Ci ha lasciati Lucio Magri, e il modo con cui ha scelto di farlo testimonia ancora una volta tutto il suo coraggio e tutta la sua lucidità. Nella sua scelta vive una libertà straordinaria, e la consapevolezza che il senso di vertigine può determinare la rottura dell’equilibrio e del limite che separano la vita dalla morte. Di fronte a questo, alla grandezza tragica dei nostri destini, non possiamo che restare muti. Ed è forse solo la scelta consapevole della morte a restituire libertà a ciò che per sua natura è irrevocabile tanto quanto insondabile.
Magri in questi ultimi anni aveva lavorato ad un libro e due anni fa lo aveva pubblicato. Già nel titolo, Il sarto di Ulm, rievocava uno straordinario apologo di Brecht. Alla fine del Cinquecento un sarto della città di Ulm, convinto di poter volare, costruisce un marchingegno molto rudimentale e tenta la sorte, presentandosi dal vescovo in cima alla grande cattedrale. La prova fallisce e il sarto muore schiantato a terra ma l’uomo, alcuni secoli dopo, imparò a volare. Sicuramente malgrado questo tentativo. Forse, in parte, anche attraverso e per tramite di questo errore.
Per Magri questa scena è l’allegoria di un sogno, di un progetto e di una lotta chiamata comunismo.
E allora, proprio perché il dolore della morte ci rende afoni, l’unico modo per omaggiare Lucio è confrontarsi con la sua vita e con quel sogno, che equivale a confrontarsi con i tentativi falliti e gli errori della nostra storia.
Nel giugno dello scorso anno organizzammo insieme a lui a Monte Sole, a Marzabotto, un seminario di formazione per i Giovani comunisti.
Per ore discutemmo e lo ascoltammo con quell’ammirazione e quella deferenza imposta dalla distanza tra lui, una parte meravigliosa di storia del Pci e della sinistra italiana, e noi, così piccoli e così fragili.
Poi verso la fine presi tra le mani l’appendice di quel libro che stavamo discutendo, un lungo saggio scritto da Magri nel 1987 con la funzione di essere la base di una possibile ma mai realizzata mozione alternativa ad Occhetto per l’imminente XVIII congresso del Pci. In quella possibile ma mai realizzata mozione alternativa c’è tutto: l’analisi lucidissima di un sistema che cresce in quanto moltiplica le diseguaglianze di reddito all’interno di ogni Paese capitalistico e tra le aree del mondo; l’incompatibilità tra il funzionamento del sistema economico e il permanere delle grandi conquiste sociali che avevano segnato i decenni precedenti (il welfare, la piena occupazione, una democrazia nella quale i lavoratori fossero protagonisti, il diritto all’indipendenza nazionale); l’erompere di questioni nuove e già cruciali, come il degrado dell’ambiente, il degrado morale, la crisi di rappresentanza del sistema politico e partitico; la crisi economica come unico orizzonte del capitalismo e, dentro questa logica, il ricorso sistematico alla forza militare. E nella mozione scritta ma mai presentata c’è la consapevolezza che questo è un sistema che per essere contrastato e vinto impone la costruzione di un controcanto, e cioè impone che a nostra volta si definisca un sistema coerente, si accumuli la forza necessaria per imporlo, si impari la capacità per gestirlo, si dia vita ad un blocco sociale che sia in grado di sostenerlo e che quindi si stabiliscano le tappe e le alleanze utili per affermarlo. In breve: la summa di un comunismo possibile, della nostra idea di comunismo.
E allora la domanda che gli rivolsi fu ingenua e banale: perché non presentaste quella mozione? Perché non provaste a impedire il corso degli eventi, la rimozione occhettiana della questione comunista, perché non deste al sarto di Ulm un’ulteriore possibilità di volare? Lucio Magri sorrise. Con quel suo sorriso carico e denso di bellezza e intelligenza. Poi riprese a parlare, a spiegare, a dettagliare, ad insegnare.
