Ce l’abbiamo fatta, abbiamo vinto! Ora possiamo dirlo, dopo tanti mesi di campagna referendaria, dopo tante iniziative, tante piazze, tante parole e tanta fatica.
Il quorum è raggiunto e abbondantemente superato. La maggioranza degli italiani è andata a votare ed ha votato compattamente quattro sì, per difendere l’acqua pubblica, per contrastare il nucleare e per ribadire che la giustizia è uguale per tutti, per noi comuni cittadini come per il nostro premier. È un risultato immenso, grande tanto quanto la generosità di tutti coloro i quali hanno dedicato anima e corpo ad un’idea che ai più, all’inizio, sembrava impossibile.
Oggi, invece, la maggioranza del popolo italiano ha scritto una pagina importante della nostra Storia democratica.
Non è sufficiente un voto per riscattare la vergogna di questi anni cupi di regime berlusconiano, anni di indifferenza, ipocrisia, egoismo, razzismo, volgarità. Ma certamente il risultato di oggi è un segnale incontrovertibile, che va compreso dentro la storia recente di questi mesi.
E allora lo sciopero generale, la resistenza operaia a Pomigliano e Mirafiori, le lotte degli studenti e dei lavoratori precari, il protagonismo del nuovo movimento delle donne acquisiscono, alla luce dell’oggi, un significato ancora più generale. E con queste lotte la straordinaria mobilitazione dei giovani nell’Europride di sabato (un grido di libertà e di amore, contro l’ignoranza e la frustrazione di una cultura bacchettona decadente) e così anche il voto di Milano, Napoli e di tante altre città italiane.
Il quorum raggiunto è il sigillo più bello a questo vento di cambiamento che soffia forte e sembra non volersi fermare più.
Ora bisogna puntare ancora più in alto: non bisogna mollare la presa e bisogna mantenere alto il livello di mobilitazione e di partecipazione, perché l’insegnamento di questi mesi è che la delega in bianco non serve più e al suo posto serve l’impegno diretto di ciascuno di noi.
Non dobbiamo mollare la presa e dobbiamo raggiungere rapidamente il prossimo obiettivo: costringere Berlusconi alla ritirata e ad andarsene. Il risultato del referendum lo ha già costretto a rinunciare pubblicamente al nucleare. Dobbiamo costringerlo – anche sulla spinta del referendum – a rinunciare al suo ruolo e al suo governo e fare in modo che il presidente della Repubblica sciolga le Camere e indica nel più breve tempo possibile nuove elezioni, perché l’unica possibilità credibile e democratica per il Paese è che si vada a votare, senza pasticci e governi di transizione.
Ma cacciare Berlusconi (e tornare al voto) non è sufficiente. Il referendum ci suggerisce anche un secondo obiettivo: dobbiamo capitalizzare l’eccezionalità del risultato, chiedendo coerenza anche a quelle forze che hanno sostenuto soltanto all’ultimo la campagna referendaria. Al Partito democratico, a Bersani, va detto chiaramente che sull’acqua non si può più scherzare e che la liberalizzazione (che il Pd difende, a livello nazionale come nei diversi Comuni e nelle diverse Province) equivale esattamente alla privatizzazione.
Non è più il tempo del “ma anche” e del cerchiobottismo.
È il tempo in cui il nostro popolo (eterogeneo ma unito, grande al punto da essere maggioritario) indica alla politica una via d’uscita dal pantano berlusconiano. Con una grande capacità di costruire consenso (il quorum è stato raggiunto perché non hanno votato soltanto i militanti o gli attivisti) e al contempo con grande chiarezza e radicalità nei contenuti.
Esattamente quello che la sinistra dovrebbe essere in grado di fare, rimanendo unita ma senza sacrificare la coerenza e l’asprezza delle proprie posizioni.
Tra pochi giorni (il 24 giugno) inizia a Genova il mese di iniziative dedicate al decennale del Social Forum 2001.
Il movimento dei movimenti è probabilmente il fratello maggiore di questa nuova assunzione di responsabilità collettiva, di questo straordinario vento di cambiamento.
Troviamoci tutti a Genova, fratelli maggiori e fratelli minori, e prendiamo per mano una politica che a sinistra è ancora ingessata, ingabbiata nei tatticismi, nei rancori e nelle invidie personali.
Riprendiamo in mano il nostro futuro, il destino della nostra generazione e il destino del nostro Paese. È il momento giusto per farlo.
di claudio grassi dal suo blog
@matteo
i tuoi commenti sono sempre molto stimolanti perché prefigurano scenari futuri.
Faccio alcune brevi riflessioni cercando di cogliere il senso dei tuoi ragionamenti.
1) Sel
Rifondazione Comunista e, a maggior ragione l’area Essere Comunisti, non si pongono l’obiettivo di fare un partito unico con Sel. Sel si è costituita con un progetto dichiarato di fare una forza di sinistra, non comunista, interna al centrosinistra. Con Sel pensiamo sia utile e necesario lavorare per costruire una unità d’azione, come abbiamo fatto con i referendum. Riteniamo anche che questa unità non debba essere episodica, ma stabile, per questo proponiamo la costruzione di un Polo della sinistra che dia forza alle battaglie sul lavoro (Fiom Cgil), beni comuni, precarietà, no alla guerra. Finora Sel non ha accolto, se non in alcune situazioni, questa nostra proposta, ma non per questo dobbiamo accantonarla. Anche al loro interno c’è una discussione. Tuttavia il nostro progetto strategico è diverso da quello di Sel. Noi lavoriamo per costruire una forza che, pur rinnovando la propria cultura e il proprio modo di operare, non rinneghi la propria storia (non abbiamo nessuna intenzione di liquidare il termine comunista) e il nostro essere soggetto che lavora per l’alternativa . Siamo quindi contrari al bipolarismo, non pensiamo che le primarie e un leader siano sufficienti per risolvere la crisi che attraversa la Sinistra.
2)Rifondazione Comunista.
Siamo in diffocoltà, non abbiamo nessun problema a riconoscerlo. Alle difficoltà oggettive che esistono in tutti i paesi a capitalismo avanzato per le forze della sinistra di classe, in Italia si sono aggiunti gli errori compiuti negli ultimi anni. Scelte politiche e analisi della fase che si sono rivelate drammaticamente sbagliate (Governo Prodi e Sinistra Arcobaleno) con il corollario di scissioni e divisioni. Tutto ciò ci ha reso non solo politicamente inaffidabili, ma anche non credibili agli occhi dei nostri potenziali sostenitori. Nonostante ciò – e questa è una valutazione unanime le gruppo dirigente di Rifondazione Comunista – non riteniamo si debba rinunciare a costruire una forza di sinistra e comunista.
Siamo anche convinti – senza pensare di avere la verità in tasca – che il progetto di Vendola, che oggi gode di un riscontro migliore del nostro, dovrà misurarsi con nodi non semplici da sciogliere. Le primarie, il big bang, il nuovo partito della sinistra. Tutte suggestioni interessanti, si tratta di capira cosa succederà se, come è possibile, non si dovessero realizzare.
