Quello che segue è il testo dell’appello che promuoviamo come Alternativa Ribelle (e quindi come Giovani Comunisti e Fgci) in vista del 15 ottobre e che è stato pubblicato quest’oggi sul manifesto. Come ho già scritto, il nostro ruolo diventa determinante. Non è presunzione, ma la consapevolezza che Berlusconi non se ne andrà mai senza la lotta, il protagonismo dei movimenti, della sinistra politica e sociale. E lo stesso discorso vale per la crisi economica e per tutte le classi dirigenti che con le loro politiche neo-liberiste la crisi l’hanno prodotta e la crisi inevitabilmente la riprodurranno se saranno di nuovo messe nelle condizioni di governare. Va fermata la crisi e vanno fermate queste classi dirigenti. Con l’unico strumento che abbiamo: la lotta. Certo è – e questo è il contributo che stiamo dando, concretamente, in tutti i luoghi del movimento – che non basta declamare questi obiettivi o sparlarla grossa, perché non è detto che più grossa la spari e più sei ascoltato. Bisogna costruire, pazientemente, una massa critica in grado di incidere e vincere, con un lavoro egemonico e di costruzione del consenso che ha tempi lunghi ma non per questo è meno urgente. In questo sta il valore assoluto dell’unità, da perseguire tanto a livello sociale quanto a livello politico, riconnettendo tra loro le tante espressioni e soggettività di questa sinistra così divisa e debole. Il 15 ottobre sarà utile se avrà queste caratteristiche, se si inserirà veramente dentro un contesto di lotta europea e internazionale e si trasformerà, nel nostro Paese, in un grande appuntamento di massa e unitario della sinistra anti-liberista. Possiamo farcela, dipende da tutti noi. (Simone Oggionni)
Il 15 ottobre anche noi saremo in piazza con gli “indignati” d’Europa:
indignati come chi subisce un torto e vuole giustizia, indignati come chi è stato derubato in modo sistematico da chi tiene i cordoni della Borsa, muove i fili invisibili della Banche e occupa le stanze dei bottoni.
Ci hanno cresciuto nel culto di un sistema economico che ci chiedeva flessibilità, “spirito d’impresa” e sacrifici promettendo ricchezza. Siamo diventati precari, apprendisti sfruttati, stagisti non pagati, studenti universitari vessati da tasse sempre più alte e finanziamenti sempre più bassi. Abbiamo comprato i loro prodotti, rinunciato a mutui e pensioni. Abbiamo perso diritti sul lavoro conquistati con anni di lotte dai nostri nonni e dai nostri padri. Non abbiamo rappresentanza nel Parlamento, complice una politica che si è ripiegata nel suo fortino, per rappresentare interessi ben precisi.
E ora che questo sistema improntato al “produci-consuma-crepa”crolla come un gigante dai piedi d’argilla per la sua incapacità di stare in piedi, nonostante le molte ingiustizie su cui negli anni si era puntellato, gli stessi che ci hanno condotti verso il baratro vogliono che paghiamo ancora.
Quando alzavamo la voce, dicendo che oltre che ingiusto questo sistema era sbagliato, iniquo e irrazionale, ci chiamavano cassandre. E come la Cassandra del mito classico avevamo ragione.
La nostra è una indignazione non autosufficiente, che parte da lontano, attraversa Genova dal 2001 al 2011, e non finisce.
La nostra indignazione percorre gli stessi sentieri di chi vuole costruire un’alternativa, di chi sa che questo non è il solo modo di far andare le cose. Noi ne conosciamo uno più giusto ed equo, abbiamo proposte e pretendiamo di essere ascoltati.
Scenderemo in piazza il 15 ottobre perché in Parlamento si discute di dove e come prendere i soldi ma nessuno contesta per cosa si devono usare. Noi pensiamo che “tranquillizzare i mercati” sia un tributo di sangue ad una divinità malevola, una ricetta impiegata troppe volte in passato e che non risolve il problema.
Noi crediamo che i soldi vadano presi dove ce ne sono, da chi finora ha pagato poco o nulla. Con l’istituzione della patrimoniale, una lotta vera all’evasione fiscale nelle sue diverse forme, con la tassazione delle rendite finanziarie. Noi crediamo che i soldi vadano tolti, per esempio, alle scuole private, alla Chiesa Cattolica, alle spese militari, al finanziamento sistematico alla cultura del profitto, dell’impresa, della religione, della guerra e della morte.
Dobbiamo investire su una società dei saperi, sulla ricerca, sull’istruzione, e non regredire in un regime dello sfruttamento, di un capitalismo “straccione”, dell’Europa delle banche e della finanza.
Il 15 ottobre manifesteremo perché il destino dello stato sociale e della qualità della vita nel nostro Paese nei prossimi anni sta per essere determinato da organismi sovranazionali e lobby economiche che nessuno ha eletto.
Siamo un paese commissariato e sull’orlo del baratro, e vogliamo riprenderci la democrazia che ci è stata espropriata da questa destra antirepubblicana, clericale ed eversiva.
Il 15 ottobre manifesteremo perché dietro alla manovra Sacconi c’è la cancellazione di fatto di ogni garanzia sui contratti di lavoro nel nostro Paese e lo smantellamento dello Statuto dei Lavoratori (compreso l’articolo 18 che gli italiani hanno già difeso in passato) e quindi la Costituzione. Questo è un golpe e noi non lo accetteremo.
Ci stanno rubando il futuro, ed il 15 ottobre saremo in piazza perché non siamo ancora rassegnati: chi tiene in mano le redini del Paese lo sta distruggendo e spetta a noi salvarlo.
Al fianco della FIOM, della CGIL, di tutto il mondo del lavoro, dei precari, delle associazioni, degli studenti, insieme al Coordinamento 15 ottobre chiederemo il blocco della manovra e le dimissioni di un governo incapace e classista che ruba ai poveri per dare ai ricchi, che sta conducendo una generazione sull’orlo del baratro.
Ci riprendiamo la piazza in una grande giornata di mobilitazione dell’opposizione sociale che sia il battesimo del fuoco di un fronte compatto, unitario e aperto a chiunque abbia in mente un’altra manovra, un’altra idea di società, un altro mondo possibile.
Siamo un esercito di sognatori, e per questo siamo invincibili.
Verso il 15 ottobre un appello per il reddito di base
REDDITO DI BASE, UN DIRITTO FONDAMENTALE
Nel marzo di quattro anni fa, all’alba dell’attuale crisi globale, Ulrich Beck osservò: «Dobbiamo finalmente porre all’ordine del giorno queste questioni: come si può condurre una vita sensata anche se non si trova un lavoro? Come saranno possibili la democrazia e la libertà al di là della piena occupazione? Come potranno le persone diventare cittadini consapevoli, senza un lavoro retribuito? Abbiamo bisogno di un reddito di cittadinanza. Non è una provocazione, ma un’esigenza politica realistica».
Dinanzi a questa crisi infinita, che produce sempre più disoccupazione e povertà di massa e all’incapacità delle classi dirigenti di intervenire per ridurre i danni sociali, riteniamo sia il momento di rilanciare l’esortazione in favore di un reddito di base incondizionato, come concreta opzione per garantire, nell’immediato, la possibilità di una vita degna alle persone più drammaticamente colpite da insicurezza e impoverimento e, in prospettiva, per auspicare e realizzare un’altra idea di società.
Nei movimenti di cittadini che si mobilitano per rispondere alla crisi c’è una diffusa richiesta di trasformazione delle politiche pubbliche, in favore di maggiori interventi garantistici, per il riconoscimento di diritti sociali universali e il ripensamento del modello di sviluppo, oltre e contro la finanziarizzazione dell’economia. Come nella “grande trasformazione” degli anni ’30/’40 del Novecento, diviene fondamentale la lotta per il mutamento delle politiche di intervento pubblico. La crisi non lascia alternative: bisogna arrivare alla definizione di nuovi diritti in grado di garantire l’uguaglianza e la dignità della persona, ed uno di questi – quello su cui muovere – è proprio il reddito garantito.
Questa rivendicazione esprime il diritto fondamentale alla vita: è un diritto sociale, ma è anche una garanzia di libertà, che permette di sfuggire al ricatto della povertà, dell’insicurezza, della precarietà e dell’esclusione sociale. Una garanzia di libertà oltre che un diritto sociale, perché favorirebbe anche una nuova idea di partecipazione al lavoro, facendo sì che questo sia il frutto di una libera scelta e non più una semplice merce, svalorizzata a piacere dal capitale. Il riconoscimento di un reddito garantito permetterebbe poi di ripensare il ruolo della democrazia – nel combattere la finanziarizzazione dell’economia – e non solo dei sistemi di welfare, della qualità della vita e del lavoro.
Un reddito di base incondizionato sarebbe in grado di rispondere alle emergenze attuali e allo stesso tempo di porre in critica l’attuale modello di sviluppo, andando incontro dunque alle istanze di cambiamento che vengono da quei movimenti europei che il 15 ottobre scenderanno nelle strade d’Europa per rivendicare giustizia sociale, dignità e nuova democrazia.
Per tutto questo, e riprendendo le campagne in favore del reddito di base portate avanti dal Basic Income Network – Italia, della rete mondiale del Basic Income Earth Network, invitiamo le forze sociali, politiche e sindacali ancora sensibili alla tutela della dignità dell’essere umano a farsi portatrici di una campagna ormai necessaria in favore di un reddito di base incondizionato e a far riecheggiare nelle strade d’Italia e d’Europa, anche il 15 ottobre, la rivendicazione di un reddito garantito come diritto fondamentale per una reale democrazia ora.