Una cosa, caro Lucio, da te l’abbiamo imparata. Dobbiamo provare e riprovare, sbagliare e romperci la testa. Ma l’uomo volerà. In quell’infinito orizzonte di libertà che la tua vita e la tua morte ci hanno indicato.
morire non è mai un grande successo – è inevitabile ma triste e sconsolante…
Caro Simone,
ho letto il tuo articolo: bello. Soprattutto, condivido il giudizio sulla grandezza della scelta estrema, coerente con la sua biografia.
Io sono così addolorata, per la scomparsa sua e di Saverio Tutino, che sono riuscita a scrivere solo dei quasi-versi, molto tristi e poco istruttivi.
Un abbraccio,
Annamaria
Eccoli:
In memoria di Saverio Tutino e Lucio Magri
Ieri Saverio
per infermità e vecchiezza
non certo mentale
oggi Lucio
per meditata scelta
di spezzare
la nebbia densa dei giorni
uguali senza futuro
non più rischiarati
dalla sua presenza.
Così giovani
i nostri vecchi
che fino a ieri
hanno dato senso
alla storia nostra
vituperata
o solo azzittita
s’incamminano
uno dopo l’altro
per il sentiero
dell’utopia disincarnata
e perciò perfetta.
Incedono
con passo leggero
con l’eleganza ch’era
già annuncio
del pane e le rose
sereni loro
in fondo appagati
noi sgomenti
e ancora più incerti
lungo il traforo
che non vede luce.
Come comunista, ma anche come asceta e meditante rispetto la scelta di Lucio con il quale ho condiviso alcuni momenti in Democrazia Proletaria. Credo che non sarà la mia scelta perchè penso che tutte le difficoltà che cerchiamo di evitare, ci si ripresenteranno più in la anche se in forme diverse. Durante la vita avviene così e penso se alla fine avremo dei conti in sospeso saremo comunque chiamati a saldarli anche se non so come perche la mia mente è troppo legata a questa dimensione, ma intuisco che non è la sola. Un altro mondo è possibile io ci credo e lottero fino alla fine perchè si realizzi anche se non lo vedrò CIAO LUCIO TI VOGLIO BENE e saluti comunisti
Gabriele Pacchierini
Grazie, veramente grazie
luigi ficarra
Articolo molto bello e pubblicato su
http://www.alternativamente.info
Grazie. Enrico Del Vescovo.
Grazie Compagno Simone. Articolo pubblicato.
Marco Piattelli
Sostenere che il suicidio di un uomo sia da salutarsi come un gesto di trionfante lucidità è aberrante.
Il compagno Lucio era distrutto dalla morte della moglie, solo, sfinito. Ha perso la battaglia più importante della sua vita: neppure l’amore della piccola Emma, il suo bisogno di un grande nonno sono riusciti a strapparlo dalle mani della morte che rimane sempre e comunque un fatto umanamente tragico ed assoluto.
Chi trova “coraggio” nel suicidio o ne vede uno slancio eroico invece che un gesto disperato è annebbiato dall’ideologia radicale la quale non mi appartiene.
Cordialmente
MS
E’ davvero così facile ergersi a giudice e non avere neppure quel briciolo di umanità che imporrebbe di esprimere sympatheia nei confronti di un uomo, di un compagno, che ha scelto – ed ha scelto su di sé, con quel libero arbitrio che circonda le scelte degli individui?
L’hanno pubblicato oggi su Liberazione:
http://lettura-giornale.liberazione.it/
comprate Liberazione, leggete Liberazione!
Annamaria Rivera
Lucio Magri e il suicidio di Romain Gary
il manifesto, 4 dicembre 2011, p. 14
Quando ho saputo del suicidio assistito di Lucio Magri, non è alla coppia André Gorz-Dorine Keir che ho pensato subito, ma a Romain Gary, il romanziere francese di famiglia ebrea e di origine lituana, non molto celebre in Italia, per quanto tradotto a sufficienza. L’analogia mi è venuta in mente non per qualche somiglianza fra le ragioni che li hanno spinti alla scelta irrevocabile (chi ha il diritto di congetturare?), bensì per la maniera elegante, accurata, stilizzata con cui entrambi hanno deciso di abbandonare il mondo o forse di abbandonare noi al mondo.