3)Unità dei comunisti
Sono anni che scrivo che è una parola d’ordine senza senso. In Italia ci sono comunisti di tutti i tipi (dal Pdci ai Carc) ed è semplicemente demenziale pensare di unirli in un’unica organizzazione.Altra cosa è l’unificazione tra Prc e Pdci. Al congresso della Federazione della Sinistra, nel mio intervento, avevo sostenuto che con i tempi e i modi condivisi il Prc e il Pdci, che convivono nello stesso soggetto politico – la Federazione ella Sinistra – dovevano trovare il modo per riunificarsi. La penso ancora in questo modo. Ritengo tuttavia che quanto avvenuto dopo il congresso nazionale della Federazione della Sinistra abbia allontanato questo obiettivo. Per due motivi. Il primo è che non è credibile lavorare lealmente per costruire l’unità tra due forze politiche e contemporaneamente fare una scissione con la forza con la quale devi unirti. Suggellando il tutto con una raccolta di firme, sponsorizzata dal sito ufficiale del partito. Il secondo è che – a mio parere – non si realizzerà mai nessuna riunificazione tra Prc e Pdci se non si investirà veramente sulla Federazione della Sinistra come soggetto politico. Il fatto che dal congresso nazionale ad oggi la Federazione della Sinistra sia regredita a mero cartello elettorale (dopo la nomina del portavoce non vi è stata più alcuna riunione di alcun organismo!), rende molto più difficile pensare di riunificare i due partiti. Quindi non si tratta di non parlare più di questo obiettivo. Si tratta di parlare di cose possibili e praticabili nel contesto dato. Oggi l’obiettivo torna ad essere quello della costruzione della Federazione della Sinistra, del suo rilancio, del suo insediamento e radicamento nei territori, della sua capacità di coinvolgere altri soggetti oltre ai “quattro soci fondatori”. Senza la realizzazione di questo contenitore, dove lavorando gomito a gomito si cerca di superare le difficoltà e le diffidenze reciproche, non vi sarà mai nessuna riunificazione tra i due partiti.
Caro Matteo, mi sono dilungato più del previsto, ma ne ho approfittato per rispondere anche a molti altri compagni e compagne.
Caro Simone ti ringrazio della risposta,tu affermi
“Sarà un partito? Non lo so, cambiano anche le forme stesse della politica. Per questo ho in mente altro: ad un patto orizzontale tra soggetti diversi ma che si riconoscono tutti in uno stesso spazio.
Ma soprattutto: sei sicuro che Vendola voglia costruire un partito con noi e non guardi invece altrove?
Per parte mia accetterei la sfida, qualsiasi sfida, purché sia animata dalle intenzioni e dei valori che emergono da quello che scrivi. Però scopriamo le carte, e iniziamo a dire che cosa vogliamo essere. Temo che siamo ancora molto indietro, anche per colpa di pezzi di gruppi dirigenti ampiamente inadeguati (e che hanno, come tu dici, da difendere ciascuno un orticello che – se ci unissimo – non coltiverebbero più).”
——————
Qualche riflessione
Ti chiedi se Vendola voglia costruire un partito con noi … beh io parto da un punto … penso che non voglia costruirlo solo con noi altrimenti rimaneva nel Prc ovviamente.E dobbiamo volente o nolente partire anche da questo punto.
Per costruire una nuova casa si deve mettere in conto di uscire dalla propria!
E il discorso vale per tutti chiaro!
Dici di accettare la sfida …. bene ma noi l’abbiamo lanciata?
Se domani anche un nostro grosso dirigente dicesse in un intervista “bomba” che
“Si anche il Prc-FdS come d’altronde anche Sel sono inadeguati alle sfide del futuro!Dobbiamo avere il coraggio di andare oltre!” … e proponesse quello che abbiamo detto prima(ovviamente facendo capire tra le righe che in questo determinato periodo,un progetto simile non puo’ non prescindere dalla leadership di Vendola)Cosa accadrebbe secondo te?
Che reazioni avremo da parte di Vendola e il resto del gruppo dirigente di Sel?
Io penso entusiastiche!Non credi?
E allora il punto e’ questo …. se chi potenzialmente e’ il nostro interlocutore ci sente solo dire “Andiamo avanti con Rifondazione” oppure “Ricostruiamo il Pc” beh difficile che non possa che dirci “Auguri ma noi abbiamo un altra prospettiva!”
Soprattutto considerando che non passa mese che qualche nostro eletto(con relativo mezzo circolo,cosa piu’ grave)aderisce a Sel e al progetto di Vendola(vedi qualche settimana fa’ con consiglieri provinciali di Genova,Trapani(credo o un altra provincia siciliana)Sassari e tutti gli altri che sono passati nell’ultimo anno.
E allora e’ chiaro che di fronte all’immobilismo del Prc,Vendola e Sel non possono non ragionare,come scriveva perfettamente Karletto …
“Beh da parte di un po’ di Prc c’e’ una sorta di resa incondizionata … a me basta questo,anzi e’ anche meglio!”
Per concludere … quello che e’ accaduto di devastante a Reggio Calabria e’ molto di piu’ di un campanello d’allarme e’ l’ultimo avvertimento!
E sarebbe segno di molta immaturita’ politica guardare a quella vicenda solo dal punto di vista delle(presunte)beghe economiche e non invece riflettere sul disagio di quella comunita’ che ha dimostrato con i fatti e i numeri di essere vincente e che “stanca” dell’immobilismo nazionale(riassumo cosi’ il problema)decide di staccare la spina!
Grazie per l’attenzione e l’eventuale risposta
Caro Simone ti ringrazio della risposta,tu affermi
“Sarà un partito? Non lo so, cambiano anche le forme stesse della politica. Per questo ho in mente altro: ad un patto orizzontale tra soggetti diversi ma che si riconoscono tutti in uno stesso spazio.
Ma soprattutto: sei sicuro che Vendola voglia costruire un partito con noi e non guardi invece altrove?
Per parte mia accetterei la sfida, qualsiasi sfida, purché sia animata dalle intenzioni e dei valori che emergono da quello che scrivi. Però scopriamo le carte, e iniziamo a dire che cosa vogliamo essere. Temo che siamo ancora molto indietro, anche per colpa di pezzi di gruppi dirigenti ampiamente inadeguati (e che hanno, come tu dici, da difendere ciascuno un orticello che – se ci unissimo – non coltiverebbero più).”
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Qualche riflessione
Ti chiedi se Vendola voglia costruire un partito con noi … beh io parto da un punto … penso che non voglia costruirlo solo con noi altrimenti rimaneva nel Prc ovviamente.E dobbiamo volente o nolente partire anche da questo punto.
Per costruire una nuova casa si deve mettere in conto di uscire dalla propria!
E il discorso vale per tutti chiaro!
Dici di accettare la sfida …. bene ma noi l’abbiamo lanciata?
Se domani anche un nostro grosso dirigente dicesse in un intervista “bomba” che
“Si anche il Prc-FdS come d’altronde anche Sel sono inadeguati alle sfide del futuro!Dobbiamo avere il coraggio di andare oltre!” … e proponesse quello che abbiamo detto prima(ovviamente facendo capire tra le righe che in questo determinato periodo,un progetto simile non puo’ non prescindere dalla leadership di Vendola)Cosa accadrebbe secondo te?
Che reazioni avremo da parte di Vendola e il resto del gruppo dirigente di Sel?
Io penso entusiastiche!Non credi?
E allora il punto e’ questo …. se chi potenzialmente e’ il nostro interlocutore ci sente solo dire “Andiamo avanti con Rifondazione” oppure “Ricostruiamo il Pc” beh difficile che non possa che dirci “Auguri ma noi abbiamo un altra prospettiva!”