Giuseppe Allegri, Piero Bevilacqua, Giuseppe Bronzini, Arturo Di Corinto, Luigi Ferrajoli, Andrea Fumagalli, Luciano Gallino, Stefano Giubboni, Sandro Gobetti, Fausta Guarriello, Maria Rosaria Marella, Cristina Morini, Giovanni Orlandini, Mauro Palma, Stefano Rodotà, Chiara Saraceno, Rachele Serino, Luca Santini, Guido Viale
Ho partecipato al seminario di Essere Comunisti a Napoli. Non intravedo nelle altre aree programmatiche la stessa capacità di analisi, la stessa qualità dei gruppi dirigenti e soprattutto la stessa capacità di intrecciare relazioni a 360° nella sinistra italiana.
Ma quando eri al Governo con Oliviero Diliberto, addirittura Ministro della Giustizia,con Ferrero ed altri,ma che cazzo avete fatto?
Chiedi a Marco Rizzo come si fa ad arrivare a 60 anni con 1000.00 € al mese e due figli laureati e disoccupati.
Anche Te non ci cacavi nemmeno eri preso, come tutti ,con i giochini politici. Rizzo, Caruso prendono il famoso VITALIZIO come prende quella m…. di Veltroni, 9000.00 € al mese.
Io speravo tanto, ma avevano ragione i miei figli,siete tutti ricattabili e quindi legati a qualche carro.
ottorino mugnai
livorno
La revisione in senso più restrittivo delle regole di Maastricht è stata rinnovata di recente col “Six pack” a partire dal 2015, e imporrà ai Paesi ad alto debito nuove manovre di rientro forzato.
Nella crisi in cui siamo nessuno può salvarsi da solo
ROMA, 15 OTTOBRE P. ZZA DELLA REPUBBLICA:
IL POPOLO È IN CAMMINO
– Le Germania ha responsabilità precise in questa crisi.
– Gli orrori del liberismo selvaggio europeo.
– Non è il nostro debito.
– Possibili soluzioni alla crisi.
– Regole contro la speculazione, azioni legali risarcitorie verso le Agenzie di rating.
La giornata del 15 ottobre vedrà mobilitazioni di protesta in tutta Europa, nel Mediterraneo e in altre regioni del mondo. In Italia per questa giornata internazionale si è creata una convergenza tra molteplici e plurali forze sociali, associazioni, sindacati, partiti della sinistra, uniti dalla consapevolezza che stiamo subendo tutto il peso di una crisi che non abbiamo provocato noi.
LA GERMANIA HA RESPONSABILITÀ PRECISE IN QUESTA CRISI
1) Ha adottato politiche interne fortemente restrittive e di fortissima deflazione salariale competitiva, in totale contraddizione egoista con la sopravvivenza dell’Unione monetaria europea, accumulando crediti grazie al fatto che gli altri Paesi più deboli assorbivano le loro merci indebitandosi e quindi destabilizzandosi.
2) La fragilità dell’euro deriva dal suo stesso vizio d’origine, imposto dalla Germania, che ha assegnato alla Banca Centrale Europea il solo compito della lotta all’inflazione, con la totale assenza di un impegno a sostenere la crescita economica, che è invece il principale compito per es. della Fed, la banca centrale statunitense. Questo ruolo della BCE è stato voluto dalla Germania per avere una valuta forte, in modo da ridurre il costo delle materie prime (trattate in dollari), poter acquistare più facilmente imprese e fare investimenti produttivi all’estero. Alla Banca Centrale Europea è stata inoltre espressamente vietata la funzione, propria di ogni vera Banca centrale, di sostegno ai Paesi attaccati dalla speculazione e di finanziatore di ultima istanza dei deficit dei Paesi aderenti (come invece fanno la Banca del Giappone, la Banca d’Inghilterra, la Fed statunitense ecc), con conseguenze disastrose per gli stessi Paesi.
3) Nei primi anni dell’euro tutti ritenevano che in caso di necessità le istituzioni europee sarebbero intervenute per rifinanziare i paesi in difficoltà, ma il rifiuto della Merkel di finanziare la Grecia nel 2009, quando bloccò per mesi gli aiuti europei facendo degenerare la situazione, ha rotto l’incanto scatenando l’assalto speculativo della finanza internazionale, che si è poi esteso agli altri Paesi.
4) la Deutsche Bank pochi mesi fa ha deciso improvvisamente di vendere titoli di stato italiani per 8 miliardi di euro e contemporaneamente di comprare derivati (Credit Default Swap) per assicurarsi dal fallimento dell’Italia. Questa scelta è stata come uno squillo di tromba per gli operatori che hanno cominciato a puntare sul fallimento dell’Italia.
5) La cancelliera tedesca Angela Merkel, per quanto riguarda la necessità di ricapitalizzare le banche, ha stabilito in questi giorni che l’Efsf (il fondo di stabilità europeo che si è deciso di rafforzare) può intervenire solo come ultima istanza, perchè prima devono intervenire i governi nazionali. Siccome la ricapitalizzazione delle banche, secondo Morgan Stanley, costerà agli Stati 140 miliardi di euro, possiamo dimenticarci qualsiasi ritorno alla stabilità nei conti pubblici.
GLI ORRORI DEL LIBERISMO SELVAGGIO EUROPEO
1) All’esplosione di ogni bolla finanziaria e dopo gli attacchi speculativi, la soluzione che viene prospettata è sempre la stessa: abbattimento del Debito Pubblico tramite il taglio della spesa pubblica (cioè meno sanità, meno scuola pubblica, meno dipendenti pubblici, aumento dell’età pensionabile ecc.), attacco ai diritti e alle tutele del lavoro, privatizzazioni e liberalizzazioni (cioè dare in pasto al mercato tutti i beni e servizi gestiti direttamente o indirettamente dal Pubblico): in una parola liberismo selvaggio. Questo processo sta mettendo in ginocchio i popoli europei e aggravando la crisi della domanda interna conducendo i paesi europei a una depressione economica.
2) La «troika» iperliberista (Commissione europea, Bce, Fmi) opera di fatto come il direttorio della Ue, come un podestà straniero, limitando la sovranità dei singoli Governi in materia di politica economica, pur non essendo stata eletta da nessuno, e le sue posizioni da strozzino differiscono sovente da quelle del Parlamento europeo, organismo eletto. Democratizzare la Commissione europea e la Ue sarebbero compiti impellenti per i governi europei
3) la Bce ha alzato i tassi in presenza di un’economia in depressione, dando il colpo di grazia all’euro
4) Il maggior limite della Bce deriva dal suo statuto, che le impone come massimo scopo quello di combattere l’inflazione, laddove una banca centrale dovrebbe avere tra i suoi scopi anche la promozione dello sviluppo e dell’occupazione, il prestito ai Paesi di denaro occorrente in caso di necessità, come fanno la Fed statutinetense, la Bank of England, il Giappone
5) la Banca dei regolamenti internazionali tre mesi fa ha chiesto alle Banche centrali di dare una stretta alla politica monetaria per combattere un’inesistente minaccia inflazionistica.
NON È IL NOSTRO DEBITO
1) È un aumento del debito pubblico dovuto alla crisi USA del 2008, che si è estesa ai paesi dell’Europa ed ha provocato un crollo dell’attività produttiva e quindi una crisi fiscale.
2) è un aumento del debito pubblico dovuto a un notevole calo delle entrate fiscali statali per la riduzioni dell’onere fiscale e i crediti agevolati concessi agli imprenditori (30 miliardi di euro l’anno!), che delocalizzavano pure le aziende pagando le imposte all’estero anziché nel paese d’origine.
3) è un aumento del debito pubblico dovuto a un crollo della domanda interna (e quindi una diminuzione di introiti fiscali per lo Stato) causata dalla riduzione dell’occupazione e del reddito;
4) è un aumento del debito pubblico dovuto alla speculazione che ha fatto perdere fiducia nei Paesi e quindi salire i tassi d’interesse anche dei Titoli di Stato e perciò allargare il debito pubblico.
5) è un aumento del debito pubblico dovuto al discredito di Berlusconi e alla mancata lotta alla grande evasione fiscale del suo governo e dei governi DC-PSI dagli anni 70
6) è un aumento del debito pubblico dovuto al fatto che gli Stati si sono fatti carico della ricapitalizzazione delle banche e dell’aiuto alla finanza (4.600 miliardi di euro, secondo il presidente della Commissione Europea): ovvero socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti!
7) è un aumento del debito pubblico dovuto alla stagnazione della crescita, causata negli ultimi 20 anni dalla perdita di produttività che, a sua volta, nasce sia dal ritiro dello Stato dai settori economici più avanzati sia dalle riforme del mercato del lavoro, che hanno abbattuto il costo del lavoro e scoraggiato gli investimenti.
POSSIBILI SOLUZIONI ALLA CRISI
1) La soluzione più probabile per uscire da questa situazione sarà fare in modo che i fondi EFSF (fondo Salva-Stati) rimpolpino il capitale della BCE e questa garantisca un volume potenziale di fuoco dell’ordine di uno o due trilioni, tale cioè da poter acquistare tutto il debito dei paesi periferici.