Gary lo fa all’età di 66 anni, quando è al culmine del successo, sopraggiunto nel corso di una vita tragica e avventurosa: l’infanzia miserabile nel ghetto di Wilno (oggi Vilnius) in Lituania, il precoce abbandono del padre, che poi egli scoprirà essere stato ucciso dai nazisti insieme a due figli, la fuga con la madre a Varsavia e da lì, a quattordici anni, verso la Francia. Poi una vita intensa, spesso mondana, segnata dalla costante pulsione a mescolare e imbrogliare carte e piste, personaggi e identità (se ne inventerà almeno cinque). Romanziere prolifico e poliglotta dai molteplici pseudonimi, vincitore di due premi Goncourt grazie a un imbroglio di nomi e identità, grande tombeur de femmes, anzi adoratore profondo delle donne, a cominciare dalla madre, amatissima e mitizzata, gollista convinto e coraggioso combattente per la Liberazione, come capitano delle Forze aeree francesi libere, diplomatico dalla carriera brillante, animalista appassionato, decide di darsi la morte con un colpo di pistola il 2 dicembre 1980, a Parigi, nel suo appartamento di Rue du Bac.
Dopo un pranzo al ristorante in compagnia di Claude Gallimard, torna a casa, chiude le tende della sua stanza, si toglie gli occhiali, ripiega con cura gli abiti su una sedia rimanendo in camicia, si poggia sull’orecchio un telo da bagno rosso e preme il grilletto. Non vuole che chi lo ritroverà sia impressionato dal sangue.
Sul tavolino, un messaggio indirizzato al suo editore: «Nessun rapporto con Jean Seberg. Quelli che amano i cuori infranti sono pregati d’indirizzarsi altrove (.). Perché allora? Forse la risposta va cercata nel titolo del mio libro autobiografico, La notte sarà calma, e nelle ultime parole del mio ultimo romanzo “poiché non si potrebbe dire meglio”: in fondo mi sono espresso pienamente».
Un anno prima, l’ex moglie Jean Seberg, l’attrice americana di ventiquattro anni più giovane di lui, dalla quale, dopo aver avuto un figlio, si era separato nel 1970 (ma aveva continuato a frequentarla e a proteggerla), era stata trovata morta di un’overdose di barbiturici in una Renault 5, parcheggiata nel sedicesimo arrondissement di Parigi. L’attrice di Buongiorno, tristezza (1958), regia di Otto Preminger, e di Fino all’ultimo respiro (1959), regia di Jean-Luc Godard, era stata militante per la liberazione degli afroamericani e sostenitrice delle Black Panters. In una conferenza-stampa dopo il ritrovamento del cadavere, Gary aveva attribuito la responsabilità della sua morte alla Fbi, che l’aveva perseguitata fino a renderla quasi folle.
“In fondo mi sono espresso pienamente”, avrebbe potuto dirlo anche Lucio Magri. Entrambi hanno percorso quasi lo stesso periodo storico, vivendolo intensamente da protagonisti, con un acuto senso di responsabilità verso il proprio tempo e l’attitudine a schierarsi dalla parte ritenuta giusta: la Resistenza e il gollismo, Gary; l’antifascismo e il comunismo, Magri. Entrambi con una vocazione “eretica”, come si dice banalmente, non conformista, che li spinge sì a schierarsi ma anche a dubitare, a cercare, a interrogarsi, ad approfondire. L’uno e l’altro spesso criticati per il cotè mondano del loro stile di vita, per lo spirito dandy, la consapevolezza della propria superiorità intellettuale, un certo narcisismo e il culto della seduzione -che nascondono in realtà una profonda inquietudine, se non disperazione.
Entrambi scelgono il suicidio lucidamente, lo preparano con accuratezza, vi si avviano con passo elegante e misurato. Non è freddezza, è invece quella meticolosità che serve a tenere a freno l’angoscia, è quella cura che vale a conservare fino all’ultimo la propria dignità, il rispetto di sé: a morire come si è vissuto. Una grande lezione di signoria sulla vita e sulla morte.