Soprattutto considerando che non passa mese che qualche nostro eletto(con relativo mezzo circolo,cosa piu’ grave)aderisce a Sel e al progetto di Vendola(vedi qualche settimana fa’ con consiglieri provinciali di Genova,Trapani(credo o un altra provincia siciliana)Sassari e tutti gli altri che sono passati nell’ultimo anno.
E allora e’ chiaro che di fronte all’immobilismo del Prc,Vendola e Sel non possono non ragionare,come scriveva perfettamente Karletto …
“Beh da parte di un po’ di Prc c’e’ una sorta di resa incondizionata … a me basta questo,anzi e’ anche meglio!”
Per concludere … quello che e’ accaduto di devastante a Reggio Calabria e’ molto di piu’ di un campanello d’allarme e’ l’ultimo avvertimento!
E sarebbe segno di molta immaturita’ politica guardare a quella vicenda solo dal punto di vista delle(presunte)beghe economiche e non invece riflettere sul disagio di quella comunita’ che ha dimostrato con i fatti e i numeri di essere vincente e che “stanca” dell’immobilismo nazionale(riassumo cosi’ il problema)decide di staccare la spina!
Matteo scrive:
“Ma piuttosto che una resa incondizionata che vede pezzi che lasciano e che di conseguenza sfasciano quel che resta del Prc non sarebbe piu’ saggio e soprattutto piu’ utile per chi diciamo vogliamo rappresentare una “resa condizionata”?
Lo so’ il termine e’ brutto,ma piuttosto che sparire non sarebbe meglio trattare?
In fondo un area politico-culturale neo-comunista in un “Partito di Sinistra” sarebbe cosi’ folle e degradante?
A me sembra proprio di no!
In fondo tra giocare a fare i comunisti in un partito dall’1/1,5(questa e’ la percentuale che prenderemo in caso di corsa solitaria e a questo punto si che e’un gioco)e tentare di fare seriamente i comunisti in un grande Partito di Sinistra
(che potrebbe arrivare al 10%)non sarebbe piu’(ripeto)utile e giusto?
Qualcuno potrebbe dire che sarebbe appunto degradante tutto cio’.
A me non sembra(ovviamente dal loro punto di vista) che come fanno politica gli ex-Ds(o se volete gli ex-Ppi) nel Pd sia degradante!
Anzi sicuramente e’ molto meglio di quello che avrebbe potuto fare nei Ds o nella Margherita.
So’ che una ipotesi del genere “circola” tra i dirigenti Prc …. Sorini in questo blog chiedeva a Grassi se erano veri i “rumors” che circolavano su una ipotesi del genere … una Linke(partito e non federazione) con Sel e pezzi di Prc.”
—————–
Posso dire che l’espressione “piuttosto che una resa incondizionata” la trovo geniale?
E si’ insomma se con un po’ di lungimiranza ci spostiamo da qui’ ai prossimi mesi non possiamo non immaginare scenari non positivi.
L’alleanza Pd-Sel-Idv si sta’ chiudendo noi siamo fuori,ricordate Grassi cosa disse qualche settimana fa’? … “se noi siamo fuori da questo recinto prendiamo l’1%” e in piu’ le primarie si faranno(se lo dice D’Alema).
Ora cosa puo’ accadere?
Che noi “incondizionatamente” siamo costretti ad appoggiare Vendola alle primarie,che poi incondizionatamente siamo costretti ad accettare altri diktat sull’alleanza,del tipo 7/8 deputati nelle liste di Sel o Pd per non essere decisivi alla camera e nessun rappresentante al senato.
Insomma la rifondazione e’ oggettivamente fallita,quando passi dal valere l’8/9%
a,nel caso si andasse da soli,non piu’ dell’1,5% e’ la certificazione del fallimento.
Immagino le risposte negative … ma Sel pero’ ha tanti difetti e Vendola non e’ Allende.
Certo e infatti chi dice che dovremo entrare in SEL?
Io dico che noi possiamo contribuire a costruire un grande Partito di Sinistra e del lavoro da protagonisti.
Che poi Vendola sia il leader nella fase costituente e per le elezioni mi sembra anche ovvio e non ci trovo nulla di male anzi.
Il governo pugliese(di cui facciamo parte)negli ultimi giorni su ticket sanitari,nomine asl e Aqp ha fatto un piu’ che buono lavoro di sinistra.
Sarebbe interessante un commento di Oggionni.
Cosa ne pensi?
1)Dell’iniziativa di Diliberto,Giannini e Sorini di “rifare” il Pc?
2)La “Rifondazione” e’ oggettivamente fallita?
3)La Federazione anche!Non va’ oltre il Prc e il Pdci(Salvi e Patta non esistono)
4)Un grande Partito della Sinistra e del lavoro?Che superesse sia Sel sia il Prc(o meglio parte del Prc!)
Una tua riflessione sarebbe interessante!
Caro Matteo,
provo a sistematizzare pensieri già espressi in altre occasioni.
1. Apprezzo e condivido l’intento, e cioè ricostruire un unico (e più forte) partito comunista. Non ho condiviso il metodo, e cioè produrre l’ennesima scissione (in questo caso nel Prc). Penso che questo non abbia favorito i rapporti tra i due partiti e abbia, nei fatti, allontanato proprio l’obiettivo di una loro unificazione, che dal mio punto di vista rimane l’unica strada percorribile per avvicinare quell’obiettivo strategico. In altre parole: non si dà la costruzione di un più grande e più forte partito comunista senza l’unità dei due più grandi (meno piccoli) partiti comunisti oggi esistenti. Ogni operazione che nasce senza quest’unità non ha respiro e non è efficace.
2. La Rifondazione è senz’altro di fronte ad un bivio decisivo: rilanciarsi o morire. Il sopravvivere (il dato delle amministrative ci pone in questo scenario) non è minimamente risolutivo. Io sono convinto che Rifondazione possa rilanciarsi a condizione che imbocchi risolutamente un percorso unitario: dei comunisti e della Sinistra (due livelli diversi ma entrambi essenziali).
3. La Federazione è, fino ad oggi, una grande occasione persa. Ritengo sarebbe però sbagliato accantonarla. Va invece rilanciata (perché da una sua ripresa passa anche l’unità delle due forze comuniste) e fatta vivere come un vero e proprio soggetto politico e non come un cartello elettorale. Temo di poter dire che fino ad oggi ha prevalso invece – per responsabilità dei due partiti maggiori – un’impostazione minimalista, tesa a salvaguardare ciascuno la propria autonomia e non a cedere (come sarebbe stato opportuno) progressivamente sovranità alla Federazione.
4. Un grande partito della Sinistra: in futuro tutto potrebbe accadere e la verità è che noi non abbiamo più i rapporti di forza che ci consentono di prescindere dagli altri anche nella determinazione del nostro futuro. Io vorrei che si costruisse un polo o un soggetto federato e non un partito, dentro il quale i comunisti possano vivere senza rinunciare alla propria identità e alla propria autonomia. Allo stesso tempo, ritengo che – come scelta di fondo – non possiamo più permetterci di vivere separati dal resto della sinistra e dal nostro mondo (lotte, conflitti, movimenti, comitati) che in questi mesi è in ripresa e in rapida evoluzione. Per questo ogni atteggiamento di chiusura sarebbe sbagliato e controproducente.
un caro saluto,
Simone
Caro Simone ti ringrazio per la risposta per non posso non risponderti.
Noto che praticamente sei favorevole a tutto!
Alla riunione tra Prc-Pdci,ma allo stesso tempo al rilancio di Rifondazione e ovviamente anche al rilancio della Federazione.