2) Si può consentire alla Bce di supportare l’Efsf. Per riuscirci, potrebbe essere sufficiente registrare l’Efsf come una banca, che in questo modo potrebbe rifinanziarsi presso la Bce alle stesse condizioni delle banche normali. L’Efsf potrebbe poi operare acquisti di titoli di Stato su vastissima scala, potenziando i propri fondi limitati grazie al supporto della Bce e dando a garanzia i titoli di Stato che acquista. Sapendo che un ammanco di liquidità non è più possibile, gli investitori si asterrebbero da attacchi speculativi contro i Paesi solventi
3) Altra soluzione può essere la creazione di un nuovo veicolo, esterno al fondo Salva-Stati (l’Efsf, Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria), che doterà lo strumento con 200 miliardi di euro. Il veicolo avrà la possibilità di far leva fino a dieci volte sulla dotazione iniziale, e dunque anche fino a 2mila miliardi, appoggiandosi alla Bei, la Banca europea per gli investimenti che procederà con l’indebitamento diretto sul mercato per finanziare il veicolo. A quel punto il veicolo, con un potenziale di fuoco in grado di scoraggiare la speculazione sarà a disposizione dell’Efsf che lo distribuirà ai singoli Stati nel momento in cui dovessero esserci improvvise crisi
4) D’altra parte basterebbe che la BCE dichiarasse di voler stampare moneta se necessario, perché mercati e spread si calmassero all’istante.
5) vanno affermate forme di bilancio e di fiscalità europea che permettano, attraverso un debito comune, di ripartire gli oneri e i vantaggi dell’unione valutaria tra gli stati forti e quelli deboli.
6) Poiché il debito europeo nasce anche dal fatto che ancora non c’è una nuova fonte di domanda, sarebbe possibile, sulla base di maggiori introiti e sul modello del “Job act” di Obama, creare un nuovo motore interno della domanda europea fondato sull’azione pubblica, perché il mercato autoregolato ha fallito. Lo stato deve rientrare nella produzione a partire da quella di servizi in regime di monopolio fino alle produzioni avanzate e innovative, che i privati non coprono, spingendosi fino alla nazionalizzazione delle banche facendo crescere l’occupazione riducendo l’orario di lavoro aumentando i salari, dando maggiori servizi, deduzioni fiscali, investimenti su green economy e conoscenza, potenziando ricerca, formazione, tecnologia, scuola e università.
7) lo statuto della Banca centrale europea va modificato, affinché il suo compito principale non sia più la stabilità valutaria e la lotta all’inflazione, ma il sostegno all’economia e alla crescita
8) La revisione in senso più restrittivo delle regole di Maastricht, decisa al Consiglio Europeo in primavera, e rinnovata con la recente approvazione del “Six pack” a partire dal 2015, impone ai Paesi ad alto debito manovre di rientro forzato. Come se ne esce? Il buon senso vorrebbe che mettesse mano al portafoglio chi possiede di più, cioè le persone (fisiche e giuridiche) titolari di grandi patrimoni anche immobiliari, e chi le tasse non le paga (l’evasione è a 120 mld l’anno!) ; è necessaria una maggiore tassazione delle rendite finanziarie esclusi i Titoli di Stato, la riduzione dell’assurda spesa militare, la progressività del prelievo fiscale, tagli ai costi della politica, una politica fiscale ispirata a criteri di legalità e giustizia, Ici sulle attività di lucro della Chiesa; recupero dei capitali occultati all’estero (230 miliardi solo in Svizzera!), utilizzo del surplus di riserve auree di Bankitalia.
REGOLE PER FRENARE LA SPECULAZIONE
1) QUAL È IL MECCANISMO DELLA SPECULAZIONE: gli speculatori sono un pugno di grandi operatori finanziari internazionali, società di intermediazione mobiliare, banche, assicurazioni, fondi pensione e d’investimento soprattutto anglosassoni, coadiuvati dalle autorità statunitensi. Essi realizzano enormi guadagni scommettendo sulla crisi dell’euro o gridando all’allarme per il rischio di default di alcuni Paesi: questo provoca l’immediato aumento delle difficoltà di collocamento dei titoli nei mercati internazionali. Così i derivati che questi operatori finanziari possiedono su questi titoli, cioè i CDS, che assicurano contro il rischio di default, aumentano di valore, facendo loro incassare plusvalenze finanziarie enormi. Peccato che la conseguenza sia l’abbassamento del valore della nostra Borsa e quindi la perdita di fiducia delle istituzioni finanziarie verso la nostra struttura finanziaria, e perciò l’ aumento della percentuale di rischio di solvibilità del nostro Paese, facendo salire il tasso d’interesse che serviva a comprare i nostri titoli del tesoro (cioè per acquistare BOT, BTP lo Stato italiano deve offrire più soldi), e quindi aumentando l’indebitamento, che può rendere insostenibile la restituzione del nostro debito, determinando la possibilità di fallimento (default) dell’Italia.
2) SERVONO DUNQUE REGOLE PER FRENARE LA SPECULAZIONE:
a) La Banca Centrale Europea deve continuare ad acquistare direttamente sul mercato primario i titoli del debito pubblico dagli stati europei, come fanno la Federal Reserve negli Usa, la Banca centrale d’Inghilterra, la Banca centrale giapponese ecc. La BCE deve dare una garanzia immediata e totale nei confronti di possibili annunciati fallimenti; a manovre che fanno leva su variazioni dei valori degli stock, essa deve rispondere rendendo chiaro, con gli annunci e con i fatti, che le vendite saranno fronteggiate da acquisti senza limiti, sostenuti da adeguamenti degli stock di moneta. Rispondendo invece, come purtroppo si sta facendo, solo con garanzie parziali e diluite nel tempo, si premia la speculazione, si fanno inutilmente soffrire i popoli, si mina la coesione internazionale.
b) Finalmente la Commissione Europea ha trovato un’intesa per applicare una tassa sulle transazioni di obbligazioni e azioni, per colpire chi compra e subito rivende appena può trarre profitto, ma purtroppo le aliquote minime previste sono quasi insignificanti: lo 0,1% per le operazioni su azioni e obbligazioni e lo 0,01% per le operazioni su prodotti derivati e strutturati: una tassa inferiore a quella più congrua prevista dalla Tobin tax. E si partirà solo dal 2014.
c) Gli Stati possono poi proibire le “vendite allo scoperto”, come ha fatto la Germania.
d) Sarebbe utile l’emissione di Eurobond, perchè a quel punto sarebbe l’Europa il garante del debito e i paesi che hanno maggiori problemi di debito pubblico potrebbero così ottenere prestiti a interessi abbastanza bassi. La Germania che si oppone agli Eurobond rifletta, dato che con politiche recessive ha ridotto gli sbocchi nell’eurozona per le merci tedesche, provocando l’attuale crescita zero della stessa Germania; e inoltre l’eventuale insolvenza della Grecia o, ancor più, di altri paesi come Italia o Spagna, porterebbe al fallimento delle maggiori banche francesi e tedesche, fortemente esposte nei loro confronti, rendendo necessario un loro costosissimo salvataggio, più dispendioso del finanziamento di tali debiti sovrani da parte di un organismo comunitario
e) Come ha già fatto con successo la Procura di Trani che le ha indagate per
aggiotaggio e turbativa dei mercati per aver diffuso report inaffidabili sull’Italia, andrebbero esercitate in sede civile, anche attraverso l’Avvocatura dello Stato, azioni risarcitorie contro le Agenzie di rating. Il rapporto “incestuoso” con la propria clientela e il perverso intreccio proprietario che ne costituisce l’assetto societario sono già di per sé un pesante indizio di colpevolezza delle Agenzie di rating. È arrivato il momento di pensare ad un’agenzia pubblica di rating.
f) Si potrebbero nazionalizzare alcune banche di interesse nazionale, attuare una divisione tra banche commerciali e banche di investimento e applicare le regole di Basilea 3 con divieto di gestione fuori bilancio di qualsiasi titolo
PER ORGANIZZARE UNA RISPOSTA COMUNE EUROPEA, SINDACALE E POLITICA, CAPACE DI CAMBIARE LE ATTUALI SCIAGURATE SCELTE ULTRALIBERISTE DI POLITICA ECONOMICA DELL’UNIONE EUROPEA.
PER UNA SOCIETÀ CHE METTA AL CENTRO IL BENESSERE DEI POPOLI E LA SALVAGUARDIA L’AMBIENTE
PER RICONQUISTARE UNA DEMOCRAZIA REALE IN CUI DONNE E UOMINI, COMUNITÀ, LAVORATRICI E LAVORATORI ABBIANO IL DIRITTO DI DECIDERE LIBERAMENTE SULLE SCELTE CHE RIGUARDANO TUTTE E TUTTI.
PER CHIEDERE LE DIMISSIONI DEL GOVERNO BERLUSCONI E NUOVE ELEZIONI SUBITO
15 OTTOBRE, ROMA ORE 14 P. ZZA DELLA REPUBBLICA
Franco Pinerolo
Milano, 9 ottobre 2011
15 ottobre – Quale cambiamento ci interessa?
Come alcuni o molti sapranno, l’acceso confronto all’interno del Comitato degli organizzatori non trova, al momento, una sintesi unitaria su contenuti e modalità, divisioni che si traducono concretamente anche nella definizione del percorso.
Per dire pane al pane: una parte (Arci, Fiom, Uniti per l’Alternativa, Cobas, UdS) sostiene posizioni tali da contenere la manifestazione (e la modalità di partecipazione) all’interno di un percorso che è dettato dalla Questura e dal Sindaco Alemanno, comunque lontano dai palazzi del potere. Noi insieme alle altre realtà sociali, politiche e sindacali, riteniamo che la giornata del 15 non possa essere rituale, girare più al largo possibile da Palazzo Chigi e dal Parlamento, e che non possa concludersi con qualche intervento dal palco e con un concerto.
