In questi giorni in molti ci siamo cimentati in un dibattito che aiutasse il movimento a ripartire dopo la botta del 15 ottobre. Colpisce, per una volta, la sostanziale convergenza delle analisi e dei giudizi di pressoché tutte le realtà e soggettività che compongono questo movimento. Una convergenza – mi sia consentito rilevare anche quest’ulteriore dato – che c’è ed è forte anche nel nostro partito e nella Federazione della Sinistra.
In cosa si sostanzia questa convergenza? In tre concetti essenziali: che la manifestazione è stata, in sé, straordinaria (il più grande corteo nel mondo, mezzo milione di persone, unite da obiettivi molto avanzati di alternativa e di critica delle politiche neo-liberiste); che la gestione dell’ordine pubblico nella manifestazione è stata scellerata e – nello specifico di piazza San Giovanni – semplicemente vergognosa; che le azioni di vigliaccheria e di violenza da parte di qualche centinaio di incappucciati sono quanto di più lontano non solo dall’obiettivo della manifestazione, ma anche dall’idea di società e di mondo che abbiamo in testa.
A partire da questi punti fermi, vorrei avanzare schematicamente quattro ipotesi che integrino le premesse su cui tutti concordiamo.
La prima ipotesi che suggerisco è questa: le violenze sono state la conseguenza pratica di una volontà politica: quella di far saltare il corteo pacifico promosso da una serie di soggetti (tra cui il nostro partito) ai quali si imputa una sostanziale subalternità alle logiche del governo e del capitale.
Questa tesi – esplicitata nelle settimane scorse in rete e sui siti di questa parte della galassia antagonista – è appunto una tesi politica. Come tale dobbiamo leggerla e come tale dobbiamo riuscire a batterla, sapendo che ha rappresentato una piccolissima parte di quel corteo, ma sapendo anche che ha avuto la forza di catalizzare su di sé tutta l’attenzione mediatica nei giorni successivi al 15.
Non penso, infatti, che si possa ridurre il tutto a questione di ordine pubblico (certo, le forze dell’ordine avrebbero dovuto e potuto fare diversamente, ma un ragionamento che facesse leva principalmente su quest’aspetto condurrebbe sul piano logico ad invocare ulteriore repressione, tutto il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno) né che siano valide le analisi pseudo-sociologiche circolate in questi giorni. Si parla di rabbia sociale. Forse chi non ha dato fuoco alle utilitarie pagate a rate posteggiate in via Cavour è meno arrabbiato di chi lo ha fatto, è meno socialmente a disagio, subisce meno gli effetti della crisi? O forse esiste una composizione materiale e di classe granitica dei soggetti che hanno compiuto quegli atti, tale da definire un blocco sociale (precario, proletario, subalterno) omogeneo? Evidentemente no. Su questo terreno va rimossa ogni ambiguità, che rischia di diventare funzionale al messaggio politico regressivo di cui parlavo prima.
Secondo punto. La rabbia sociale, al contrario, è una cosa molto seria ed ha attraversato, con un livello alto di maturità e coscienza, il corteo nella sua pluralità. Se non si è creato l’effetto contagio e gli episodi di violenza sono rimasti episodi singoli, deprecati ed espulsi dalla stragrande maggioranza del corteo, senza nemmeno trasformarsi – come qualcuno avrebbe voluto – in pratiche embrionali di “riot”, come nel 14 dicembre studentesco, è proprio perché il movimento, nel suo corpo, è più maturo e responsabile della sua testa, dei tanti apprendisti stregoni così come dei suoi presunti gruppi dirigenti, sui quali ultimi insiste la responsabilità – per esempio – di aver consentito una conformazione del corteo che vedesse in prossimità dell’apertura (e cioè in un punto nevralgico) la presenza di gruppi ben poco rappresentativi, totalmente privi di una organizzazione interna e di un servizio d’ordine e ben poco disponibili a rifiutare pratiche e azioni incompatibili con lo spirito della manifestazione.
Terzo punto. Ritengo che vada presa di petto la questione dell’anti-politica e dell’ostracismo nei confronti delle forze organizzate, e in primo luogo nei confronti dei partiti. Questo vento qualunquista, che soffia nel Paese, è giunto sin dentro le riunioni e le assemblee preparatorie del corteo. Non è più accettabile che Rifondazione Comunista, la Federazione della Sinistra e i suoi giovani organizzino circa 200 pullman da tutta Italia (un numero infinitamente superiore a quello di qualsiasi altro gruppo presente in piazza il 15 e paragonabile soltanto a quello delle due centrali sindacali, Fiom e Cobas, organiche al percorso del comitato), garantiscano dal primo all’ultimo minuto la tutela e l’incolumità di migliaia di manifestanti ma siano – in nome di questa maldestra cultura anti-partitica – confinati nelle retrovie del corteo, lasciando allo stesso tempo gruppi ben più esigui, ben meno rappresentativi (e con responsabilità a cui prima alludevo) alla testa del corteo.