E non escludi che un domani si possa stare tutti in un unico Partito di Sinistra.
E ma diavolo ma tutto non si puo’ e soprattutto tutto e’ in contradizzione!
Ci sara’ una priotita’ o no?
E se in futuro non si puo’ escludere il “Partito della Sinistra” ma perche’ non andarci incontro a questo benedetto “futuro”!
Perche’ non accorciamo i tempi!Possiamo arrivare a questa meta’ non da’ cooptati,non per forza,non perche’ e’ l’unica scelta di salvataggio ma semplicemente da cooprotagonisti?
… quanto ci vogliamo mettere? … “se non ora,quando?”
E caspista … ancora vogliamo avere speranze nella “Rifondazione”?
Ma se ha subito scissioni da che e’ nata ci sara’ un motivo o no?!
Se in 2/3 anni si e’ passati da 80.000 iscritti a 40.000 significhera’ qualcosa o no?
Se continuano gli abbandoni di eletti ci sara’ un motivo o no!?
Dai la “Rifondazione” e’ storicamente fallita.Punto e a capo!
E cosi’ per la Federazione … ma che Federazione della Sinistra(quindi l’unione tra socialisti,comunisti,ex o neo qualcosa)e’ se da che e’ nata,nel 09,non c’e’ stata una dico una elezione in cui uno che non era ne’ del Prc ne’ del Pdci e’ stato eletto?!? … Anche la Federazione non ha oggettivamente funzionato,e’ fallita anch’essa.
Per me rimane solo una strada.
Dare un partito al popolo della Fiom e al popolo della sinistra-Cgil,
dare un Partito al popolo dei referendum,dare un partito alla rete dei precari,dare un partito al popolo di piazza del Duomo e ecc.!
Insomma dobbiamo fare un Partito di Sinistra.
Nel vecchio grande Pci,convivevano Napoletano e Ingrao,Berlinguer e Cossuta.
In un grande Partito di Sinistra non potrebbero convivere Vendola e Grassi,Zedda e Sodano,Fratoianni e Oggionni?
Gli elettori tranquillamente starebbero insieme … se non lo capisco gli eletti sarebbe molto grave … per loro!
Certo posso capire le reticenze,i dubbi ma a cosa serve mantenere questo stato di cose?
Tra essere il n.1 o 2 di un soggetto dal 2/2,5% che non serve a nulla ed essere tra “solo” tra i protagonisti di un soggetto da piu’ del 10% che puo’ incidere … cosa e’ meglio? .. a me sembra ovvio!
La verità è che non dobbiamo e non possiamo chiuderci porte alle spalle. Io penso che dobbiamo avere chiara la prospettiva strategica: costruire un ruolo per i comunisti dentro una sinistra finalmente forte e maggioritaria.
Una volta chiarite le idee da questo punto di vista (e tra di noi purtroppo non ci sono idee chiare, né la stessa convinzione), possiamo discutere tatticamente come arrivarci.
Quello che vorrei mettere in evidenza è che vanno respinte due pulsioni dal mio punto di vista speculari che vivono nel dibattito interno alla sinistra: da un lato una pulsione autoreferenziale, che anima paradossalmente sia quelli che vogliono ricostruire su basi molto rigide (m-l) il nuovo partito comunista sia quelli che vogliono rilanciare – nella sua più beata e inutile autosufficienza – Rifondazione Comunista. Conservatori e innovatori, per usare categorie abusate, in questo si equivalgono.
Ma dall’altro lato, va combattuta la pulsione di chi, in nome dell’urgenza di unità e della legittima tensione maggioritaria, è pronto a buttare tutto e ad abbracciare progetti ultra-moderati. In questo progetto penso si possa riconoscere una parte (quella ad oggi preponderante) di Sel.
Io invece voglio mantenere la nostra identità di comunisti, rinnovandola e facendola vivere su questo mondo e in questa epoca storica (senza torcicolli o alienazioni spaziali), e al contempo metterla al servizio di un processo che sia utile veramente ai lavoratori, agli studenti, agli interessi sociali a cui ci rivolgiamo.
Sarà un partito? Non lo so, cambiano anche le forme stesse della politica. Per questo ho in mente altro: ad un patto orizzontale tra soggetti diversi ma che si riconoscono tutti in uno stesso spazio.
Ma soprattutto: sei sicuro che Vendola voglia costruire un partito con noi e non guardi invece altrove?
Per parte mia accetterei la sfida, qualsiasi sfida, purché sia animata dalle intenzioni e dei valori che emergono da quello che scrivi. Però scopriamo le carte, e iniziamo a dire che cosa vogliamo essere. Temo che siamo ancora molto indietro, anche per colpa di pezzi di gruppi dirigenti ampiamente inadeguati (e che hanno, come tu dici, da difendere ciascuno un orticello che – se ci unissimo – non coltiverebbero più).
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA CALABRIA
ON. FRANCESCO TALARICO
AI COMPONENTI DELL’UFFICIO DI PRESIDENZA DEL CONSIGLIO REGIONALE
REGGIO CALABRIA
I sottoscritti Rocco Tassone, Segretario Regionale del Partito della Rifondazione Comunista e Michelangelo Tripodi, Segretario Regionale del Partito dei Comunisti Italiani, nella qualità di cofondatori della Federazione della Sinistra in Calabria, preso atto delle dichiarazioni rilasciate dal Consigliere Regionale Antonino De Gaetano che sono state pubblicate sulla stampa in data odierna, COMUNICANO
alle SS.LL. che la lista della Federazione della Sinistra, presentata alle elezioni regionali del 28/29 marzo 2010 e che aveva superato lo sbarramento del 4% eleggendo due Consiglieri Regionali, non è più rappresentata nel Consiglio Regionale della Calabria.
Pertanto, si invitano le SS.LL. ad assumere tutti i provvedimenti necessari e conseguenti per cancellare il gruppo regionale della Federazione della Sinistra e per sospendere immediatamente l’erogazione di qualsiasi genere di contribuzione finanziaria nonchè di qualsiasi altro tipo di beneficio riguardante il personale e le strutture connesse eventualmente derivanti dall’esistenza in vita del predetto gruppo consiliare.
Rimanendo in attesa di un cortese riscontro in merito, si coglie l’occasione per inviare i piu’ cordiali saluti.
IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PRC
Rocco Tassone
IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PdCI
Michelangelo Tripodi
A PROPOSITO DEL CONSIGLIERE REGIONALE DE GAETANO
Il consigliere regionale De Gaetano lascia Rifondazione Comunista ed adduce, per questa sua scelta, motivazioni risibili. La verità è di una semplicità al limite della banalità: De Gaetano va via dal PRC per evitare l’umiliazione di essere cacciato! Egli non versa le quote dovute al Partito dal mese di settembre del 2009, quindi ben prima degli improbabili dubbi sulla linea politica, essendo peraltro recidivo in tale comportamento: già all’inizio della precedente legislatura non versò svariate mensilità, approfittando del vuoto di direzione politica del partito regionale. “Pizzicato” sul fatto dopo l’elezione degli organismi del partito nel congresso regionale del dicembre 2005, per non far scoppiare lo scandalo gli fu consentito l’appianamento del debito con un escamotage piuttosto contorto. De Gaetano è stato segretario regionale della Calabria dall’ultimo congresso fino a novembre del 2010. Anche in questo caso, approfittando del fatto di essere controllore e controllato, ha pensato bene di non versare il dovuto. Per il debito dal settembre 2009 ad oggi è in corso a carico di De Gaetano un procedimento disciplinare presso il Collegio Nazionale di Garanzia del Partito. Considerato che la quota da versare ammonta a 3500 € al mese, De Gaetano si è intascato la modica cifra di 70.000,00 € che invece avrebbe dovuto versare al partito. La lettera inviatagli dal segretario nazionale Paolo Ferrero nei giorni scorsi non era una privata lettera di cortesia. Si è trattato di un atto politico ben preciso: l’ultima possibilità concessa a De Gaetano per mettersi in regola. Dopo questa non ci sarebbe stata alternativa alla sua cacciata dal partito. Ha pensato bene di andarsene prima che ciò avvenisse.