Gli spiriti meschini non sono in grado di comprenderla e rispettarla. Nel suicidio di Lucio Magri non vedono altro che l’esito della depressione, del fallimento politico, della rinuncia. E arrivano a trovare “volgare e urtante” la piccola cerimonia domestica dell’attesa della notizia del suo congedo dalla vita. Non sono in grado di coglierne il senso: cioè il rispetto dei suoi cari verso la maniera di morire scelta da Lucio.
Non è solo la meschinità d’animo a renderli irrispettosi. E’ anche la rimozione della prospettiva della vecchiaia e della decadenza. In un altro tempo e in un’altra società, i vecchi potevano contare, come tutti, su qualche rete densa di relazioni, amicizie, solidarietà: calde e quotidiane. La sinistra fino agli anni Settanta era anche questo, i gruppi della nuova sinistra erano altrettante comunità in cui si condivideva non solo la militanza, ma anche il tempo quotidiano. Non è più così: come ha scritto Alfonso M. Iacono, non abbiamo perso per le nostre idee, bensì per quel che siamo diventati. Date le condizioni presenti, la scelta di Lucio è stata realistica: in solitudine, non si può invecchiare degnamente come si è vissuto.
Scelta straordinaria di libertà?
Non dovremmo soltanto, invece, esprimergli un abbraccio ideale ?
… Per esprimere vicinanza ad una sofferenza insostenibile, che probabilmente in buona parte avrà a che fare con la perdita della persona che, forse unica, non lo faceva sentire solo in un universo difficilmente abitabile senza la poesia, l’ironia, la presenza amica …
Chissà che non sia stata questa difficoltà a spingerlo ad “affrettare” la sera…
il signor D’Alema ex sedicente comunista, ha onorato Magri dicendo che si era scagliato contro il PRC quando era uscito dal primo governo Prodi(esce dal PRC e appoggia il governo Dini), come dire ….uno dei nostri….
commento libero
Massimo rispetto per un uomo ed un compagno sempre “dalla parte del torto” …. quel “Viva Marx, via Lenin, Viva Mao Tse Tung” pronunciato al congresso di scioglimento del Pci, lui che “comunista ortodosso” non era stato mai, ne rappresenta pienamente l’immagine nitida ed esemplare …
Grazie di tutto Lucio, anche di questa lezione finale ….
K.
Solo il silenzio commosso – ed il rispetto anche per il gesto – per un uomo che ha potuto scegliere; ed ha scelto come “”andare via.
luigi
Addio, compagno Magri, che la terra ti sia lieve. Ti saluto a pugno chiuso!
Riporto questo articolo di Luca Telese dal Fatto di oggi, secondo me degno di nota.
La didascalia della vignetta di Ellekappa era caustica: “Pci: nuovi attacchi di Lucio Magri”. Solo che, in quei giorni di turbinosi congressi, all’inizio degli anni ottanta, per illustrare la battuta erano raffigurati un paio di sci. Non gli attacchi politici, dunque, ma quelli degli scarponi, intesi come simbolo di sospetta mondanità vacanziera, illustravano bene un certa diffidenza contro l’aura di eresia che nel cuore dell’apparato comunista aveva accompagnato tutta la vita del leader comunista e Co-fondatore de Il Manifesto. Quel sarcasmo Era il retaggio di una diffidenza che spesso si sposava con l’ammirazione, e che subito dopo configgeva con lei, senza possibilità di mezze vie: amato e odiato, ma sempre al centro della scena, alla sinistra della sinistra. Un uomo, tante vite, un filo di coerenza apparentemente irregolare ma rigorosamente geometrico che faceva da spina dorsale a una biografia tanto ricca quanto complessa: alla sinistra della Dc negli anni cinquanta, poi alla sinistra del Pci negli anni sessanta (fino alla radiazione collettiva con gruppo de Il Manifesto nel 1969), poi alla destra dell’ultrasinistra con il Pdup, e poi di nuovo alla sinistra del Pci grazie alla ricomposizione della diaspora (evento inedito nella storia comunista) caparbiamente voluta insieme a