Quarto elemento. Dobbiamo capire da dove ripartire. Il rifiuto dell’anti-politica e dell’ostracismo nei confronti dei partiti e delle organizzazioni di massa è un primo punto fermo. Rifondazione Comunista, che non ha né ha mai avuto velleità avanguardiste e si è sempre collocata dentro i movimenti, con una vocazione paritetica che le è sempre stata riconosciuta, è parte del percorso di ricostruzione e di rilancio del movimento. Tanto quanto gli altri, ma non è la ruota di scorta di nessuno. Siamo in campo, e vogliamo moltiplicare le parole e le ragioni del conflitto, come la Fiom meritoriamente si è incaricata di fare venerdì a piazza del Popolo. Ma, soprattutto, vogliamo costruire, su basi nuove, un luogo permanente nel quale si possano ritrovare tutte le forze, le strutture, le reti, i singoli che condividono una prospettiva di alternativa e pratiche coerenti con questo obiettivo. Come a Genova dieci anni fa, quando il movimento riprese la parola soprattutto attraverso i Forum sociali in ogni territorio e sperimentò forme di rappresentanza che misero al centro valori, pratiche condivise e soprattutto i contenuti (efficaci in quanto posti in essere da una massa critica significativa) di un’alternativa possibile al neo-liberismo. Uniti e con le idee chiare: questa è la nostra strada.
(articolo pubblicato da Liberazione il 23 ottobre 2011)
Noam Chomsky: Occupiamo il futuro
12 Stampa
Occupiamo il futuro
Se i legami creati dalle mobilitazioni in corso dureranno nel difficile futuro che ci attende – le vittorie non arrivano mai in tempi brevi – il movimento Occupy potrebbe segnare un momento cruciale per la storia americana. Personalmente non ho mai visto niente di simile, negli Stati Uniti e nel mondo. Gli avamposti di Occupy stanno creando una comunità solida, una base su cui costruire le organizzazioni indispensabili per superare le sfide del futuro e le reazioni del potere.
Il movimento non ha precedenti perché viviamo in un’era senza precedenti. E non da oggi, ma fin dagli anni settanta, un decennio che è stato un punto di svolta per gli Stati Uniti. Lungo tutto il corso della sua storia, questo paese ha sempre puntato sull’industrializzazione e la ricchezza. Perfino nei momenti più bui ha creduto che il progresso non si sarebbe fermato. A metà degli anni trenta c’era uno spirito diverso, anche se la situazione era molto peggiore rispetto a oggi. Il new deal fu approvato anche grazie alla pressione popolare, e la gente aveva la sensazione che i tempi duri presto o tardi sarebbero finiti.
Oggi invece c’è un forte senso di impotenza, quasi di disperazione. È una situazione nuova. Oggi gli operai del settore manifatturiero osservano la disoccupazione crescere e si rendono conto che se le scelte politiche resteranno le stesse potrebbe non esserci nessuna ripresa dell’occupazione.
Il peggioramento delle condizioni di vita per i lavoratori è cominciato negli anni settanta, quando l’industrializzazione ha subìto una battuta d’arresto dopo secoli di crescita costante. La produzione manifatturiera ha continuato a svilupparsi, ma è stata delocalizzata. Le aziende hanno aumentato i profitti, ma la forza lavoro ne ha pagato le conseguenze. E l’economiasi è finanziarizzata. Le istituzioni finanziarie si sono ingrandite a dismisura e hanno creato un circolo vizioso con la politica.
I politici, alle prese con i costi sempre più alti delle campagne elettorali, hanno attinto dalle tasche dei banchieri, per poi ricompensarli con leggi a favore di Wall street: liberalizzazione, riforme fiscali, regole vantaggiose per le corporation. Il circolo vizioso si è intensificato. Il collasso è diventato inevitabile. Nel 2008 il governo è di nuovo venuto in soccorso delle aziende di Wall street, che pare fossero troppo grandi per lasciarle fallire. Oggi, per lo 0,1 per cento della popolazione che ha approfittato di decenni di ingordigia e disonestà, le cose continuano ad andare a gonfie vele.
Prima reazione popolare di massa
Nel 2005 Citigroup – che è stata più volte salvata dalla bancarotta – considerava la ricchezza come un’opportunità di crescita. All’epoca la banca ha pubblicato una brochure che invitava i cittadini a investire nel cosiddetto indice Plutonomy, che riuniva i titoli delle aziende legate al mercato del lusso. “Il pianeta si sta dividendo in due blocchi, da una parte le plutonomie e dall’altra il resto del mondo”, riassumeva Citigroup. “Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna sono le principali plutonomie: economie sostenute dal benessere”. I non ricchi, invece, hanno cominciato a essere chiamati “precariato”, espressione usata per definire tutte le persone che vivono una vita precaria alla periferia della società.
Ma quella periferia è cresciuta fino a diventare una parte importante della popolazione, negli Stati Uniti e altrove. E così, come sottolinea il movimento Occupy, oggi ci ritroviamo con una plutonomia che rappresenta l’1 per cento della popolazione e con un precariato che riempie il restante 99. Il movimento Occupy è la prima reazione popolare di massa in grado di cambiare le dinamiche attuali. Finora mi sono limitato a parlare di problemi interni agli Stati Uniti. Ma negli ultimi anni sulla scena internazionale ci sono stati due sviluppi così rilevanti da oscurare tutto il resto. Per la prima volta nella storia esiste una minaccia reale di estinzione del genere umano. Fin dal 1945 l’umanità convive con gli armamenti nucleari, e sembra un miracolo che siamo riusciti a sopravvivere fino a oggi. Ora però le politiche dell’amministrazione Obama e dei suoi alleati stanno provocando un’escalation. E poi naturalmente c’è la catastrofe ambientale. Quasi tutti gli stati del pianeta stanno cercando di rallentarla. Gli Stati Uniti, invece, se ne infischiano. Se il paese più ricco e potente del mondo continuerà così, la catastrofe sarà inevitabile.