Nell’affermare “…non vi è nessun contratto scritto che mi obbliga a versare alcunché a Rifondazione Comunista…” De Gaetano dice il falso sapendo di dirlo. Nessuno lo ha mai obbligato a prendere la tessera di Rifondazione Comunista. Egli ha liberamente aderito ad un partito che ha uno statuto nel quale è espressamente stabilito che gli iscritti eletti nelle istituzioni devono versare una quota della loro indennità di carica. Aderendo al partito non si sottoscrive un contratto civilistico, quanto piuttosto un contratto morale e politico. Gli elettori che lo hanno votato lo hanno fatto in quanto candidato di Rifondazione Comunista e quindi in virtù della sua adesione a questo partito ed alle sue regole. Venendo meno a quelle regole De Gaetano non truffato politicamente solo la comunità degli iscritti al PRC, ma tutti gli elettori che lo hanno votato. A meno che non sostenga egli stesso la natura diversa e “particolare” del suo elettorato, ma questo porterebbe ad altri ragionamenti che sicuramente non convengono neppure a lui.
Alla luce di questi fatti le sue affermazioni sulla fine del comunismo sono risibili ed appaiono come una madornale bugia dietro la quale nascondere la sua ingordigia di denaro, roba da far sembrare Scilipoti un “verginello”. Così come è una bugia che abbia pagato con soldi suoi le spese per le campagne elettorali in provincia di Reggio Calabria. Si possono fare nomi e cognomi dei compagni che hanno sostenuto di tasca propria le spese. E comunque la concezione della politica che fa passare per “favori” i diritti non rientra nella pratica dei comunisti.
Peraltro le critiche politiche di De Gaetano vengono da un pulpito poco abilitato. Della sua opposizione alla destra in consiglio regionale non se n’è accorto nessuno. L’organizzazione della federazione di Reggio Calabria del PRC l’ha trasformata nel suo comitato elettorale permanente, tant’è che la federazione non ha fisicamente locali da oltre un anno.
Andranno certamente con lui i dirigenti di partito a libro paga. A chi resta nel partito rimarrà anche l’onere della ricostruzione di un’immagine della militanza politica improntata all’onestà ed alla moralità.
La segreteria regionale del PRC
Ma possibile che 15 giorni dopo il voto accade quello che e’ accaduto a Reggio?
E quello che sta’ accadendo a Milano dove ci siamo affondati da soli?
In piu’ continuano nelle citta’ dove non si e’ votato ma si votera’ tra un anno gli abbandoni di eletti e dirigenti Prc(vedi Genova).
A livello nazionale e’naufragato come ovvio il cantiere di una (delirante)coalizione Idv-FdS-Sel … se persino D’Alema dice che e’ giusto farle le primarie siamo messi proprio male!L’esatto contrario di quello che avevamo ipotizzato!
Ora faccio una provocazione:
Ma piuttosto che una resa incondizionata che vede pezzi che lasciano e che di conseguenza sfasciano quel che resta del Prc non sarebbe piu’ saggio e soprattutto piu’ utile per chi diciamo vogliamo rappresentare una “resa condizionata”?
Lo so’ il termine e’ brutto,ma piuttosto che sparire non sarebbe meglio trattare?
In fondo un area politico-culturale neo-comunista in un “Partito di Sinistra” sarebbe cosi’ folle e degradante?
A me sembra proprio di no!
In fondo tra giocare a fare i comunisti in un partito dall’1/1,5(questa e’ la percentuale che prenderemo in caso di corsa solitaria e a questo punto si che e’un gioco)e tentare di fare seriamente i comunisti in un grande Partito di Sinistra
(che potrebbe arrivare al 10%)non sarebbe piu’(ripeto)utile e giusto?
Qualcuno potrebbe dire che sarebbe appunto degradante tutto cio’.
A me non sembra(ovviamente dal loro punto di vista) che come fanno politica gli ex-Ds(o se volete gli ex-Ppi) nel Pd sia degradante!
Anzi sicuramente e’ molto meglio di quello che avrebbe potuto fare nei Ds o nella Margherita.
So’ che una ipotesi del genere “circola” tra i dirigenti Prc …. Sorini in questo blog chiedeva a Grassi se erano veri i “rumors” che circolavano su una ipotesi del genere … una Linke(partito e non federazione) con Sel e pezzi di Prc.
Io spero tanto che sia vero.
Non ho piu’ speranze in questo Prc.
La Rifondazione e’ oggettivamente fallita!
La Federazione tra Prc e Pdci?(non cito Salvi e Patta perche’ sono zombie!)
.. basta vedere che quello che e’ accaduto a Milano!
Rifare il Pc con Diliberto,Sorini,Giannini? …. mi viene l’orticaria!
Pure a me viene l’orticaria! Bisogna fare un partito della sinistra, del lavoro e dentro riorganizzare i comunisti! Lasciamo a Giannini Sorini e un pezzo minuscolo del Pdci l’idea del partito ultramarxistaleninista. Diliberto sarebbe il primo ad andare con Vendola o Bersani, come era pronto qualche anno fa ad andare con Cofferati!!
Scusa Alice non ho capito,saresti favorevole a sciogliere/superare/andare oltre il Prc e fare un “Partito di Sinistra” con Sel e Vendola e altri?
UN PAESE NON PIU’ “AD PERSONAM”!
Legittimi impedimenti? Prescrizioni brevi? Processi brevi (o “morti”)? Bavagli sulle intercettazioni? Lodi (e lodini…)? Decreti interpretativi? Depenalizzazioni di reati finanziari? Proposte di reintroduzione di immunità parlamentari???
BASTA!
IL “REGICIDIO” SI E’ COMPIUTO!
Dopo il clamoroso esito del referendum sul “legittimo impedimento” (con cui anche gran parte dell’elettorato del centrodestra ha pubblicamente sconfessato la politica giudiziaria del Premier) l’Italia si è riscoperta un paese “non più a disposizione” dei servigi del re: non più disponibile a ingerire “bocconi amari” (l'”ipergarantismo” e la tendenza a “farla franca” di certi politici…) spacciati come dosi di vitale garantismo!
Forse è finalmente arrivato il tempo per il nostro Paese di risvegliarsi dal “coma” di 17 anni di nevrotico e inconcludente “berlusconismo”, per ricominciare a pensare ai problemi reali degli Italiani con la logica del “Noi” (e non più del “Capo”, impudicamente presentato dai suoi uomini più fedeli come un “sovrano illuminato”!).