Non è solo una questione di percorso ovviamente, basti pensare allo striscione di apertura con su scritto “Cambiare l’Europa cambiare l’Italia”, che andrebbe bene per un bel manifesto elettorale di qualsiasi partito politico (ad eccezione dell’attuale maggioranza, potrebbe essere stampato da tutti, anche dall’UDC e sicuramente dal PD), ma è per questo che scendiamo nelle piazze in Italia e in Europa? Quale cambiamento ci interessa? Certo non un Montezemolo o un Profumo al posto di Berlusconi, questo farebbe piacere a Draghi e alla Merkel, ma non siamo questi.
Dietro ad una sorta di gara a chi fa il più “orizzontale” e “inclusivo”, ritroviamo le solite dinamiche, dove si crea confusione tra percorsi ben distinti: tra chi (legittimamente) pensa di poter partecipare ed aver un ruolo nelle prossime elezioni politiche per una alternativa al centro destra, chi pensa di riesumare una sorta di Social Forum ricreando un consorzio che ha contribuito più dei manganelli di Genova a rimandare a casa entusiasmi e impegno politico e civile, e tra chi pensa (giustamente) che ci sia bisogno di costruire un percorso che abbia nella ricostruzione di un progettare e fare politica e società slegato (anima e corpo) dalle alternanze di potere, che nel farlo sostenga e organizzi nel conflitto i settori popolari, che pratichi l’autonomia da chi si candida a gestire le fratture della coesione sociale (CGIL per essere chiari).
Tutto si può fare e tentare ma bisognerebbe essere sinceri e dichiarare il proprio percorso.
disuniti non si cresce: nord affetto da cancro mala – sud desertificato
Due avvenimenti di questi giorni hanno d’improvviso riaperto l’eterna discussione e confronto tra la situazione esistente nel Nord del Paese e il deserto che si sta profilando al Sud. Quest’ultimo è venuto fuori sia dai dati Istat che dal rapporto pubblicato dallo SVIMEZ (Istituto per lo Sviluppo del Mezzogiorno) che dopo circa mezzo secolo si è finalmente convinto che l’analisi fatta per tantissimi anni, in passato, andava completamente ribaltata. La storia del divario Nord-Sud nasce già negli anni ’60 del secolo scorso quando ancora ero sui banchi dell’Università. Il mio Professore di Politica economica aveva pubblicato uno dei suoi tanti libri, sui quali studiavamo, ”Lo sviluppo economico in Italia” , al quale ogni anno aggiungeva un ultimo capitolo con l’aggiornamento dei dati. E così, anno dopo anno, la litania era sempre la stessa. Il divario Nord-Sud si è allargato, però il Sud non è rimasto fermo perché è passato, nelle campagne, dalla luce ad olio o a petrolio a quella elettrica. Quel divario non si è mai ridotto, neanche un anno per sbaglio, ma è continuato ad allargarsi. Tutta la classe politica, i governanti di tutte le specie (sempre brutte), lo stesso Svimez, ripetevano quel ritornello. Il divario è aumentato, però nel Sud qualcosa si è mossa (se non altro la terra, essendo territorio soggetto a sisma). Da alcuni anni a questa parte lo Svimez si è accorto che qualcosa si muoveva, però, all’indietro. E,oggi, ha scoperto che si sta desertificando, in tutti i sensi. Poi è arrivata la Lega che con le sue pacchianate , i suoi shows e il suo infinito e cieco egoismo, ha rincarato la dose inculcando e rafforzando in tutti gli italiani che il Sud vive di assistenzialismo che verrebbe elargito spogliando il Nord. Ma qui mancherei di completezza e obiettività se sostenessi che è colpa solo della lega. Questo concetto dell’assistenzialismo è nato prima, quando la Lega ancora non esisteva. E l’aspetto stravolgente, incomprensibile, ai limiti della follia, è la spiegazione che cerchi e non trovi di come si possa costruire una mostruosità del genere, che blocca il Paese intero, sulla base di una immensa mistificazione storica poggiata su una falsità.
Nel 1992 ebbi un confronto a distanza attraverso le pagine del settimanale “Mondo Economico” (n. 9 del 07/03/1992) con il Prof. Marco Vitale, insigne economista e aziendalista, proprio sul tema specifico. In quella occasione citai la conclusione tratta dall’indagine condotta dalla Commissione Bilancio del Senato, presieduta dal Prof. Andreatta, che dopo aver raccolto e confrontato tutti i dati necessari, ha concluso che quanto lo stato elargiva al Sud sotto forma di interventi straordinari glielo toglieva, raddoppiato, da quello ordinario. La Relazione accompagnatoria così conclude: “” Solo raddoppiando l’intervento straordinario si porterebbe la spesa statale pro capite nelle regioni meridionali a livello comparabile con quello delle regioni-settentrionali””.
Nella replica il prof. Vitale dice tra l’altro : “ Ma il signor Calvano, che è un uomo pratico, a un certo punto , dirà che è ora di finirla con le chiacchiere e ci porterà sul terreno concreto delle cifre. Allora bisognerà……”” ed ha aggiunto, secondo il mio parere, un sacco di altre chiacchiere per ribadire cose che noi per primi, come meridionali, respingiamo fortemente e molti di noi sono schierati in prima fila contro politici corrotti, incapaci, inetti e incompetenti, che però sono la fotocopia di quelli che Bossi chiamava “Roma ladrona”. Aggiungevo, da parte mia, la più amara delle osservazioni. Che è la scoperta fatta oggi da Svimez. Scrivevo : “ Stiamo consigliando ai figli e ai nipoti che mandiamo a studiare al Nord di non tornare alle case paterne ma di sistemarsi dove si riesce a vivere. Se mettiamo nel conto questo notevole contributo che versiamo in favore del Nord, spogliandoci delle persone piu’ care e al tempo stesso delle uniche in grado di contribuire allo sviluppo delle generazioni future, il saldo degli stanziamenti pro Nord aumenta sensibilmente.”” Concludevo con una domanda : “”come pensano di risolvere i problemi del Nord (non più quelli del Sud) allorquando le altissime percentuali di giovani interpellati dal Cirm metteranno in atto i loro propositi e si porteranno dietro mafia, camorra e ‘ndrangheta che qui non saprebbero più cosa fare?””
Non mi sono sbagliato di una virgola.L’opulento Nord è alle prese con un brutto cancro,da cui non si guarisce.
Il secondo avvenimento che citavo all’inizio è l’espressione pronunciata dal Presidente Napolitano “Uniti si cresce, disuniti non si cresce”. Anche questo è l’aspetto più drammatico del rapporto Nord-Sud, che però a parole è sempre stato evocato, ma mai avviato a soluzione. Più o meno agli inizi degli anni ’70, il Ministro del Tesoro di allora, Emilio Colombo, pubblicò sull’Espresso formato quotidiano un titolo a tutta prima pagina con una bellissima metafora immaginifica : La Locomotiva del Nord non può trascinare a lungo dei carri frenati che si porta dietro.”
Quindi, ergo, bisognava creare condizioni di uguaglianza tra le diverse zone geografiche , nell’interesse dell’intero Paese, Bossi compreso, anche se non lo capisce e preferisce farsi finanziare dal Premier.
Infine, chiederei, non agli sprovveduti parlamentari, ma a qualche giornale di opinione, a l’Espresso, a qualche TV, di andare a rispolverare quella indagine condotta da Andreatta e diffonderla adeguatamente, nell’interesse di tutti i cittadini italiani e per riparare ad un falso storico su cui si giocano le sorti delle regioni del Bel Paese.
Ma insomma lo vogliamo capire o no che non c’e’ spazio per questa dannata posizione che si ostina a tenere il Prc?
O si sta’ da una parte o dall’altra!
Sembriamo Veltroni anzi peggio!L’imitazione di Veltroni
“Saremo alleati del centrosinistra ma anche autonomi”
Saremo autonomi ma anche alleati del centrosinistra”
Caro Grassi,caro Ferrero sara’ che forse un semplice militante vedo le cose in maniera meno complessa e piu’ terra terra ma spazio per posizioni troppo di comodo non c’e’ ne sono!
A parte la questione principale rappresentata dal fatto che non e’ scontato che il Prc-Fds sia in coalizione con i nostri paletti,cioe’ autonomia nel presentare il simbolo e nessun vincolo programmatico,ma come pensiamo di cavarcela se saremo schiacciati alla nostra destra dalla propostra di Vendola e alla nostra sinistra dalla proposta di Cremaschi?
Ma qualcuno pensa che semplicemente perche’ staremo nella cornice del csx otterremo un mezzo punto in piu’ e tutti felici e contenti?
Ma sei stai nel csx dicendo che si o no faremo 3/4 cose,contro una proposta chiara(non condivisibile certo)di Vendola si perde eh!
Avete chiaro come e’ andata a Bologna?
E li’ eravamo in coalizione ma abbiamo preso lo stesso l’1,5%,cosi’ come in tante realta’ dove pure eravamo nel csx ma senza ne’ arte ne’ parte.
E lo stesso vale per un eventuale abbraccio a freddo del progetto di Cremaschi.
Ora so’ che qualcuno dira’,ma tu dai un colpo alla botte e uno al cerchio,sei anche tu per “Ma anche” di Veltroniana memoria.
No,perche’ io non dico quale e’ la soluzione migliore.