Bisogna fare qualcosa e alla svelta. Non sarà facile. Ma il movimento che si sta formando negli Stati Uniti e in altre città di tutto il mondo può e deve crescere fino a diventare una forza determinante nella società e nella politica. Se non sarà così, è difficile immaginare un futuro accettabile. Dunque è necessario coinvolgere tutti e aiutare la gente a capire cos’è il movimento Occupy. Bisogna che tutti sappiano cosa possono fare per cambiare le cose e quali sono le conseguenze del non far nulla. Informare le persone non significa dirgli in cosa devono credere, ma imparare tutti insieme. Si impara partecipando. Si impara dagli altri. Si impara dalle persone che si cerca di coinvolgere. Abbiamo tutti bisogno di capire e di fare esperienza, prima di formulare nuove idee o migliorare quelle degli altri.
L’aspetto più bello del movimento Occupy è la costruzione di legami tra le persone. Se questi legami saranno rafforzati, Occupy potrà davvero riportare la società moderna su un cammino più umano.
Traduzione di Andrea Sparacino.
Internazionale, numero 922, 4 novembre 2011
Questo articolo è un adattamento del suo intervento in Dewey Square, di fronte agli attivisti di Occupy Boston, il 22 ottobre.
ABOLIZIONE DEBITO PUBBLICO TRAMITE REFERENDUM POPOLARE A LIVELLO EUROPEO
pubblicata da Pierluigi Angelo il giorno venerdì 11 novembre 2011 alle ore 19.52
E’ UN PO’ DI TEMPO CHE STO CERCANO DI SENSIBILIZZARE CHIUNQUE SU UNA PROPOSTA A DIR POCO RIVOLUZIONARIA.
CREDO CHE MAI COME ORA SIA GIUNTO IL MOMENTO DI TOGLIERSI OGNI VELO DI ILLUSIONE.
A MIO AVVISO NON ESISTE GOVERNO TECNICO (CHE DEVE RISPONDERE COMUNQUE A QUESTO PARLAMENTO) O GOVERNO NUOVO POST ELEZIONE CHE POSSANO RISOLVERE I PROBLEMI ECONOMICI. E’ UNA ENORME BUGIA QUELLA CHE CI PROPINANO QUOTIDIANAMENTE CHE CON UNA SERIE DI PROVVEDIMENTI SI POSSA ANCHE SOLO IN PARTE MIGLIORARE LA NOSTRA CONDIZIONE. SI PUO’ AL MASSIMO PAGARE PARTE DEL DEBITO PUBBLICO SOLAMENTE PER RALLENTARLO. E’ COME CERCARE DI RIEMPIRE UN POZZO SENZA FINE. IL DEBITO , PER UN MECCANISMO ORMAI PERVERSO, SI ALIMENTA AUTOMATICAMENTE.
INFINE NON E’ CERTO QUESTA CLASSE POLITICA MONDIALE E QUESTO POTERE ECONOMICO E FINAZIARIO SEMPRE MONDIALE RESPONSABILI VERI DELLA CRISI CHE POSSONO POI RISOLVERLA. INVITO TRA L’ALTRO A INFORMARVI SU CHI E’ MONTI, E’ VERAMENTE SCONVOLGENTE, E SUL GRUPPO BILDERBERG. COME POSSIAMO ANCORASPERARE E DELEGARE LA SOLUZIONE A QUESTE GENTE?
STA AL POPOLO, A NOI, SE E’ VERO CHE SIAMO SOVRANI DEL NOSTRO DESTINO TROVARE SOLUZIONI.
IL PRINCIPIO E’ SANO: “NON SIAMO NOI I RESPONSABILI DEL DEBITO PUBBLICO E DELLA CRISI ECONOMICA. QUINDI NON SIAMO NOI CHE DOBBIAMO PAGARE IL DEBITO MA CHI LO HA PRODOTTO.”
CHI HA DETTO CHE IL DEBITO SIA UN DESTINO INELUTTABILE? INIZIAMO CON NON PAGARE IL DEBITO E COSTRUENDO MAN MANO UNA NUOVA GENERAZIONE DI DONNE E UOMINI SANI E SAGGI CON IN MENTE UN NUOVO SISTEMA ECONOMICO E SOCIALE. NEL MONDO, RICORDO, SI CONTIUNUA A MORIRE DI FAME E DI SETE, ANCHE SE CAPISCO CHE ORMAI NON SCANDALIZZA PIU’ O CI SI E’ ABITUATI PER RASSEGNAZIONE.
MI RIPETO FINO ALLA NAUSEA, BASTEREBBE PRENDERE ESEMPIO DALL’ISLANDA. LORO HANNO ABOLITO CON UN REFERENDUM IL DEBITO PUBBLICO, NAZIONALIZZATO LE BANCHE CONTROLLATE ORA CON UNA NUOVA LEGISLATURA DAL POPOLO, HANNO MODIFICATO LA COSTITUZIONE E HANNO MANDATO ORDINI DI CATTURA PER QUEI FINANZIERI E BANCHIERI CORROTTI RESPONSABILI ANCHE LORO DELLA CRISI ECONOMICA DEL PAESE. ORA L’ISLANDA SI E’ RIPRESA ECONOMICAMENTE.