Il 12/13 giugno quasi 27 MILIONI DI ITALIANI, cittadini di sinistra esattamente come di destra, HANNO BOCCIATO SENZA APPELLO L’ENNESIMA LEGGINA “SALVA PREMIER”, ideata nel 2010 dagli avvocati del Presidente per evitargli di comparire nelle udienze dei processi Mediaset e Mills (e già stravolta, a dir il vero, da una sentenza della Consulta -la n.23 del 2011- che ne ha dichiarato la parziale incostituzionalità, nella misura in cui rendeva automotico l’impedimento attestato da una semplice certificazione della Presidenza del Consiglio senza che i giudici ne potessero vagliare la reale sussistenza!).
Il messaggio politico più generale emerso dalle urne è di tutta evidenza.
GLI ELETTORI (quelli veri, non quelli “finti” dei sondaggi!) HANNO DETTO a chiare lettere:
1- NO ALLE LEGGI “AD PERSONAM” (O “NORME DEL PRIVILEGIO”), ad una politica “autoreferenziale” al servizio dei privilegi di pochi eletti piuttosto che dei problemi reali dei cittadini!
2- NO ALLO SVILIMENTO DEL PRINCIPIO PER CUI LA LEGGE E’ “UGUALE PER TUTTI” (art. 3 della Costituzione), perpetrato per il tramite di provvedimenti legislativi miranti a minare proprio le fondamenta del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, introducendo inammissibili “zone franche” in favore della “Casta”!
3- e NO A PROGETTI DI RIFORMA DELLA GIUSTIZIA:
I- “PUNITIVI” NEI CONFRONTI DELLA MAGISTRATURA, un potere dello Stato la cui autonomia e indipendenza va salvaguardata a garanzia dello Stato di Diritto;
II- e UN “COLPO DI SPUGNA” ALLA LEGALITA’, ostacolando il perseguimento dei reati dei cd. “colletti bianchi” (quelli finanziari e contro la Pubblica Amministrazione).
L’unica riforma della Giustizia che i cittadini attendono da troppo tempo invano, semmai, è quella volta a sburocratizzare e snellire il Sistema Giustizia, per render più semplice ed efficace sia il perseguimento dei reati che la celerità dei processi “di tutti”, garandento il loro utile compimento (non la loro “prescrizione”!).
Un altro dato, poi, mi sembra tratto: UN PREMIER “delegittimato” dai cittadini, “sotto processo” permanente e IN APERTO CONFLITTO CON LA MAGISTRATURA NON APPARE più agli occhi degli Italiani come LA PERSONA PIU’ GIUSTA e credibile PER METTER MANO AD UNA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA!
Del resto, il fatto che proprio il Cavaliere, dopo 17 anni di promesse, non sia stato capace di realizzare una sola riforma della Giustizia che non sia stata funzionale solo ai propri problemi giudiziari è la riprova migliore che il principale impedimento a qualsiasi seria riforma in materia è rappresentato proprio dal protagonismo politico di Silvio Berlusconi!
Il giorno in cui “l’uomo di Arcore” si farà da parte forse tutti gli Italiani potranno finalmente scrollarsi di dosso almeno le grane giudiziarie del Presidente e sarà possibile -chiunque governi questo Paese- ragionare in maniera serena, costruttiva e “de-ideologizzata” su come riformare la Giustizia…
LE “10” PORCATE DEL PRESIDENTE…
…PIU’ LE “3” PORCHETTE IN ARRIVO!
Il giorno in cui la pagina di storia dell’uomo più potente dell’Italia contemporanea, Silvio Berlusconi, potrà dirsi definitivamente “chiusa”, archiviata, appare a molti sempre più vicino (se non altro per non molto rinviabili “limiti d’età”…).
Quello sarà il momento migliore per trarre un bilancio complessivo del “ventennio” berlusconiano (l’ennesimo che la storia d’Italia ci lascerà in eredità…).
Quel che già appare di tutta evidenza, in ogni caso, è che sui libri di storia la figura del Cavaliere sarà presentata quale quella di un leader carismatico che è riuscito in un’impresa in cui molti altri grandi della storia hanno fallito: far convinta gran parte della propria gente che i problemi “personali” del Presidente meritassero un’attenzione prioritaria da parte della classe politica rispetto ai problemi reali dei cittadini!
Il “legittimo impedimento” appena abrogato, difatti, costituisce solo l’ultimo di una lunga serie di leggi “ad personam” varate dalla maggioranza facente capo a Silvio Berlusconi dal 1994 ad oggi.
Il giornalista Marco Travaglio lo scorso 12 marzo, dalle pagine de “Il Fatto Quotidiano”, ha enunciato ben “37” provvedimenti ad personam (o, addirittura, “ad aziendam”!) di cui il Premier, una delle sue aziende o alcuni suoi stretti collaboratori si sono giovati personalmente!
Rimanendo al solo settore della giustizia, può essere qui utile ricordare qualche “antenato diretto” del legittimo impedimento:
1- Il decreto Biondi del 1994 (cd. “decreto salvaladri”) vietò la custodia cautelare in carcere per i reati contro la Pubblica amministrazione e quelli finanziari (comprese la corruzione e la concussione).
Ciò mentre alcuni ufficiali della Guardia di Finanza confessavano di essere stati corrotti da quattro società del gruppo Fininvest e stavano per partire le prime richieste d’arresto per i manager del gruppo!
Effetto collaterale di questa operazione “salva amici”, però, fu anche la scarcerazione immediata di ben 2.764 detenuti (dei quali 350 colletti bianchi coinvolti in Tangentopoli!).
Solo le proteste della Lega e di An costrinsero Berlusconi a fare un passo indietro, lasciando decadere il “decreto vergogna” in Parlamento…
2- La legge sulle rogatorie internazionali (n. 367/2001) limitò l’utilizzabilità delle prove acquisite attraverso una rogatoria (stabilendo l’inutilizzabilità di tutti gli atti trasmessi da giudici stranieri che non fossero in originale o autenticati, che fossero giunti via fax, via mail, brevi manu o in fotocopia o che presentassero qualsiasi “vizio di forma”).
L’effetto atteso fu quello di cancellare le prove giunte dall’estero ai magistrati italiani della corruzione dei giudici romani da parte di Previti (i movimenti illeciti sui conti svizzeri effettuati da Cesare Previti e Renato Squillante, al centro del processo “Sme-Ariosto 1”).
Fortunatamente, però, si scoprirà che la legge contraddiceva tutte le convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e le prassi seguite da decenni in tutta Europa, così rimase disapplicata…
3- La legge sul falso in bilancio (n.61 del 2001) rese tremendamente più difficile il perseguimento del reato in questione (abbassando sia le pene previste che i tempi di prescrizione, rendendo il reato perseguibile solo a querela del socio o del creditore per le società non quotate, depenalizzando alcune fattispecie di reato e fissando amplissime soglie di “non punibilità”).
Conseguenza immediata fu l’assoluzione di Berlusconi nei 5 processi che lo vedevano imputato, casualmente proprio in quanto mancava la querela dell’azionista o i falsi non superavano le soglie di non punibilità o il reato risultava estinto grazie alla nuova “prescrizione lampo”!
4- La mancata ratifica del trattato sul “mandato di cattura europeo” nel 2001 rese l’Italia l’unico fra i paesi dell’Unione a rifiutarne il recepimento, ma guarda caso solo relativamente ai reati finanziari e contro la Pubblica amministrazione (la norma verrà recepita soltanto nel 2004).
Sarà stato un caso che il Premier, proprio in quel periodo, temeva di essere arrestato dai giudici spagnoli nell’ambito dell’inchiesta “Telecinco”?!