Berlinguer nel 1984, poi a sinistra del Pds, per poco nei primi anni novanta, poi alla destra di Rifondazione nel 1995 quando nasce il governo Dini. Anche qui un ricorso: lui che aveva drammaticamente rotto con il gruppo de il manifesto giornale nel 1979 sul nodo della sinistra di governo, si ricongiungeva con il suo giornale-famiglia, 16 anni dopo, sempre sul nodo del governo. In contrasto con Fausto Bertinotti che voleva far cadere Prodi, lui diventava il padre nobile della scissione dei Comunisti unitari che piangevano in aula – come fece Marida Bolognesi – per far nascere il governo Dini. “Baciare il rospo”, titoló il manifesto, e quel giorno Lucio, con il suo impasto dolente di pessimismo e volontà disse: “É bellissimo”. EPPURE se volevano insultare Magri, nella caserma austera di Botteghe Oscure, in quegli anni di serrata battaglia politica fra destra e sinistra, per un ventennio, gli dicevano: “Abbronzato! “. Perché é vero: Magri era bello, molto bello, con il ciuffo corvino poi imbiancato, prima dall’argento, poi da una neve precoce. Aveva gli occhi azzurri che tendevano al blu, un viso regolare che a molti ricordava quello di Gary Cooper, Lucio aveva fama di grande seduttore, aveva avuto una storia d’amore con Marta Marzotto che aveva suscitato scandalo fra i puritani del politicamente corretto, e – é vero – spesso era anche abbronzato. Ma era soprattutto un intellettuale rigoroso, ideologico nel senso utile del termine, un dirigente politico forgiato nella generazione dei grandi carismi, approdato al comunismo venendo dalla Dc nei primi anni cinquanta, traghettato verso una vocazione rivoluzionaria dalla febbre della rivoluzione possibile indicata da Lenin, attraverso quel pastore di cattolici comunisti che era il futuro padre del compromesso storico, Franco Rodano. Lucio Magri é morto due giorni fa, da suicida assisitito, in Svizzera, per scelta volontaria. É morto dopo aver provato due volte a togliersi la vita, é morto senza conversioni in punto di morte, in modo opposto al suo grande rivale (anche in amore) Renato Guttuso che scrisse contro di lui una preghiera per Marta Marzotto che iniziava con “Ave Martina” e finiva con un perfido “E liberaci dal Magri amen”. Era anche questa la sinistra del novecento, un impasto di ideologia e passioni sentimentali. Magri é morto con un gesto dissacrante e dirompente da grande laico, con un gesto privatissimo, custodito nel cuore protetto di una comunità di amici e compagni frequentata per una vita: Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Famiano Crucianelli, e poi Luciana Castellina. Anche Luciana era stata sua compagna prima di essergli amica, nel tempo in cui chi l’aveva vista passeggiare – bellissima – insieme a Jane Fonda nei corridoi del quotidiano di via Tomacelli, si era convinto che anche quella epifania potesse essere una incarnazione delle speranze del sessantotto. Sull’anno indimenticabile Magri aveva scritto un libricino per le Edizioni De Donato, quelle in brossura arancione, “Considerazioni sui fatti di maggio”, che sarebbe stato il suo personale manifesto di adesione alla scuola di Francoforte, fra Marcuse e Adorno. Ma Magri non era un orecchiante di provincia, era un intellettuale di sinistra che respirava il fermento europeo, e fra le cose di cui andava orgoglioso c’era l’aver scritto per Tempi moderni, sotto la committenza di Jean Paul Sartre. LUCIO É MORTO con un suicidio privatissimo, custodito fino all’ultimo come un segreto, morto con disposizioni testamentarie rigorose e sobrie, niente funerale pubblico, solo una cerimonia familiare a Recanati, e gli amici più stretti convocati a casa per attendere insieme la notizia definitiva, con un rito privato che oggi suscita polemiche ridicole e giudizi moralistici bigotti. Comunque vada, e qualsiasi