INFORMARVI PER CREDERE.
CHIEDO QUINDI AIUTO PER ORGANIZZARE IL REFERENDUM PER L’ABROGAZIONE DEL DEBITO PUBBLICO IN ITALIA E IN EUROPA, PERCHE’ E’ MEGLIO IN TANTI CHE DA SOLI. ALLEGO ARTICOLO SULL’ISLANDA PERCHE’ E’ FACILE DIMENTICARE. TROPPA TV.
http://www.facebook.com/notes/informazione-libera/islanda-quando-il-popolo-sconfigge-leconomia-globale/10150253331779154
Ottimo intervento. un abbraccio, Luca
mercoledì 2 novembre 2011
Sull’ultima intervista di Nichi Vendola a “il manifesto”.
di Giovanni Lamagna
Vorrei commentare l’intervista che qualche giorno fa Nichi Vendola ha rilasciato a Daniela Preziosi de il manifesto.
Lo farò, come al solito, per punti e seguendone la falsariga.
1) La necessità di far partire il cantiere del Nuovo Ulivo.
Mi faccio una domanda di metodo: in che modo si fa partire un cantiere?
La prima operazione è quella di fare dei sondaggi sul terreno sul quale si vuole costruire, per verificare se esso è adatto a reggere la costruzione che si vuole edificare.
Mi chiedo e chiedo allora a Vendola: questa operazione è già stata effettuata? e con quali esiti? o è stata saltata, ritenendola superflua, non necessaria, per passare direttamente al progetto di costruzione dell’edificio?
Nel primo caso, nel caso cioè che questa operazione fosse già stata fatta, nessuno se ne è accorto; quand’anche gli esiti fossero stati positivi.
Nel secondo caso, riterrei grave che si sia passati direttamente alla costruzione del progetto, senza aver verificato prima se ci sono le basi necessarie per poterlo realizzare. L’esperienza del Vecchio Ulivo dovrebbe averci insegnato qualcosa da questo punto di vista. Non vorrei che di quella lezione non si tenesse conto e si procedesse come se essa non ci fosse mai stata.
Ancora: un’osservazione apparentemente formale (ma che tanto formale non è) sulla formula Nuovo Ulivo.
Francamente non mi sembra geniale, non la considero una grande trovata.
Il vecchio Ulivo non fece un bella riuscita. Cambiargli l’aggettivo iniziale non lo considero sufficiente come auspicio di una riuscita migliore.
Ovviamente faccio gli scongiuri.
2) La proposta Bersani di un patto di legislatura con i moderati.
Vendola non la esclude. Pone solo due condizioni: a) partiamo dal cantiere del Nuovo Ulivo; b) apriamo “porte e finestre ai movimenti sociali”.
Le condivido.
Ma a patto che Vendola tenga fermo su queste due condizioni.
Che mi sembrano però escludere nei fatti e in partenza ogni accordo coi moderati.
3) Il rapporto coi movimenti.
Su questo punto ( che anche per me è essenziale) non mi pare che le premesse siano delle migliori.
Il PD non ha partecipato alla raccolta delle firme per i referendum che si sono svolti nel maggio scorso.
Il PD non ha partecipato alla “manifestazione degli indignati” del 15 ottobre scorso.
Non è nella sua natura (mi pare) entrare in sintonia con i movimenti, sentirsene parte.
Pensa Vendola di fargli cambiare natura?
4) Le primarie come processo di partecipazione democratica.
In altre parole, mi sembra di capire, secondo Vendola le primarie dovrebbero non solo e non tanto scegliere una leadership, ma anche e soprattutto sciogliere i nodi programmatici.
Sono perfettamente d’accordo!
Ma questo è possibile se i partecipanti condividono la direzione di marcia. Altrimenti che si fa? Chi soccombe accetta una direzione di marcia diversa (e, magari, opposta) a quella per cui era sceso in gara?
Io credo che le primarie possono decidere i tempi e modi con cui si vogliono raggiungere comuni obiettivi. Non possono decidere gli obiettivi stessi. Questi devono essere decisi prima.
Perciò poco fa, a proposito dell’apertura del cantiere, evidenziavo la necessità di sondare, come premessa, il terreno su cui si vuole costruire l’edificio dell’alleanza, per verificare se esso è in grado di reggerlo.
5) Il rapporto con Casini.
Vendola dice: “Mi meraviglia che un uomo come Casini, sempre attento a rivendicare il primato della politica, inciampi sulla lettera della BCE”.
Qui francamente mi meraviglio che Vendola si meravigli.
Io penso che Casini non ha difficoltà ad accettare “i principi BCE” perché non li vive come un’ imposizione. I principi della BCE sono i suoi principi. Molto semplicemente! Perché non li dovrebbe condividere?
Casini rappresenta interessi sociali per cui le misure proposte dalla BCE vanno bene, anzi benissimo. Perché dovrebbe contestarle?
Per questo io ritengo impraticabile, già in partenza, un accordo di governo in cui ci siano Vendola e Casini.
A meno che Vendola non rinunci alle cose che finora ha sempre sostenuto.
Su Casini non ho dubbi: non rinuncerà mai alle sue scelte pro BCE.