Non dico facciamo come Vendola,candidiamoci a governare perche’ cosi la Fed cresce e va bene ne’ che andando con Cremaschi sara’ un trionfo.
Ma dico semplicemente che sono 2 le strade possibili.
Nella terra di mezzo si e’ sconfitti!
Dobbiamo decidere dove stare(non con chi stare,se Vendola o Cremaschi)e forse un congresso che decideva questo era molto meglio.
Peccato,credo che saranno oggettivamente mesi molto complicati dove saremo nel limbo e questo ci costera’.
Perche’ sia Nichi che Giorgio prepareranno le loro strade e a noi tocchera’(forse,speriamo)solo decidere quale attraversare
Caro Luca,un un clima di generale,immotivato e schizzofrenica euforia le tue riflessioni servono eccome.
Perdonatemi se non seguiro un filo cronologico.
Prc e congresso.
Leggo che qualcuno si auspica un cambio di guida per il Prc(con Grassi)e che una come la Forenza faccia posto ad Oggionni.Per carita’ anche io auspico che Ferrero non sia piu’segretario … ma vi siete accorti che hanno fatto un documento comune?
E allora come la mettiamo? … mah si certo una vocina mi dice che poi al congresso se ci fossero le condizioni ci potrebbe essere anche un ribaltone … ma i numeri sono a favore di Ferrero(con Pegoliani e ex-Bertinottiani e’ blindato),e allora scusate dove e’ la novita’?
Il segretario che ha portato il Prc dal 3,4% delle europee,al 2,7% delle regionali al 2,5% delle amministrative del 2011(cito i dati dell’ufficio elettorale della Fds eh!)verra’ riconfermato … salti di gioia!?
Ma dobbiamo aggiungere che da questo congresso le minoranze anti-alleanza con il csx usciranno rafforazate,F&M e Targetti tra gli iscritti valgono piu’ di quanto hanno preso al CPN e purtroppo le loro tesi sono inevitabilmente da “scissione” in caso appunto di alleanza con il csx.Bellotti ha tutto da guadagnare andando con Cremaschi.
Ma c’e’ di peggio,tutto ruota attorno al “Fronte”,inutile girarci attorno,tra gli iscritti,la discussione non e’ certo “l’attualita’ del comunismo o se bisogna rifondare-rifondazione o altro” queste sono(scusate la brutalita’)le pippe mentali che si possono permettere di fare i dirigenti.
I semplici militanti si chiedono,”ma ci alleamo con il csx?Ma non e’ che non ci alleamo?Ma che facciamo con Vendola e Bersani?E sto’ Cremaschi?”.
Appunto Cremaschi e Vendola.
Luca ha usato una espressione giusta.
Nella “terra di mezzo” rischiamo di scomparire,tra la proposta di Vendola e quella di Cremaschi una nostra posizione senza ne’ carne ne’ pesce non sara’ apprezata.
E allora?andiamo a parlare alla manifestazione di Cremaschi e poi quando ci sara’ una del Nuovo Ulivo andremo pure li’?
Qualcuno dira’ con molta real politik
“senti ma dai Cremaschi e’uno che e’ in minoranza anche in fiom,e’ andato in pensione e per contentino gli hanno dato la presidenza del C.C. della Fiom,quando vota contro Landini prende il 10% … e noi ci vogliamo imbarcare in una avventura con Cremaschi,che ha poi dietro un esercito di 0,qualcosa come Cannavo’,Ferrando,Rizzo e tutta gente che poi no va’ daccordo su nulla?”
Vero eventuali osservazioni giuste e allora csx!
Ma qualcuno direbbe
“Ma tu sei convinto che il “Fronte” di Ferrero e’ attuabile?Bersani,Letta,Veltroni e Fioroni accetteranno di presentarsi con l’impresentabile Falce e Martello?
Ma e’ fuori discussione!Non ci permetteranno di presentare il simbolo e ci chiederanno di mettere nostri candidati in altre liste.e poi soprattutto ma come facciamo a fare un accordo che ci garantisce nessun vincolo di programma,insomma come faremo a potere votare anche contro quando il csx dovra’ fare quelloche dice la Bce e altri?Non ci sono i margini!Ma davvero pensate che il Pd ci condede il lusso di stare in coalizione e prendere il 2,5/3%,un 20/25 deputati e rompere le scatole?Quando poi se ci sbatte fuori prendiamo l’1/1,5%(cito Grassi che disse esattamente che la Fds fuori dal csx alle politiche prende l’1%!)”
Giustissime anche queste considerazioni,non fanno una piega.
E vogliamo parlare della tragica Fds?
Diliberto e Salvi erano presenti da Cremaschi?
Ovvio che no!Diliberto ha passato un estate a sviolinare alle feste del Pd e a dire che letteralmente “su 10 cose che faremo con il Pd su 7 saremo daccordo e se su 3 non saremo daccordo il Pdci posso assicurare non rompera’ le scatole(video disponibile su youtube,ed e’ l’esatto contrario della posizione semi-autonoma del Prc di Ferrero),Salvi e Patta con il loro Partito del Lavoro(mi fa’ ridere solo associare Partito con Salvi e Patta … )sono stati chiari.
“il Pdl(embe’ la sigla e’ questa)e a Fds non stia fuori dal csx”
mi sembra che,siccome da tutti e’ giudicato un fallimento la Fds a grossi passi ci stiamo avvicinando alla dissoluzione della Federazione,anche perche’ e’ de facto inesistente.
E poi sullo sfondo c’e’ la legge elettorale.
Un cambio di questa legge(che oggettivamente ci favorisce in caso di alleanza con il quorum che scende al 2%)sarebbe la dinamite che fa’ esplodere tutto.
Con un ritorno al Mattarellum il quorum del 4% e’ una chimera,se non altro perche’ una alleanza Ferrero,Diliberto,Salvi,Cannavo’,Rizzo,Ferrando e ecc. e’ impossibile.
Pdci e Salvi in cambio di qualche seggio blindato nell’uninominale entrerebbero nel csx con appelli al voto per Pd o Sel.(poi 2/3 del Pdci sara’ nelle liste del proporzionale).
Ma fughe ci saranno anche dal Prc .. si puo’ negarlo?No siamo seri,basta vedere cosa accade nei territori dove si votera’ nel 2012,con presidenti di circoscrizioni,consiglieri provinciali,assessori che lasciano il Prc per Sel perche’ sanno che Sel sicuro stara’ nel csx,clamoroso il caso del presidente del consiglio della provincia di Terni che ha aderito al PD!e li’ non si vota neanche nel 2012!
Insomma i nodi verrano al pettine,e credo che per il periodo in cui si svolgera’ il congresso di Napoli saranno venuti a galla.
peccato che noi avremo parlato di altro!
Beh, se il congresso si concludesse con Oggionni in segreteria e la Forenza fuori dalle scatole sarebbe un salto di qualità indiscutibile…. perché il primo tra qualche anno potrebbe tranquillamente fare il segretario nazionale (non vedo in giro nel partito giovani migliori di lui) mentre la seconda è una che nel vecchio Pci non avrebbe nemmeno fatto la segretaria della sezione. E lo dice una vecchia toscana che nel Pci c’è stata una vita!
Bravo Simone!
Musica per le mie orecchie!
Sei giovane ma più saggio di tanti “maturi”.
E’ la strada giusta.
Grazie
*Quello che segue è il documento approvato all’unanimità (meno 2 astenuti e
2 contrari) dai circa 1000 partecipanti all’assemblea nazionale delle/dei
firmatari/e dell’appello “Dobbiamo fermarli. Noi il debito non lo
paghiamo”svoltasi il 1° ottobre al teatro Ambra Jovinelli di Roma
*
*Documento finale*
Noi partecipanti all’assemblea del 1° ottobre a Roma: “Noi il debito non lo
paghiamo. Dobbiamo fermarli” ci assumiamo l’impegno di costruire un percorso
comune.
Tale percorso ha lo scopo di affermare nel nostro paese uno spazio politico
pubblico, che oggi viene negato dalla sostanziale convergenza, sia del
governo sia delle principali forze di opposizione, nell’accettare i diktat
della Banca Europea, del Fondo Monetario Internazionale, della Confindustria
e della speculazione finanziaria. Vogliamo costruire uno spazio politico
pubblico, che rifiuti le politiche e gli accordi di concertazione e patto
sociale, che distruggono i diritti sociali e del lavoro. Vogliamo costruire
uno spazio politico pubblico nel quale si riconoscono tutte e tutti coloro
che non vogliono più pagare i costi di una crisi provocata e gestita dai
ricchi e dal grande capitale finanziario e vogliono invece rivendicare
sicurezza, futuro, diritti, reddito, lavoro, uguaglianza e democrazia.
Vogliamo partire dai cinque punti attorno ai quali è stata convocata questa
assemblea
1. Non pagare il debito, far pagare i ricchi e gli evasori fiscali,
nazionalizzare le banche
2. No alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra, no
alla corruzione e ai privilegi di casta
3. Giustizia per il mondo del lavoro. Basta con la precarietà. Siamo
contro l’accordo del 28 giugno e l’articolo 8 della manovra finanziaria.
4. Per l’ambiente, i beni comuni, lo stato sociale. Per il diritto allo
studio nella scuola pubblica.
5. Una rivoluzione per la democrazia. Uguale libertà per le donne. Parità
di diritti per i migranti. Nessun limite alla libertà della rete. Il vincolo
europeo deve essere sottoposto al nostro voto.
