, altrettanto spesso criminale. Al di là questo, è il centro del dibattito tra Arrighi e Harvey (http://archive.org/details/2640Arrighi) tra chi sostiene che quella in Cina sia un’accumulazione senza spoliazione dei contadini e chi sostiene invece di si.
Il sindacato e le condizioni di lavoro
Concordo pienamente con Oggionni, per noi comunisti questo punto è qualificante e trovo francamente imbarazzante che ci sia chi sia disposto a soprassedere in nome del ruolo internazionale.
Il discorso potrebbe essere lunghissimo, mi limito a dire che se non ci fosse un effettivo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dipendenti, non ci sarebbe nulla da difendere. Nel nostro discorso, bisogna liberarsi dell’idea che invece durante il maoismo per gli operai fossero rose e fiori. Torsioni volontaristiche come il Balzo in Avanti implicavano ritmi e condizioni di lavoro non migliori di quelle infami attualmente imposte ai lavoratori della Foxxconn (Parentesi: interessante notare come la provincia che ha permesso alla Foxxconn di agire indisturbata per anni sia quella indicata dai media occidentali come esempio di riforma democratica contra la Chongqing rossa e cattiva).
Non capisco esattamente in che termini Oggionni intenda il ruolo del sindacato nelle imprese private; generalmente il sindacato viene indicato come più disponibile al conflitto nelle imprese private (specie con capitale estero) che in quelle pubbliche.
Cultura
Quello su cui ho meno da dire. Mi limito a constatare che la riflessione di Oggionni ha molto senso e che è ancora più importante attorno al caso Bo Xilai. La mia impressione è che in Cina ci sia una significativa simpatia per i “valori del socialismo”, ma che questa simpatia abbia difficoltà a tradursi sul piano politico, anche perché c’è contemporaneamente una simpatia verso le aperture politiche che sembra promettere Wen Jiabao
Spero che sia utile.
Allo studio e alla lotta 😉