6) La lettera della BCE.
Io penso che la lettera della BCE rappresenti un discrimine importante e chiaro tra due diverse impostazioni di politica economica. E che essa detti una linea di politica economica che è l’esatto opposto della linea economica che dovrebbe avere un soggetto politico come SEL
Per conseguenza penso che non ci sia nessuna base, anche minima, di interlocuzione non solo con un soggetto politico come l’UDC di Casini, ma anche con quegli ampi settori del PD (vedi Letta, vedi Renzi, vedi Ichino…) che considerano la lettera della BCE il loro programma di politica economica.
7) Un modello sostenibile di crescita.
Prendo atto che anche per Vendola (almeno da come si esprime qui) non esistono alternative alla “crescita”. Per quanto egli la voglia e la auspichi come “sostenibile”. Immagino “ecologicamente sostenibile”.
Sono sicuro che Vendola conosce l’ampio dibattito, che da molti anni oramai, si è sviluppato intorno al tema della “crescita”. Sono sicuro che lui sa che economisti non sprovveduti contestano la stessa formula di “crescita sostenibile”, in quanto considerano la “crescita” in sé come un feticcio dannoso e non positivo. E che parlino senza tabù e senza esitazioni di “un modello di decrescita”, che potrebbe essere addirittura, a loro modo di vedere, “felice”.
Cosa devo dedurne: che Vendola (e, per conseguenza,anche il soggetto politico che lui rappresenta, cioè SEL), rispetto a questo dibattito, ha già fatto le sue scelte? e quando? in quali sedi?
8) La redistribuzione della ricchezza e del carico fiscale.
Non ci sono dubbi che su questo tema (innanzitutto, anche se non solo) si gioca la prossima partita per un accordo di governo tra i diversi soggetti che si riconoscono nell’area di centrosinistra.
Se il centrosinistra non sarà in grado, quando sarà al governo (ammesso che ci arrivi) di sottrarre (è inutile usare eufemismi, perché di questo si tratta) ricchezza alle classi e ai ceti più abbienti per cederla alle classi e ai ceti meno abbienti, attraverso un nuovo sistema fiscale, decisamente e drasticamente proporzionale e progressivo e che non riguardi solo il reddito ma anche (e, forse, soprattutto) le proprietà, sia quelle immobiliari che quelle finanziarie, se il centrosinistra non sarà in grado di fare questo, allora non si potrà parlare di reale “alternativa di governo” ma, tutt’al più, di “alternanza di governo”.
E io non credo che SEL sia nata per far parte di un “governo di alternanza”.
La mia idea è molto semplice e chiara: o SEL è in grado di determinare “un governo di alternativa” reale oppure è meglio che ne resti fuori.
9) Il “vincolo di maggioranza” chiesto da Bersani.
Io personalmente condivido la richiesta di Bersani.
L’esperienza del Vecchio Ulivo ha insegnato una lezione amara in proposito. Non si possono più ripetere gli stessi errori dei due precedenti governi Prodi.
Su questo, credo, siamo tutti d’accordo.
Non la farei però così facile come mi pare la faccia Vendola: “Con le primarie c’è l’esposizione nel dettaglio di un’impostazione politico-culturale. Un candidato vince su un programma che poi impegna tutta la maggioranza”.
Anche Prodi, infatti, nel 2006 vinse su un programma rispetto a Bertinotti. Ma poi le cose, una volta al governo, non andarono affatto bene e si arrivò alla rottura.
Io non credo che il candidato vincente sia in grado realmente di impegnare tutta la maggioranza sul suo programma, se i programmi degli altri candidati sono radicalmente o significativamente alternativi al suo.
Io credo che in questo caso la convergenza sarebbe ipocrita. Solo formale e iniziale. Prima o poi, una volta avviata l’azione di governo, incomincerebbero le scaramucce, che più tardi diventerebbero vera e propria guerriglia, fino allo scoppio della guerra finale.
Insomma si ripeterebbe per la terza volta l’esperienza dei governi Prodi.
Io credo che questa esperienza negativa sia realisticamente evitabile solo a condizione che i programmi dei vari candidati alle primarie non siano tra loro alternativi, ma solo diversi ( ad esempio, quanto ai tempi e ai modi per raggiungere i comuni obiettivi).
Per dirla in altre parole: tra il candidato A e il candidato B ci potrà essere divergenza sul prendere l’Intercity o la Freccia Rossa per andare da Roma a Milano; e qui saranno i votanti alle primarie a decidere se preferiscono l’Intercity o la Freccia Rossa.
Ma se il candidato A da Roma intende andare a Milano e il candidato B da Roma intende andare a Palermo, come sarà possibile dopo fare il viaggio assieme?
Mi ritrovo perciò di più nell’altra affermazione di Vendola: “Dobbiamo condividere una carta d’intenti per risanare l’Italia…se si profila la giusta direzione di marcia, non ho alcun problema a sentirmi dentro un vincolo di maggioranza”.
Ma, appunto, bisogna condividere la stessa direzione di marcia.
E qui casca l’asino! Se alle primarie, infatti, si candideranno (per fare due soli nomi) Vendola e Renzi, essi condivideranno poi la stessa direzione di marcia?
Allo stato delle cose, delle cose che essi dichiarano oggi, e, ancora di più, alla luce della loro storia politica, non sembra proprio.