Ci impegniamo a portare i temi affrontati in questa assemblea diffusamente
in tutto il territorio nazionale, costruendo un movimento radicato e
partecipato. Così pure vogliamo approfondire i singoli punti della
piattaforma con apposite iniziative e con la costruzione di comitati locali
aperti alle firmatarie e ai firmatari e a chi condivide il nostro appello.
Intendiamo organizzare una petizione di massa sul diritto a votare sul
vincolo europeo.
Nel mese di dicembre, a conclusione di questo percorso a cui siamo tutti
impegnati a dare il massimo di diffusione e partecipazione, verrà convocata
una nuova assemblea nazionale, che raccoglierà tutti i risultati e le
proposte del percorso e che definirà la piattaforma, le modalità di
continuità dell’iniziativa, le mobilitazioni e anche eventuali proposte di
mobilitazione e di lotta.
Intendiamo costruire un fronte comune di tutte e tutti coloro che oggi
rifiutano sia le politiche del governo Berlusconi, sia i diktat del governo
unico delle banche. Diciamo no al vincolo europeo che uccide la nostra
democrazia. Chi non è disposto a rinviare al mittente la lettera della Banca
Europea non sta con noi. Questo fronte comune non ha scopo elettorale, ma
vuole intervenire in maniera indipendente nella vita sociale e politica del
paese, per rivendicare una reale alternativa alle politiche del liberismo e
del capitalismo finanziario. Questo fronte comune vuole favorire tutte le
iniziative di mobilitazione, di lotta, di autorganizzazione che contrastano
le politiche economiche liberiste. Questo percorso si inserisce nel contesto
dei movimenti che, in diversi paesi europei e con differenti modalità e
percorsi, contestano le politiche di austerità e la legittimità del
pagamento debito a banche e imprese.
Su queste basi i partecipanti all’assemblea saranno presenti attivamente
anche alla grande manifestazione del 15 ottobre a Roma sotto lo striscione “Noi
il debito non lo paghiamo”.
a dire la verità a me sono sembrati molti di più, almeno 1500… e c’era un entusiasmo contagioso incredibile! A me ha ricordato il 16 ottobre o, per dirne un’altra, l’assemblea di Genova di dieci anni fa… Vuoi vedere che stavolta è quella buona e abbiamo pure trovato il vero leader che ci serve (e che può fare concorrenza a Nichi Svendola)?
Grande Oggionni, siamo tutti con te! Speriamo che con il congresso di Rifondazione cambi tutto… Tu, Grassi e qualche altro giovane a dirigere tutto. Forenza e mentecatti vari a casa!
Ma dell’assemblea di cremaschi cosa dite? A me e parso un successo straordinario. Rifondazione deve scegliere: o con il pd e i banchieri o con cremaschi
VERSO IL 15 OTTOBRE
GIORNATA EUROPEA DI MOBILITAZIONE
Cambiamo l’Europa, cambiamo l’Italia
PEOPLES OF EUROPE, RISE UP!
Tra due settimane i popoli d’Europa scenderanno in piazza per celebrare la prima giornata europea di mobilitazione contro le politiche anticrisi della BCE, del FMI e dei governi.
In Italia l’appuntamento è organizzato da decine di reti, movimenti, comitati, organizzazioni sociali, forze sindacali e politiche – riunite nel coordinamento 15 ottobre – che si ritroveranno a Roma, a Piazza della Repubblica alle 14 per dar vita ad un percorso di mobilitazione permanente per la difesa dei diritti, del lavoro e della democrazia, contro le politiche anticrisi che difendono profitti e speculazione.
Centinaia di adesioni continuano in queste ore ad arrivare, mentre in varie regioni e città vanno organizzandosi coordinamenti locali per gestire le tante richieste di partecipazione e organizzare i mezzi di trasporto per raggiungere la Capitale.
Tutte le informazioni relative al percorso della manifestazione, alle adesioni e alla logistica – unitamente ai materiali per la sua promozione – saranno via via disponibili alla pagina web http://15ottobre.wordpress.com/
Roma, 30 settembre 2011
Di seguito il comunicato di lancio della mobilitazione ed i contatti cui rivolgersi per informazioni e interviste.
COORDINAMENTO 15 OTTOBRE
http://15ottobre.wordpress.com
CAMBIAMO L’EUROPA, CAMBIAMO L’ITALIA
PEOPLE OF EUROPE, RISE UP!
* * *
MANIFESTAZIONE NAZIONALE
Sabato 15 ottobre ROMA – ore 14.00
La giornata del 15 ottobre vedrà mobilitazioni in tutta Europa, nel Mediterraneo e in altre regioni del mondo, contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia compiuta, con le politiche anticrisi, a difesa dei profitti e della speculazione finanziaria. Le persone non sono un debito.
Anche in Italia è già stata raccolta da tanti soggetti organizzati, alleanze sociali, gruppi informali e persone che hanno dato vita al Coordinamento 15 ottobre . Non vogliamo fare un passo di più verso il baratro in cui l’Europa e l’Italia si stanno dirigendo e che la manovra del Governo continua ad avvicinare. Vogliamo un’altra economia, un’altra società e una democrazia vera.
Il Coordinamento 15 ottobre si mette al servizio della riuscita della mobilitazione. Curerà unitariamente le caratteristiche, la logistica e l’organizzazione della manifestazione nazionale di Roma e ne definirà le sue parti comuni.
Il suo obiettivo è favorire la massima inclusione, convergenza, convivenza e cooperazione delle molteplici e plurali forze sociali, reti, energie individuali e collettive che stanno preparando e prepareranno la mobilitazione con i propri appelli, le proprie alleanze, i propri contenuti.
Ci impegniamo insieme a costruire una manifestazione partecipata, pacifica, inclusiva, plurale e di massa, il cui obiettivo è raccogliere e dare massimo spazio alla opposizione popolare, alle lotte e alle pratiche alternative diffuse nel nostro paese.
La manifestazione partirà alle ore 14.00 da Piazza della Repubblica e arriverà a Piazza San Giovanni.
Sarà una tappa della ripresa di spazio pubblico di mobilitazione permanente, come si sta realizzando in tutta Europa e nel Mediterraneo, che è necessario mettere in campo per cambiare l’Italia e il nostro continente.
Invitiamo i cittadini e le cittadine, nativi e migranti, le lavoratrici e i lavoratori, i soggetti organizzati, i gruppi, le reti formali e informali a partecipare attivamente al 15 ottobre, a coinvolgere le proprie comunità, a organizzare la partecipazione al corteo di Roma.
Il Coordinamento 15 ottobre invita a costruire in tutto il territorio la partecipazione italiana alla giornata europea e internazionale “UNITED FOR GLOBAL CHANGE” e a convergere nella giornata nazionale di mobilitazione a Roma.
siccome sono interessato a cose di “ribellione”, provate un po’ a dare una
occhiata a questo che vi mando in allegao.
Saluti da Gianni Marchetto
Promuovere la ribellione!
di Gianni Marchetto – Settembre 2011
Contro il perbenismo e il moderatismo, malattie senili del comunismo
• Ivar Oddone negli anni ’70 mi diede da leggere un libro: “Piani e struttura del comportamento”, un saggio di marca americana dei primi anni ’60, edito dalla Boringhieri, scritto a tre mani da Miller, Gallanter e Phribam (un antropologo, uno psicologo e un linguista) che così argomentava: “nei comportamenti degli uomini ci sono alcune costanti che durano da millenni. Ovviamente cambiando i contesti, cambiano le forme nelle quali tali comportamenti si manifestano. Davanti ad un modello consolidato (la famiglia, la tribù, lo schiavismo, il capitalismo, il socialismo, il liberismo, il fordismo, il taylorismo, più o meno applicato o modificato: essenzialmente caratterizzato dal rapporto tra chi pensa e chi esegue) cosa ci si aspetta dal comportamento di un individuo? che si integri nel modello esistente accettandolo come dato di “natura” o che all’opposto si ribelli a tale modello e (si badi bene) nel caso della ribellione è bene che ciò si manifesti in maniera esplicita per poter procedere nella successiva selezione o per mettere in pratica quelle politiche (del personale in fabbrica o del potere costituito fuori) atte a rendere innocua la ribellione stessa, attraverso la blandizie (la corruzione) o attraverso la repressione”.
• Diventa chiaro che “integrazione-ribellione” sono le due facce di una unica medaglia: lasciano il tutto così com’è. Alcuni esempi abbastanza recenti: il 1° la rivolta degli afroamericani nella Los Angeles degli anni ’90. Quale Piano c’era: svaligiare i supermercati alla caccia di televisori, lavatrici, radio, ecc.! 2° la rivolta dei franco algerini alcuni anni fa nelle banlieu di Parigi e di altre città della Francia. Qual’era il Piano: bruciare a casaccio le macchine in sosta! Quale cambiamento hanno portato negli Usa e in Francia: nessuno. Negli USA vinse Busch e in Francia ha vinto Sarkozi! 3° Nel nostro paese sono brucianti gli ultimi episodi di ribellione: quello di Rosarno ad opera di migranti in gran parte di colore che esasperati per le loro condizioni di vita e di lavoro (schiavi in mano alla camorra e ‘drangheta) e venuti a conoscenza di angherie fatte ad alcuni di loro, hanno fatto… 4° le coltellate a Milano tra marocchini e sudamericani in un quartiere ghetto in Via Padova … quando invece di prendersela tra di loro ci sarebbero buone ragioni di prendersela con parecchi italiani che a Milano governavano da decenni (leghisti e berluscones)..