cosa si pensi, é morto con un gesto che ci interroga e riscrive un frammento dei nostro costume. ECCO PERCHÉ questa scelta privatissima, al pari di quella impulsiva e ribelle di Mario Monicelli, giá oggi dispiega la sua forza politica, il suo impatto dirompente su un’opinione pubblica attardata e cloroformizzata in medioevali dispute sul fine vita, nel cuore esangue di una sinistra che fatica a confrontarsi con l’idea della morte. Una idea oggi ridotta a puntello di piccole identità ideologiche nella contesa politicista fra i cosiddetti laici e i cosiddetti cattolici. Un’idea che il gesto di Magri rimette improvvisamente in discussione. L’elettrochoc di questo suicidio é un effetto che certo Lucio non aveva come obiettivo primario, impegnato come era a combattere contro la depressione che lo aveva investito dopo la morte della sua amatissima moglie Mara, la donna che – come ha raccontato in uno struggente pezzo su La Repubblica Simonetta Fiori – era il suo cordone ombelicale con il mondo. Ma era sicuramente una conseguenza che aveva previsto. Lucio Magri veniva combattuto – anche politicamente – con lo stereotipo del radicalchicchismo, evocato anche ieri con una punta di veleno da Fabrizio Rondolino, ma raccontato con i canoni di oggi sembrava un campione di sobrietà. Lo inseguiva una boutade intelligentemente velenosa della Marzotto: “si sentiva in dovere di andare a letto con chiunque: era bello, intelligentissimo e infelice. Forse perché ce l’aveva con il mondo. Rimproverava al mondo intero il suo sogno di essere al fianco di Che Guevara”. Ma il Magri che ho conosciuto io non aveva traccia di questo velleitarismo: era burbero, scrupoloso, appassionato, e piombava nelle riunioni di Cominform, un giornalino della sinistra antimassimalista finanziato dai comunisti unitari per fare le sue analisi: “Cerchiamo di leggere la fase in cui ci troviamo, altrimenti non si capisce nulla”. Era inseguito da questa fama libertina, ma faceva le notti in bianco oer divorare i saggi di Hobsbawn, esigendo altrettanta celeritá: “Avete letto ‘Gente che lavora’? “. Il manifesto fu il giornale a la page di una generazione, ed era anche – si direbbe oggi un modello di casting: Pintor la fantasia, la Rossanda il cuore, la Castellina il senso dell’avventura, Parlato il pragmatismo istrionico e lui l’ideologia. In politica la sinistra radicle mancó un quorun nel 1972 incontrando il sarcasmo di Pajetta: “Hanno sommato tre partiti per fare un prefisso telefonico”. Ma nel 1979 il Pdup centró il quorun con l’ 1, 5 e chi c’era ricorda: Quella sera Lucio Pianse”. Anche negli ultimi anni lo potevi incontrare alla Camera con la sua divisa di sempre, jeans e sigaretta perennemente incollata alla dita. E poi sì, la giacca. Diceva di se di essere “un archivio vivente in soffitta”, ha scritto un libro bellissimo, “il sarto di Hulm” che racconta la sua battaglia politica lunga una vita, in cui Magri spiega che Mara gli aveva chiesto di finirlo prima di morire. Quel sarto secondo Brecht si era schiantato al suolo cercando di volare. Da domani – di certo – andrà a ruba. L’ultima volta l’ho visto a Montecitorio il giorno della fiducia a Monti. Come va? Gli ho chiesto: “Malissimo, grazie”. Lui era fatto così.
Posto questo bellissimo articolo di Alberto Burgio, di gran lunga migliore del mio.
Simone Oggionni
«Die Welt ist leer, ich will nicht leben mehr»: il mondo è vuoto, vivere non voglio più. Queste parole mi tornano alla mente di continuo da quando Lucio se n’è andato. Risuonano nel sogno ricorrente di André Gorz, di cui Lucio di tanto in tanto parlava. Gorz decise di morire con la moglie Dorine quattro anni fa. Lasciò la storia del loro amore, uno struggente testamento nel quale Lucio si riconosceva. «Sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai…».