E allora cosa farebbe dopo Vendola, se il risultato delle primarie vedesse vincitore Renzi?
10) I temi etici e i diritti connessi.
La risposta di Vendola su questo tema mi sembra più un auspicio che la dichiarazione di un’intesa (anche se di massima) già raggiunta.
Su quale base Vendola pensa che sia oggi possibile un’intesa col PD sui temi etici, che non fu possibile nel biennio 2006/2008, non l’ho capito, semplicemente perché dalla sua risposta non si evince.
Se ne ravvisa solo la necessità. Ma mi sembra francamente un po’ poco, per essere ottimisti.
11) La pace e le missioni di guerra.
Anche qui mi pare che Vendola manifesti auspici più che dichiarare intese già raggiunte.
Fa un riferimento alla Libia (oltre che all’Egitto) , che non apre certo il cuore alla speranza che queste intese siano a portata di mano.
Perché, proprio sull’intervento militare in Libia, il PD si è dichiarato a favore, mentre SEL (insieme a IdV) ha espresso una ferma (e, per me, giusta) contrarietà.
12) Il fenomeno Matteo Renzi.
Qui la risposta di Vendola è chiara, netta, forse addirittura sprezzante: Renzi incarna un’idea di uscita a destra dal berlusconismo.
E io la condivido in pieno!
Ma, se è realmente questo il suo giudizio su Renzi, allora si pone il problema che enunciavo prima: cosa farà Vendola (e, con lui, SEL), se dalle primarie dovesse uscire vincitore Renzi?
Si adeguerà al programma di Renzi, che è “un’uscita a destra dal berlusconismo”?
La vittoria di Renzi alle primarie è’ un’ipotesi da mettere in conto ed è un’ipotesi da valutare prima di buttarsi nell’arena delle primarie. Non ti sembra, caro Nichi?
13) Il referendum sulla legge elettorale.
Qui Vendola dice, innanzitutto, che non esiste un sistema elettorale perfetto. E che, quindi, nessun sistema elettorale può avere un valore salvifico, catartico.
E su questo sono pienamente d’accordo con lui.
Aggiunge poi: “Abbiamo sostenuto il referendum che vuole cancellare il porcellum e ripristinare il mattarellum perché in questa stagione per me era importante ragionare sulla coalizione”.
E qui sono meno d’accordo.
Innanzitutto perché mi pare che lui dia per scontato l’accordo di coalizione che io, invece, (per le ragioni che ho cercato di illustrare nei passaggi precedenti) non do ancora affatto per scontato.
In secondo luogo perché mi pare che Vendola abbia dimenticato che furono proprio alcuni tra i più autorevoli sostenitori dell’attuale referendum (vedi, uno per tutti, Veltroni) che alle elezioni del 2008, giocando sul meccanismo maggioritario della legge elettorale (e il mattarellum è un sistema maggioritario né più e né meno del porcellum) puntarono ad escludere la Sinistra dal Parlamento.
Per queste due ragioni mi pare che la scelta di Vendola di puntare tutto “sulla coalizione” sia stata quantomeno incauta.
Per quanto mi riguarda, la mia propensione è netta e chiara: io sono per un sistema elettorale proporzionale (perché è l’unico che rispetta la reale rappresentatività dei soggetti che scendono in campo) con una forte soglia di sbarramento (in modo da favorire le aggregazioni e disincentivare una eccessiva frammentazione di soggetti in campo).
Avrei preferito, quindi, che Vendola si schierasse per questo tipo di sistema elettorale e non per il ritorno al mattarellum.
14) La prospettiva di una “sinistra larga, popolare, unitaria, plurale, curiosa, senza le ipoteche della nostalgia e la coazione alla subalternità”.
La condivido totalmente.
Anch’io non mi sento un estremista e non aspiro a restare eternamente in minoranza.
Anch’io non amo crogiolarmi nella nostalgia e nella ricerca di soluzioni messianiche e palingenetiche.
Anch’io sono per l’unità e per fare coalizione.
L’unica condizione che pongo è che i soggetti politici coi quali tendo a costruire una coalizione condividano con me “la stessa direzione di marcia”.
Altrimenti per me aspirare a fare coalizione è proprio quella che Vendola definisce, con giuste parole, “la coazione alla subalternità”. Nei confronti del soggetto maggiore con il quale aspiro a coalizzarmi.
E qui valgono, ancora una volta, i ragionamenti che ho già fatto in precedenza sul “vincolo di maggioranza”. Perciò non li ripeto.
15) Il rapporto con la Federazione della Sinistra.
Anche io, come Vendola, penso che non si possano “rimetter insieme i cocci di una vecchia storia”.
Ma, a differenza di lui, 1) non do per scontato che si trovi un accordo col PD sulla maggioranza dei contenuti che dovrebbero rendere possibile una coalizione per le prossime elezioni; 2) non sputerei sopra il fatto che su moltissimi contenuti c’ò un’intesa naturale tra ciò che vuole SEL e ciò che vuole la Federazione della Sinistra (a me sembra, anzi, un’intesa maggiore di quella che si registra tra SEL e il PD); sarà un caso che nel corteo del 15 ottobre SEL e Federazione della Sinistra marciavano assieme, mentre il PD era rimasto a casa?
16) L’ipotesi di un governo tecnico.