• E di questi giorni la rivolta dei giovani inglesi che hanno svaligiato i supermercati.. o delle recentissime auto bruciate durante la notte a Berlino. Altra cosa sono le rivolte arabe, ma per brevità adesso non è il momento..
• Ed è chiaro che sia nella integrazione che nella ribellione ci siano una serie di sfumature molto numerose. Nella integrazione si va dalla più inconsapevole (totale accettazione del modello esistente) alla più consapevole. Perché questa non si trasforma in ribellione? o quanto meno in non accettazione: penso io per pigrizia, per ignavia. Vale qui il “libero arbitrio”: non mi interessa, non mi va di impegnarmi, sono occupato in tutt’altre cose, ecc. Nella ribellione si va da quella passiva (nei luoghi di lavoro) l’assenteismo breve e frequente (io in gioventù ero uno di questi), o un alto turnover da azienda ad azienda, ecc. In tutti e 4 i casi succitati mancava un “contesto” particolare.
Un confronto, una differenza tra due generazioni
• La mia generazione, almeno una fetta, era particolarmente “cattiva”. Portava con sé i ricordi, magari dei padri, delle lotte contadine: bruciare o dare l’assalto al municipio, ecc. e individuava nel regime da caserma della fabbriche della fine degli anni’ 60, primi anni ’70, i vecchi latifondisti e con il magro salario non riusciva mai ad agguantare i prodotti che giornalmente vedeva nelle vetrine dell’UPIM o della Standa, e si incazzò di brutto.
• Era, a differenza dell’attuale generazione anche molto meno scolarizzata, chi partecipava alle lotte diventava un settario, disprezzava il crumiro e via andando. Una parte poi, sbagliando clamorosamente, divenne così settaria che perse ogni pazienza non solo con i tecnici e gli impiegati, ma anche con i lavoratori più moderati (si pensi alla Mirafiori dove tra gli operai per tutti gli anni ’70, il secondo partito fu sempre la DC), un po’ arrogante e prepotente. Una parte lottava molto, però studiava poco, e fu parte della causa di perdita delle alleanze all’interno del mondo del lavoro.
• L’attuale generazione ha dalla sua oltre che una più alta scolarità, anche un certo disincanto, è meno ideologizzata, meno settaria e un eccetera lusinghiero, però… non ha un briciolo di cattiveria, ovvero la cattiveria la sfoga nello sport (sono tutti ultras), o nell’ambito scolastico attraverso il “bullismo” e, mi pare, che di fronte ai soprusi che riceve accampa sempre dei: però… ma sai.., ecc.
• Miei cari, è la situazione, è la fase (direbbe Altan con l’ombrello in quel posto) che ci deve far diventare un po’ cattivi. O no? In caso contrario gireremo (girerete) sempre con l’ombrello infilato.
• Qual’era il contesto: la lotta di liberazione del FLN algerino, la lotta contro il colonialismo Belga di Patrice Lumumba in Congo, Cuba con Fidel Castro e il Che Guevara, il Viet-Nam, gli studenti di Berkley – in Italia le “magliette a strisce”, il Concilio Vaticano 2°, Don Milani e la Scuola di Barbiana, il movimento dei Preti Operai, eccetera.
• Il mio contesto personale ha dei nomi e cognomi che corrispondono a compagni della CGIL (comunisti e socialisti): Pinot Piovano (che mi iscrisse alla CGIL nel 1962), Luciano Manzi, Tom Strullato, Carlo Mastri, Giuseppe Bonadies, Cianin Rossi, Ruggero Bertotti, Beppe Vergnano, e più tardi con la conoscenza di altri compagni di origine operaia e intellettuale, quasi tutti ex partigiani ed ex operai licenziati negli anni ’50 dalla FIAT. Ed erano loro che organizzavano la ribellione di una ventina di ragazzi come me: in occasione di scioperi andavamo a tirare le pietre nei vetri di alcune aziende (la Pianelli Traversa e la Castor a Cascine Vica) e a fare a cazzotti con i “barotti” che facevano i crumiri alla FIAT Ferriere di Avigliana. Cos’è che ho imparato (ovvero mi hanno insegnato questi compagni: a tirare i sassi nelle finestre giuste!).
• E fummo fortunati in quanto, quando andavamo a trovare questi compagni a casa loro, vedevamo delle pareti piene di libri! questi compagni mi affrancarono dal livello di sottoproletario che ero e con loro feci un percorso che mi portò (non senza contraddizioni) ad emanciparmi dalla sola ribellione. Ho imparato a confrontare la mia esperienza con la scienza: intesa come l’esperienza di altri (specie di altre generazioni) e con la cultura in generale. In pratica penso di essere uscito dalla contraddizione (integrazione-ribellione) in avanti con un Piano fatto di elementi di contrattazione e di potere (almeno per quanto riguarda la mia esperienza nei luoghi di lavoro). E’ questo un percorso che tutti hanno fatto e tutti fanno? No. Alcuni lo fanno altri rimangono nella fase “infantile”, non crescono mai. Vedi la vicenda (emblematica) della FIAT Mirafiori nel ’68 e ‘69. Una sacrosanta ribellione al regime da caserma che era la grande fabbrica fu per alcuni palestra di emancipazione e per altri “coazione a ripetere”.
• Adesso tutto è cambiato, non c’è la ribellione, manca il contesto positivo in cui possa esprimersi. La coscienza di classe si è così affievolita da far emergere altre identità: quella di etnia (bianca, gialla, di colore), di religione, ecc. Si è pure affievolita (attraverso i miti della televisione) l’identità femminista, di genere, riportando il valore dell’emancipazione a cose vecchie, francamente ributtanti per quanto riguarda le donne.
Un ricordo della mia gioventù
• Era il 1962, avevo 20 anni, era il tempo del rinnovo contrattuale dei meccanici. Abitavo a Rivoli, lavoravo alla Castor di Cascine Vica (una azienda che produceva lavatrici). Giorno di sciopero, naturalmente lo facevo, anche se non mi interessava il perché, bastava ci fosse per starmene a casa. Sono quasi le 2 del pomeriggio, sono con altri miei amici al bar, passa di lì il “Biso” (fratello del (“Moro”: i fratelli Fabbri). Era questi un mio coetaneo, lui però di famiglia da sempre comunista (lo conoscevo dal paese Taglio Di Po da dove arrivavamo), a differenza di me lui politicizzato, il quale ci fa: “sà, venite con me” e noi “dove?”, “a fare un po’ di casino” risponde lui. E noi immediatamente tutti con lui sul filobus che ci porta in quel di Cascine Vica, smontiamo, e a piedi andiamo nella zona industriale e ci fermiamo vicino ad una fonderia (da sempre piena di crumiri) e vediamo che lui raccoglie da terra dei sassi (e noi con lui) e facciamo per lanciarli verso delle vetrate che davano sulla strada, al che… sentiamo un grido alle nostre spalle “uelà bruta banda, banda d’piciu, co’ feve lì” (brutta banda, banda di coglioni, cosa fate lì) era Pinot Piovano, ex partigiano, licenziato dal Cotonificio Lemann, ora funzionario della CGIL (mi aveva iscritto l’anno prima alla CGIL), il quale proseguì tutto in torinese “se avete intenzione di tirare i sassi, almeno tirateli nelle vetrate giuste, piciu, non vedete che quelle lì sono quelle degli spogliatoi degli operai, banda d’piciù” e se ne andò cristonando. Da quel giorno ho imparato a scegliere sempre la finestra o la vetrata giusta. Ora, è di questi ultimi tempi, io so che la scelta della vetrata è divenuta complicata, però non serve semplificare il tutto, diventa tropo comodo tirare i sassi alla servitù: Bonanni o Angeletti.
• La domanda da porsi è la seguente: i fenomeni di ribellione (che ci saranno, così come in altre epoche ci sono sempre stati) con chi se la prenderanno? Io dico, con i CONTIGUI 1° quelli che sono in un gradino più basso 2°con NOI! Perché? Perché noi non facciamo altro che disgraziare sulla loro condizione fino al punto di stufare i nostri interlocutori, che una parte non ci ascolta più (e magari ci nega pure il voto), un’altra rispetto al fatto delle disgrazie che noi giornalmente enunciamo, non facciamo alcunché per metterci una pezza: ci diverte un sacco mettere il lievito sulla merda (così come una volta mi disse Pugno)!
• Uno dice: non è che in Italia non ci siano lotte, ribellioni, vedi la FIOM, la CGIL, i “viola”, gli studenti, le donne, ecc.. Vero però, si tratta di gente “beneducata”, (e acculturata) che ha quasi sempre una idea di rivendicazioni precise nei confronti di controparti altrettanto precise, ecc. io parlo delle possibili rivolte di gente “maleducata”, di “bulli” della scuola, delle varie curve degli stadi, di sottoproletariato, ecc. sia chiaro se ci saranno io non mi straccerò le vesti, però mi sentirò un po’ sconfitto per il mio essere stato passivo.. per non avere io promosso quelle rivolte.
Una mappa dei siti sensibili
• Vorrei che il nostro presidente Giorgio Napolitano chiamasse il Berlusca chiedendogli di farsi da parte, non perché lui va a letto con le sue escort (sono cazzi suoi) ma perché giorno dopo giorno lui (e il suo governo) è un costo per la collettività italiana (un po’ alla maniera del DC Oscar Luigi Scalfaro (cristo!)). Ma questo evidentemente sta nei miei desiderata..