Leggo che Lucio era depresso, io non credo. La sua, in questi anni seguiti alla scomparsa di Mara, era una malinconia particolare, lucida e cosciente. Non uno sprofondare nel buio, ma la considerazione impietosa del dileguare del senso e del valore. Non un lasciarsi andare, ma un decidere consapevole delle proprie ragioni. Questo gli ha permesso di portare a termine, nonostante un dolore inemendabile, uno dei libri più belli e importanti su di noi – sui comunisti italiani e sul comunismo novecentesco – che siano mai stati scritti. Il libro della sua vita, individuale e collettiva. Riconosciuto all’estero più che in Italia – e qui Lucio scorse, con profonda amarezza, un segno dei tempi.
La politica e la storia, le passioni di una vita. Ancora pochi giorni fa disse, con quel suo sorriso discolo e dolcissimo: siamo stati fortunatissimi, la mia generazione non ha conosciuto la guerra e ha fatto una rivoluzione: una vita meravigliosa. Tornare con la mente alla politica era un balsamo. Parlare, ricordare, domandare. Gli interessava come sempre anche questo nostro desolante presente. Lo tormentava la decadenza intellettuale e morale che lo affligge (e ricordava Pasolini), ma non è vero che disperasse. L’anno scorso venne a Montesole, sull’Appennino bolognese, a discutere del Sarto di Ulm con una cinquantina di ragazzi, giovani compagni calamitati dal suo sguardo e dalle sue parole. Fu una giornata indimenticabile, che spesso rammentava. I giovani, sui quali oggi si scarica la violenza di questa società, continuavano a sembrargli portatori di una viva speranza.
E gli interessava la storia, perché un rovello imponeva la ricerca delle cause della sconfitta e di una crisi radicale del movimento di classe: la paziente ricognizione delle responsabilità. Nella riflessione storica Lucio trovò in questi anni la dimora. Marx e Gramsci, Togliatti e Lenin, Longo e Stalin (anche Stalin, perché non c’era in lui l’ombra del conformismo) erano compagni di una incessante interrogazione. E poi Enrico Berlinguer, compagno e amico, criticato senza attenuanti per gli errori (il compromesso storico), ammiratissimo per il carisma e per la forza mostrata nella svolta degli anni Ottanta.
Un comunista: così Lucio si definiva, senza orpelli né vezzi, con l’orgoglio della coerenza. Detestava il narcisismo e disprezzava l’opportunismo. Da ultimo, meditava di tornare sulla storia degli ultimi quarant’anni, dalla nascita del manifesto al Pdup, a Rifondazione. Ma la stanchezza ha vinto, purtroppo, sulle residue energie. «Ciao, vecchio», mi diceva quando ci vedevamo, e aveva ragione, tra noi il ragazzo era lui. Ciao, Lucio.
Alberto Burgio – il manifesto
Un altro vuoto incolmabile nella sinistra italiana.
Ciao compagno Lucio.
Medesima reazione di quella provata alla notizia del suicidio di Mario Monicelli: bisogno di silenzio. Silenzio come unica forma possibile di rispetto.
Era un ottimo compagno comunista
Era stato bello e gioioso marciare accanto a te in qualche manifestazione nazionale. Si, ero fiero di stare vicino a te, caro Compagno. Mi manchi, mancherai a tanti, davvereo a tanti. Grazie, Compagno. Ti abbraccio, Mimì, sessantottino Marxista.Leninista mai pentito -Bisceglie ( Puglia)
ciao compagno lucio,sei stato un grande nella vita come nella morte.Hasta siempre
Rendo omaggio a un comunista.
Alzo il pugno in suo onore.
Leandro Casini
eretico e fantastico comunista, ebbi il piacere di condividere con lui alcuni passaggi politici importanti della mia vita politica PDUP, PCI per poi approdare a RIFONDAZIONE COMUNISTA….come non ricordare l’intervento di ARCO di Trento nel lontano 1991 laddove con la sua relazione iniziale si mise le fondamenta per costruire un nuovo partito comunista alla luce dello scioglimento del PCI….un personaggio intelligente e fuori dagli schemi tradizionali…un comunista del nuovo millennio…un uomo molto fragile…ciao Lucio e vorrei come nei vecchi funerali dei comunisti, dei socialisti degli anarchici, gettare una manciata di terra sulla tua bara…ti sia lieve, Lucio, questa terra su cui hai combattuto la giusta battaglia. Finche’ c’è in Italia e nel mondo uno sfruttato ed un padrone, ci saranno delle battaglie da fare e noi ti dobbiamo gratitudine per la tua militanza ed insegnamento….Ciao Lucio e ti grido per l’ultima volta lo slogan a te caro: “W Marx, W Lenin, W Mao Tse Tung…”
Simone, mi hai commosso. Le tue parole sono splendide. Grazie.