Qui Vendola dà una risposta chiara, netta, addirittura tranciante: Il governo tecnico è una prospettiva non fondata e non sensata.
Io la condivido totalmente.
E, allora, chiedo a Nichi Vendola: “Come la metti col fatto che invece il PD e, negli ultimi giorni, (sembra) anche l’IdV stanno puntando proprio su questa prospettiva?
Non ti sembra che qui si manifesti un dissenso di merito che ha un suo valore e un suo peso non proprio del tutto secondari anche rispetto alla prospettiva di una futura coalizione?”
17) L’ultimo saggio di Bertinotti.
Qui Vendola, pur affermando di tenere “in gran conto l’impianto analitico che ci offre Bertinotti”, pur sentendo “il dovere di una ricognizione spietata e lucida dei rapporti di forza, orientata dal gramsciano pessimismo dell’intelligenza”, dichiara “un dissenso di fondo” rispetto alle posizioni attuali di Bertinotti.
Ma non lo motiva né lo argomenta.
Francamente avrei preferito che lo facesse. Sarebbe stato utile, per uno come me (e, credo, non solo per me) poter confrontare i suoi ragionamenti con quelli di Fausto Bertinotti.
Apprezzo comunque i suoi toni pacati, quando dice che questo dissenso “non vuole essere lacerazione né separazione, che sono malattie della nostra cultura” e che per lui”non cambia nulla verso chi ha segnato così intensamente “ la sua vita. Sono toni che gli fanno onore.
pubblicato qui: http://bellaciao.org/it/spip.php?article30052
E tutto questo per poi cosa fare ?
Per contrattare poi la forza degli “indignati” al tavolo di trattativa col PD ?
E poi fare una bella alleanza elettorale dove – come ha già dichiarato tranquillamente Diliberto ier in un intervista al “Fatto” – si vota di tutto, finanziamento di missioni militari comprese ?
Forse i “black” – per i quali pure provo un fastidio anche fisico – hanno, magari senza averne nemmeno coscienza, rovinato questo giochetto ….
E, a questo punto, dico che è un bene che l’abbiano fatto …
Raf
Complimenti per il tuo articolo! Sono in sintonia con te e spero proprio che tutto il partito ti segua su questa linea, a partire da quei giovani che strizzano l’occhio alle violenze e alle delinquenze! un abbraccio, Danio
Perfettamente d’accordo con questo approccio. Tutti i giovani comunisti dovrebbero dimostrare la maturita e la serieta dimostrata dal coordinatore. Purtroppo in alcune realtà siamo (SONO) indietro…hasta siempre
Società e politica di fronte alla crisi
Roberto Musacchio, 21 ottobre 2011, 20:20
L’intervento Chi ha vissuto il 15, la sua lunga preparazione, come momento centrale della propria vita individuale e politica dimostra una volontà di non rassegnarsi alla distruzione del proprio punto di vista di critica radicale a ciò che sta accadendo nel Mondo, e in Europa, e che ci rende indignati. E, insieme, opera una riflessione diretta, perché vissuta sulla propria pelle, sul carattere catastrofico che la pratica della violenza ha avuto rispetto a questo percorso di rivolta verso lo stato di cose presenti che milioni di persone provano a realizzare
A guardare ciò che c’è nel dibattito pubblico che si è aperto dopo il 15 ottobre mi pare che emerga una prima grande discriminante: questa discussione è agita in modo assai diverso tra chi è stato parte di quella mobilitazione e chi invece ha scelto di starne fuori, del tutto o parzialmente, ed ora parla da esterno. Chi ha vissuto il 15, la sua lunga preparazione, come momento centrale della propria vita individuale e politica dimostra una volontà di non rassegnarsi alla distruzione del proprio punto di vista di critica radicale a ciò che sta accadendo nel Mondo, e in Europa, e che ci rende indignati. E, insieme, opera una riflessione diretta, perché vissuta sulla propria pelle, sul carattere catastrofico che la pratica della violenza ha avuto rispetto a questo percorso di rivolta verso lo stato di cose presenti che milioni di persone provano a realizzare.
Questa critica e questa repulsa sono il vero antidoto alle pulsioni distruttrici che albergano in una società ferita; un antidoto che per essere pienamente efficace chiede che il punto di vista radicale e la costruzione di un movimento e di una politica che lo pratichino non vengano dismessi. Altrimenti, nell’incapacità della politica di essere all’altezza dei cambiamenti necessari, l’amplissima sofferenza sociale fornirà materiali alla cinica surroga che la violenza fa della politica, nutrendosi in realtà di forme espressive ed organizzative speculari a quelle del potere. Chi ha qualche anno in più sa per esperienza diretta che ciò è avvenuto in altri tornanti della nostra storia italiana, cioè di un Paese dove il cambiamento è così difficile tale è il tasso di trasformismo e impenetrabilità dei poteri.
Ma siccome la storia non si ripete mai allo stesso modo, questo nuovo passaggio si presenta comunque con connotati inediti, che devono essere visti. Da un lato, ed è la nostra speranza, ci sono sulla scena mondiale ormai da tempo movimenti che si misurano in una vera e propria rifondazione del concetto stesso di politica e di rivoluzione facendo perno su elementi di forza importantissimi come il carattere globale del loro sguardo, l’attenzione irriducibile alla democrazia, la ricerca di una idea nuova e sostenibile dell’economia e della società. Hanno fatto molta strada in altri scenari, come in America Latina, partecipando ad una vera rinascenza.