5- La Legge Cirami sul “legittimo sospetto” (n.248 del 2002) introdusse nell’ordinamento italiano, quale causa di ricusazione e trasferimento del processo, il legittimo sospetto sull’imparzialità del giudice.
La norma, così, venne immediatamente invocata sistematicamente dagli avvocati di Berlusconi e Previti nei processi in corso (dei quali venne chiesto lo spostamento a Brescia in quanto il tribunale di Milano era accusato di essere viziato da un’inguaribile prevenzione contro di loro!).
La Cassazione, però, nel gennaio 2003 respinse la richiesta, giudicando il tribunale di Milano “sereno e imparziale”…
6- Il “lodo Schifani” (legge n.140 del 2003) fu il primo tentativo di risolvere le grane giudiziarie del Premier “a monte”, rendendolo “immune” dai processi introducendo la sospensione “sine die” dei processi per le cinque più altre cariche dello Stato.
Stavolta sarà la Consulta, però, a vanificare i “cavilli legislativi” degli avvocati del Premier, dichiarando l’incostituzionalità della norma (con sentenza n. 13 del 2004)…
7- La legge “ex Cirielli” (n. 251 del 2005) introdusse una riduzione dei termini di prescrizione per gli incensurati e trasformò in arresti domiciliari la detenzione per gli ultrasettantenni.
L’effetto desiderato fu quello di evitare il carcere a Previti (anche Berlusconi, poi, stava per compiere 70 anni…) e di consentire l’estinzione per prescrizione dei reati di corruzione in atti giudiziari e falso in bilancio nei processi in corso (“Lodo Mondadori”, “Lentini” e “Diritti tv Mediaset”).
L’effetto collaterale della norma, purtroppo, fu quello di portare il numero dei reati prescritti ogni anno da 100 a “150 mila”!
8- La legge Pecorella (n. 46 del 2006) introdusse l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento di I grado da parte del pm.
La “ratio legis” era di chiara evidenza: salvato dalla prescrizione nel processo Sme in I grado solo grazie alle attenuanti generiche, Berlusconi temeva che in appello le stesse gli venissero revocate!
Quale modo migliore per evitare il rischio che impedire l’appello?!
Spetterà nuovamente alla Corte Costituzionale il compito di dichiararne la parziale incostituzionalità (con sentenza n.26 del 2007)…
9- Il lodo Alfano (legge n.124 del 2008), riproponendo sostanzialmente il vecchio lodo Schifani, ha previsto la sospensione “sine die” dei processi penali per le più alte cariche dello Stato.
Immediata conseguenza fu la sospensione dello svolgimento del processo Mills a carico del Premier proprio alla vigilia della sentenza!
Paradossalmente, così, i giudici poterono giudicare (e condannare in I grado come in appello) il corrotto, l’avvocato inglese Davis Mills, senza alcuna possibilità di giudicare il corruttore!
Per l’ennesima volta sarà la Consulta, con sentenza n.262 del 2009, a dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge (e, con essa, l'”assoluta incapacità” degli avvocati-parlamentari del Premier di scrivere norme, oltre che “a misura d’imputato”, anche “a misura di Costituzione”!).
10- Il decimo noto provvedimento “ad personam” del ventennio berlusconiano è stato, come detto, l’ormai abrogato “legittimo impedimento” (ex legge n.51 del 2010)…
Il resto è mera attualità parlamentare, ossia ripetuti tentativi posti in essere dalla maggioranza di “mettere in cantiere” ulteriori provvedimenti utili per “mettere una pezza” ai guai giudiziari del Premier:
1- il d.d.l. sul “bavaglio alle intercettazioni”;
2- il d.d.l. sul cd. “processo breve”, che prevederebbe per l’imputato incensurato una durata massima del processo a suo carico di sei anni (ovviamente la norma si applicherebbe anche ai processi di primo grado in corso, quanto basta per consentire anche a Berlusconi di beneficiarne nei suoi processi!);
3- e il progetto di “lodo Alfano-bis” con legge costituzionale!
Possiamo dirci sicuri, allora, che questo “infinito conflitto” tra gli interessi personali del Cavaliere e quelli generali del Paese possa davvero dirsi qui concluso?!
UN IMPUTATO NON PIU’ “IMPEDITO”!
Bocciata dai cittadini la politica delle “leggi ad personam”, una sola strada resta percorribile per il Presidente del Consiglio: accettare “sommessamente”, come qualsiasi altro comune cittadino, il giudizio della Magistratura…
In realtà, dovrebbe essere ovvio in un paese “normale”, civile, che chiunque rivesta cariche pubbliche non invochi mai “impedimenti di sorta” a farsi processare…
L’unico “privilegio” di cui questi potrebbe godere, semmai, dovrebbe essere quello di fruire di una “corsia giudiziaria preferenziale” che gli consenta di essere giudicato più celermente di ogni altro cittadino!
Un privilegio che sarebbe opportuno prevedere:
– non tanto a tutela dell’imputato (di per sé uguale ad ogni altro cittadino…)
– quanto a tutela dell’interesse pubblico alla “trasparenza e legalità” (del diritto dell’opinione pubblica di sapere se chi la governa -e gestisce denaro pubblico- sia una persona onesta e rispettosa delle leggi, piuttosto che un emerito “delinquente” disposto a violare le regole e ad abusare della propria posizione per un mero tornaconto personale!).
Non sarebbe un “dovere” per ogni Presidente del Consiglio che si rispetti, allora, farsi giudicare ed assolvere al più presto da tutti i reati imputatigli?
Non sarebbe nell’interesse dello stesso Cavaliere, inoltre, provare inconfutabilmente la propria innocenza in tribunale, così da rassicurare gli Italiani del fatto di non essere stati governati per molti degli ultimi 17 anni da un corruttore, concussore e “favoreggiatore della prostituzione”?!
Ovviamente la precondizione per poter provare la propria innocenza dinanzi a qualsiasi tribunale è quella non solo di proclamarsi ma anche di “essere innocenti”!
Ad ogni modo, non ci sono più “Angelini o Ghedini che tengano”: dopo l’ultimo responso referendario, l’unica certezza su cui potrà contare il Cavaliere sarà quella di non poter avere più la sicurezza di “farla franca”!
UN PRESIDENTE NON PIU’ “CREDIBILE”!
Se adesso la “strada obbligata” per il Premier è quella di farsi processare senza più scorciatoie, la “strada maestra” che in qualsiasi altro paese si imporrebbe ad un Capo di Governo sarebbe anche quella delle “dimissioni”, intese non come una ammissione di colpa bensì come un doveroso atto di “responsabilità” a tutela dell'”onorabilità” delle Istituzioni e della buona immagine internazionale del Paese!
Lo scenario a cui assistiamo inermi è quello di una perdita assoluta di “credibilità” del nostro Sistema Paese, ancor più pericolosa nel pieno di una grave crisi economica che ci espone ai facili attacchi delle speculazioni finanziarie!
Discredito al quale innegabilmente ha contribuito in maniera “decisiva” il nostro attuale Presidente del Consiglio, almeno agli occhi dell’establishment politico, finanziario e giornalistico mondiale!
Basta rileggere il trattamento riservato dalla stampa estera a Silvio Berlusconi negli ultimi anni per scoprire come il Cavaliere si sia reso un bersaglio tanto facile quanto obbligato della critica internazionale.