• Vorrei tentare di ritirare dalle mani del delinquente Berlusconi e dei delinquenti tecnocrati della UE il mio Bancomat, con il quale hanno accesso a tre miei (e nostri) sportelli: la previdenza, la salute (la sanità), e i cosiddetti beni comuni (acqua, suolo, cibo, ecc.) – è qui che c’è il grano sempre pronto, convinto come sono che a questi non interessa assolutamente niente il “pareggio di bilancio”. Interessa come strumento per poter continuare a saccheggiare i nostri sportelli. Come sarebbe possibile a farsi: io sono per il “default”. Una qualsiasi boita quando va in crisi usa la CIG/O. Se perdura la crisi chiede la CIG/S, se continua.. o decide di venderla (posto che ci sia qualcuno che se la vuole comperare) o.. porta i libri in tribunale. Io sono per portare i libri in tribunale dell’azienda Italia, tanto prima o dopo li dovremo portare per colpa dei suddetti delinquenti, però il mazzo, il pallino sarà sempre in mano loro. Anche qui evidentemente sono tra i miei desiderata..
• Le cose concrete che invece dipendono da me (e da altri come me per es. a Venaria dove abito) sono i seguenti: a Venaria ci sono 11 banche (luoghi di malaffare), ci sono 2.200 partite IVA di cui 1.325 ditte individuali, di cui 23 aziende manifatturiere con oltre 50 addetti, 77 aziende con più di 15 addetti. In cassa Integrazione (tra CIG/Ordinaria, in Deroga, in CIG/Straordinaria) ci sono oltre 50 aziende. Nel corso degli ultimi 6 anni ben 38 aziende hanno chiuso per fallimento. Io sono per andare a trovare almeno ogni 15 giorni, queste aziende con dei volantini per parlare male di loro, e se per caso trovo delle aziende che invece fanno profitto senza cavare il collo ai lavoratori ho pronto un volantino per fargli la campagna “progresso”.
• Domanda: perché questo non si fa, non si promuove in tutti i territori, non sarebbe questo un modo proficuo per dare seguito allo sciopero del 6 settembre? Non dovrebbe essere l’alfa e l’omega di qualsiasi mobilitazione odierna?: indicare gli obiettivi alla rivolta che ad oggi esiste sottotraccia in una marea montante di qualunquismo e domani erutterà nella maniera più disordinata possibile. E noi magari lì a contemplarla passivamente… che brutto epilogo sarebbe!
Sulla divisione tra i sindacati
• In merito alla divisione sindacale (rovinosa) io così la penso: non sono d’accordo con le cose che ho sentito la sera alla Festa FIOM di Torino da parte di Landini, Bertinotti e Cofferati. Se fosse come dicono questi compagni saremmo dritti, dritti dentro una logica pavloviana (è quello della teoria dei riflessi condizionati): in pratica il tutto lo si fa risalire da una diversa strategia dei vertici sindacali. Io dico che questa esiste ma non è lì la causa – e no! L’uomo (dicono i credenti) ha ricevuto in dono da Dio il suo “libero arbitrio”, ovvero Gramsci dice che “l’uomo non può non sapere”. Quindi ne viene che le strategie sindacali sono una “risulta” derivante dai comportamenti umani, i quali sono cambiati eccome: sono regrediti alla fase del “mi integro o mi ribello”. E chi li ha fatti regredire è il padronato (anche lui regredito) non so se consapevolmente o no. E all’appello mancano due soggetti che per lunghi anni hanno garantito la mediazione: il PCI che mediava tra gli operai radicali e gli operai più moderati – la DC che aveva persino nel suo DNA la logica della mediazione: tra capitale e lavoro! anche i sindacalisti sono uomini e donne in carne ed ossa, perché mai dovrebbero essere esenti dal processo del “mi integro (per rassegnazione) o mi ribello (per antagonismo)?”.
• Epperò – non tutto è cambiato, una parte di quel contesto del ’68 e ’69 è ancora qui con noi. Siamo noi! E a chi se non a noi spetta il compito di dare il testimone? E se non ora quando? Se non si esperisce il tentativo di promuovere la giusta e sacrosante ribellione dei nostri figli, nipoti e dei giovani in generale (migranti e indigeni), ci sarà solo il fallimento di questa nostra generazione che non è stata capace di consegnare il testimone che la generazione prima della nostra ci aveva consegnato.
• Dove? Nelle Camere del Lavoro nel modo più decentrato possibile (alla maniera dello SPI) e nelle categorie di appartenenza. In caso contrario saranno solo pochi coloro che sceglieranno di dare il loro contributo (più che onorevole) all’attività dello SPI, impegnati in un lavoro purtroppo necessario, ma che tappa i buchi di uno stato inefficiente.
La discontinuità
• Io dico che c’è bisogno di una discontinuità specie per quanto riguarda il livello confederale della CGIL e per quanto riguarda le categorie.
• E per farlo parto da una mia esperienza personale: io da oltre 10 anni vivo con una “tribù africana”. Si tratta di tre nigeriani: la mamma di 41 anni e due gemelli di 24 anni che ho fatto venire su dalla Nigeria quando avevano 15 anni con il ricongiungimento familiare. Sono andati a scuola, hanno lavorato, quasi sempre come precari. Ora la mamma e il figlio sono disoccupati (per la crisi, i padroni hanno chiuso l’attività), l’unica che lavora è la figlia, presso un bar-ristorante nella zona (alla moda) del quadrilatero romano (è quello vicino a Porta Palazzo). Bene. La ragazza fa più di 200 ore al mese, per ben 2 giorni alla settimana devo alzarmi alle 3emezza di notte e andarla a prendere in macchina. Metà del salario è in busta paga e metà in nero. Non gli vengono pagati gli straordinari, le festività e quant’altro. E non è la prima volta, la stessa cosa è avvenuta con altri padroni. La stessa cosa non è novità, capita anche ai nostri figli.
• Io gli ho suggerito di segnare sul calendario tutte le ore che lei lavora e quando gli scade il contratto di lavoro va alla CGIL in Via Pedrotti e fa la vertenza. Le ho vinte tutte, gli ho fatto cacciare fuori il grano che non gli davano e per uno ho fatto pure un esposto all’Ispettorato del Lavoro e così ho fatto inchiodare per oltre 2 mesi il Ristorante. Al che ho pure goduto come un riccio.
• Domanda: alla ragazza in questione ciò è stato possibile perché in casa ha uno come me che ha fatto il sindacalista, quanti sono nelle stesse condizioni e non sanno dove sbattere la testa?
• È lo SPI che può dare una risposta di tutela e di organizzazione a questi casi? A me pare proprio di no! Questa è una attività che dovrebbe fare la CGIL (e gli altri sindacati) e sul territorio, magari qui a Venaria. Non solo la giusta tutela, ma anche tentando di organizzare tutto il lavoro disperso, frantumato, precario di giovani italiani e di migranti. A Venaria nel 2009 su 10.000 lavoratori presenti nelle attività produttive sono ben 14.000 gli avviamenti avvenuti con oltre il 60% di lavori precari.
• Si tratta in pratica di ritornare alla origini della CGIL quando erano le CdL che organizzavano i lavoratori nei territori. E io non capisco perché attualmente è lo SPI che surroga (meritoriamente) questa attività di tutela, ovvero surroga nella pratica rivendicativa con gli Enti Locali una attività che dovrebbe essere della CGIL.
• Ed è ovvio che per potere fare questa inversione di tendenza le CdL devono decidere politicamente (cosa che non fanno) il loro decentramento sul territorio (così come ha fatto a suo tempo lo SPI) e poi avere le necessarie risorse (che attualmente stanno nelle mani di una categoria come la nostra: lo SPI). Stessa identica cosa per le categorie.
Dalla indignazione, alla ribellione, al controllo, alla contrattazione, al potere
• La prima forma di ribellione è ovviamente la capacità del singolo di indignarsi, però ciò non basta. Occorre che l’indignazione trovi le forme collettive di una sua visibilità per tentare di essere imitata dai più. Ribellione per il fatto molto evidente che da un lato c’è ormai un baratro che divide la costituzione formale da quella materiale di tutti i giorni e ciò divide (un altro baratro) anche i cittadini tra loro, tra quelli che nella situazione attuale ci marciano alla grande e coloro i quali (i lavoratori, i pensionati, i migranti, le donne, i giovani, ecc.) sono usciti fuori e usciranno dallo stato sociale.
• Se uno mi mette fuori dalle regole stabilite nella norma, io non mi sento più un cittadino rispettoso delle regole “materiali” e quindi mi ribello e se posso non le rispetto più quelle regole: divento un disobbediente, cerco se posso di far rispettare le regole formali e se non ci riesco, assieme ad altri mi do delle altre regole condivise.
Epilogo
• Io che sono sempre stato un moderato e un timorato del buon dio, ho imparato negli anni che la maggioranza della nostra borghesia ascolta solo una unica pedagogia sociale: “un corteo con alla testa il capo del personale con una bandiera rossa in mano, e… ogni tanto qualche calcio nel sedere”. Io vorrei che il conflitto avesse una veste più matura – però bisogna essere in due a volerla. Di questi tempi ce ne sarebbe un gran bisogno… di cortei.
• Arrivo a pensare che nell’attuale fase il kit da consegnare ad un giovane di adesso possa essere composto da: 1° una lista di nomi e cognomi, indirizzo e n° civico (corrispondenti agli indirizzi di aziende e case di abitazione di padroni che ci marciano alla grande con la precarietà) e 2° da un sacchetto pieno di sassi e pietre da lanciare contro le vetrate di tali aziende. Ribellarsi è sempre giusto!