Qui in Europa sono stati sconfitti ma ora si ripropongono come possibile punto di ripartenza rispetto ad una crisi la cui profondità è tale da mettere addirittura in gioco quello che è stato chiamato il modello sociale europeo, il compromesso più avanzato realizzato nel secolo breve ed ora squassato dal trentennio della rivoluzione conservatrice. Gli indignati sono precisamente un punto di ripartenza. Una ripartenza non facile però proprio per la profondità della crisi in cui essi stessi vivono la loro esistenza concreta. Ma anche perché i soggetti politici che hanno reso possibile la realizzazione del vecchio compromesso, di fronte alla vastità della rivoluzione conservatrice, sono stati largamente spiantati ed hanno finito coll’essere o sussunti nel recinto del pensiero unico o espunti e marginalizzati. In tutta Europa le sinistre vivono una assoluta incapacità di prospettare un modello realmente alternativo alle destre o di saperlo mettere in campo. Vale per i pochi governi rimasti, per cui quella del socialista Papandreu appare quasi la riedizione di una vera tragedia greca e la Spagna di Zapatero si avvia alla disfatta. Ma anche laddove la crisi morde lo stesso consenso delle destre e si riaprono spazi, come in Francia, Germania, Italia, si resta confinati in vecchie ricette. In Germania torna in campo, dal land di Berlino, la grande coalizione SPD e CDU; in Francia alle primarie i socialisti stanno dentro l’accettazione delle compatibilità monetarie.
E in Italia? Qui i tratti antichi di un Paese che vive di rivoluzioni passive e di sovversivismi dall’alto, incontrano nuovi scenari. Il primo è la conferma di una straordinaria disponibilità sociale che porta a fare del 15 ottobre la più grande delle manifestazioni realizzate in quella data. La seconda è però una novità, sia pure parziale. Il rapporto tra quel movimento e la politica è ancora più difficile che mai. Da una parte c’è una repulsa della ” politica ” che è cresciuta enormemente insieme al degradarsi della politica stessa. Dall’altra c’è una esternità della politica alla dimensione movimento che non era mai stata così pressoché totale. La presenza di partiti e leader alla costruzione del movimento e al suo manifestarsi non è mai stata così ridotta. Ma non per rispetto dei movimenti perché è evidentissimo che su quel movimento, e sulla manifestazione, i giochi politici sono tantissimi.
Perché dunque? Ma perché in quella che abbiamo chiamato seconda repubblica, e nell’era del maggioritario, i partiti sono sempre più trasformati in meri collettori di coalizioni volte al momento elettorale e alla conquista del governo attraverso le più ardite e improbabili sommatorie. Vicenda per altro paradossale se si pensa a quanto poco i governi incidano in questa fase di globalizzazione che mette tra parentesi la democrazia. E qui sta l’attorcigliarsi più profondo della crisi della politica in quanto essa si fa mero strumento di potere nel mentre le è più difficile usare di quel potere. E’ lì che si fa casta e recinto.
Mai tanta retorica per la partecipazione dei cittadini e mai tanta indifferenza dei partiti alle forme intermedie di organizzazione sociale e ai movimenti. Se penso alla mia esperienza storica personale è praticamente la prima volta che vado in piazza, il 15, sostanzialmente con una pratica tutta di movimento e fuori da una relazione con un partito che sia realmente interno a quel movimento e a quell’evento. Ma se così stiamo, la situazione interroga sia i movimenti che i partiti. I movimenti dovrebbero avere a cuore massimamente la propria unità e insieme la propria capacità di esprimere una idea di società condivisa. Per il 15 ottobre non siamo riusciti a fare abbastanza né l’uno né l’altro. Non siamo stati abbastanza uniti sul serio né abbastanza alternativi da bonificare la rabbia dalla violenza. Per i partiti fatico a dire, perché sono stati la mia vita. Devo dire che in queste ore ho quasi invidia dei cattolici che si ritrovano a partire da un’idea di società e non di un governo ( anche se questa pure non manca loro ). Dico solo che una politica, e un partito, di governo sono l’esatto opposto di una politica, e di un partito, per il governo. I primi hanno bisogno come il pane di un’idea e di una pratica di società, di forze in campo di cui far parte e che alimentano e sostengono il bisogno di alternativa. I secondi vivono di posizionamenti che servono a ben poco di fronte ad una crisi e ad una sofferenza così grandi. Parliamone.
Simone, scusami, ma hai letto l’articolo demenziale di Iannitti sul sito dei Giovani Comunisti, tra l’altro… Ma lui non è dell’esecutivo dei GC, perchè invece di andare in giro non era a lavorare allo spezzone e poi si permette pure di parlare!? ma si vergogni, in questa organizzazione si sono chieste le dimissioni permolto meno….
Grande Simone, sempre avanti così! Noi ti seguiamo sempre… sei il più bravo!
Questo tuo pezzo è buono, anche se ti diranno che sei troppo moderato. Invece giustamente guardi al sodo e al rapporto con il movimento, in maniera molto equilibrata. Anche con quelli più radicali, certo, ma isolando quelli che vogliono soltanto spaccare le teste… e come si vede da certi giornali e da certe inchieste si trovano tanto nell’estrema sinistra quanto nell’estrema destra…