condivido le belle parole di Simone: ci manca Lucio Magri, ci manca la sua intelligenza, la sua eleganza, la sua bellezza. Chi può prendere il suo posto? Raccogliere il testimone… Servono i giovani, fatevi avanti e… salvate il manifesto, che adesso sta facendo proprio una brutta fine!
Ciao Lucio! sono davvero commosso per la tua coraggiosa scelta. Hai dato una lezione di vita….grazie.
“La nostra generazione ha perso ” cantava Giorgio Gaber !! Lucio ne ha preso disperatamente atto !!
Addio Lucio, non ti dimenticheremo !!
MaxVinella
ciao Lucio, ci mancherai tanto. e voi giovani comunisti raccogliete il suo testimone… siete l’unica speranza che abbiamo!
La scelta di Lucio è molto personale e per questo va rispettata, a quanti negli anni ’70 lo hanno conosciuto e stimato resta il ricordo di un uomo combattivo e coerente, una figura centrale in quegli anni per la nuova sinistra in Italia. Oggi siamo tutti un po’ più soli.
Sono parole bellissime, e rintraccio la sua passione e il suo rigore analitico in quello che scrivi. Sono pezzi di un mondo che non c’è più e che se ne vanno purtroppo.
Non sono né giovane né comunista ma condivido la passione e l’impegno per una società equa e solidale. Ringrazio Simone per questo bel testo che aiuta a sollevare tanti veli che causano solo incomprensione reciproca.
Di fronte a scelte personali come quella finale di Lucio Magri si impone solo il silenzio e l’astensione da qualsiasi giudizio perché ci troviamo nello spazio del mistero che ci avvolge completamente. A noi rimane l’impegno di volare e di aiutare a volare.
Grazie Simone, le tue parole sono veramente emozionanti. E devo dire la verità, mi ricordi molto Magri. Sarà un’impressione, sarà la tua sobrietà e la tua eleganza. Portalo sempre nel cuore. Maria Luisa
1Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
2C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
3Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
4Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
5Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
6Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
7Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
8Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.
Qohelet (3, 1-8)
Oggi è tempo di piangere per un compagno che ha scelto di lasciarci.
BM
caro Simone, le tue parole mi emozionano. Sono stupende e raccontano la bellezza di un uomo straordinario. Grazie. E grazie soprattutto a Lucio. Ci mancherai. Vola per noi. Corrado
Sarai sempre con moi. Saluti Comunisti Carlo da Forlì
Molto bello
Bravo Simone
Maria Grazia
morire non è mai un grande successo – è inevitabile ma triste e sconsolante…
Come comunista, ma anche come asceta e meditante rispetto la scelta di Lucio con il quale ho condiviso alcuni momenti in Democrazia Proletaria. Credo che non sarà la mia scelta perchè penso che tutte le difficoltà che cerchiamo di evitare, ci si ripresenteranno più in la anche se in forme diverse. Durante la vita avviene così e penso se alla fine avremo dei conti in sospeso saremo comunque chiamati a saldarli anche se non so come perche la mia mente è troppo legata a questa dimensione, ma intuisco che non è la sola. Un altro mondo è possibile io ci credo e lottero fino alla fine perchè si realizzi anche se non lo vedrò CIAO LUCIO TI VOGLIO BENE e saluti comunisti
Gabriele Pacchierini
Grazie.
Saluti Comunisti.
Giustino
Chi lotta anche per il prossimo, con i suoi ideali di LIBERTA’ e GIUSTIZIA, è IMMORTALE ed è già un esempio.
CIAO LUCIO
Ho letto l’anno scorso il suo libro che mi ha affascinato, penso sia un piccolo dono che ci ha lasciato.
Un fiore rosso per ricordarti, caro Lucio. Marco da Roma