Questi, ad esempio, i giudizi più “lusinghieri” che nel 2001 i principali giornali esteri riservavano al nostro Presidente del Consiglio:
Liberation: “Berlusconi è pericoloso a causa dell’incredibile concentrazione economica e politica che provocherebbe il suo arrivo al potere e per la possibile messa in discussione dell’autonomia della Giustizia…
Affarista fino al midollo, silenzioso sulle origini della sua immensa fortuna, risparmiato una volta dalla giustizia in un caso di finanziamento politico soltanto per prescrizione ma sempre perseguito per falso in bilancio e corruzione di un magistrato, demagogo al punto di diffondere in milioni di esemplari una biografia agiografica della quale i coniugi Ceausescu non avrebbero rinnegato l’enfasi, preso dalla sua immagine fino a vietare ai suoi di utilizzarne un’altra sui manifesti elettorali, sospettato di oscure familiarità in Sicilia con la mafia…
No, decisamente Berlusconi non è un personaggio simpatico…”;
Le Monde: “L’elezione di Berlusconi a Primo Ministro sarebbe un giorno cupo per la democrazia italiana e per lo stato di diritto…
Ai problemi di trasparenza ed onestà si possono aggiungere il rischio per le libertà pubbliche di installare al potere un uomo che controlla quasi la metà dei mezzi d’informazione del Paese e che è in guerra aperta con la magistratura…”;
Los Angeles Times: “Il ritorno del Cavaliere ricorda il fallimento dell’Italia nel portare a termine la propria trasformazione politica dopo i massicci scandali che hanno scosso il Paese dieci anni fa…”;
Financial Times: “Ci sono, sulla idoneità a governare di Berlusconi, forti perplessità…
In caso di vittoria, Berlusconi controllerebbe la Rai oltre a Mediaset: questa concentrazione di potere sui media appartiene più al mondo del romanzo 1984 di George Orwell che a una moderna democrazia europea…”;
El Mundo: “L’impronta che Berlusconi ha lasciato in Spagna è coerente con la scia d’illegalità e corruzioni che è stata una costante nelle attività di Berlusconi e rappresenta un grave inconveniente per chi vuole diventare Primo Ministro italiano…”;
The Economist (dall’editoriale intitolato “Perché Berlusconi è inadatto a governare l’Italia”, del 26 aprile 2001):“In ogni democrazia che si rispetti, sarebbe impensabile che l’uomo sul punto di essere eletto Primo Ministro sia stato di recente sotto inchiesta -tra le altre cose- per riciclaggio di denaro sporco, complicità in omicidio, legami con la mafia, evasione fiscale, corruzione di politici, giudici e Guardia di Finanza.
Ma il Paese è l’Italia e l’uomo è Silvio Berlusconi, quasi certamente il cittadino più ricco del Paese…
Il signor Berlusconi non è qualificato per guidare il Governo di qualsiasi Paese, men che mai di una delle più ricche democrazie del mondo…”.
Dieci anni sono trascorsi (durante i quali per ben otto il Cavaliere è stato a Capo del Governo).
Sarà forse cambiato, nel frattempo, il giudizio della stampa straniera?
A leggere i titoli degli ultimi editoriali dell’Economist dedicati al nostro Premier parrebbe proprio di no:
– “Basta, Berlusconi” (The Economist, 6 aprile 2006);
– “Mamma mia!” (The Economist, 17 aprile 2008);
– “Un animale da party” (The Economist, 20 gennaio 2011);
– “Silvio Berlusconi, l’uomo che ha fotturo un intero paese!” (The Economist, 9 giugno 2011).
Scrive l’Economist (20 gennaio 2011), riferendosi agli scandali sessuali che hanno convolto Berlusconi, paragonato al personaggio Cetto La Qualunque: “Se in altri paesi sarebbero i suoi stessi compagni di partito a chiedere le dimissioni di Berlusconi, questo non può accadere in Italia. Perché?…
In questa situazione il Paese corre due pericoli:
– il primo è che il governo, dopo due anni in cui non ha fatto molto perché il suo leader è stato ripetutamente distratto dai propri problemi, rimanga inerte per mesi, disattento ai problemi economici dell’Italia;
– il secondo è che Berlusconi possa tentare di ottenere un nuovo mandato per schiacciare l’indipendenza della magistratura…
Non rimane, dunque, che un’amara conclusione: povera Italia…”.
Ed ancora (9 giugno 2011): “L’Italia ha tutte le cose che le servono per ripartire, quello che serve è un cambio di governo.
Nonostante i suoi successi personali, Berlusconi si è rivelato tre volte un disastro come leader nazionale: il primo disastro è la saga del bunga bunga, il secondo sono le vicende che hanno visto il premier in Tribunale rispondere di frode, truffa contabile e corruzione, ma il terzo difetto è di gran lunga il peggiore: il più totale disinteresse per la condizione economica del Paese.
Forse perché distratto dai suoi problemi legali, in nove anni come Primo Ministro non è stato in grado di trovare un rimedio o quanto meno di ammettere lo stato di grave debolezza economica dell’Italia. Il risultato è che si lascerà alle spalle un Paese in grave difficoltà…
Il colpevole? Berlusconi, che non ci sono dubbi, continuerebbe a sorridere”.
Se l’immagine del Paese all’estero è oramai legata alle disavventure processuali e “di letto” del nostro Premier…
…e se Silvio Berlusconi, da parte sua, non fa nulla per riabilitare la propria immagine, trasformandosi anzi in una “parodia di se stesso” (persino in occasione dell’ultima visita a Roma del presidente israeliano Netanyahu, il Cavaliere non ha perso occasione per trasformare il “bunga bunga” in barzelletta!)…
…che dire?
Povera Italia! Non ci resta che piangere!!!
Si prospetta oramai una lunga fase politica “decadente” per il Cavaliere… pur se nessuno pare in grado di prevedere per quanto si protrarrà!
L’unica cosa certa è che lo spirito guida dell'”inamovibile Presidente” si può così riassumere: “muoia Sansone con tutti i Filistei!”.
Berlusconi, vittima del suo “egocentrosimo esasperato”, non prenderà mai in considerazione l’ipotesi di dimissioni, preferendo indubbiamente trascinare “al fondo” un intero Paese con sé piuttosto che fare la scelta più logica che ci si potesse aspettare da un qualsiasi uomo delle Istituzioni…
Del resto, l’immagine di “servitore dello Stato” è sempre venuta “stretta” al Cavaliere… che preferisce di gran lunga quella di uno Stato “al suo servizio”!
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Gaspare Serra
Blog “Panta Rei”:
http://gaspareserra.blogspot.com
Pagina facebook “Panta Rei”:
http://www.facebook.com/blog.di.GaspareSerra
Gruppo facebook “Giustizia e Legalità (per l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura)”:
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DI RAMON MANTOVANI…
Il risultato dei referendum è chiaro. Non c’è bisogno di descriverlo. I quesiti erano chiari ed inequivocabili. Il Governo Berlusconi ha perso nettamente sul nucleare e sul legittimo impedimento. Ma sui due quesiti riguardanti l’acqua hanno perso tutti quelli che per quasi vent’anni hanno sostenuto e proposto la privatizzazione della gestione dell’acqua. Hanno cambiato opinione? Bene! Hanno deciso di votare si solo per non entrare in contraddizione con il loro elettorato e/o per sfruttare i referendum sull’acqua per mettere in difficoltà il governo in carica? Benino! Hanno, coma già fa Bersani, votato si ma ora dicono che è stata sventato l’obbligo a privatizzare e che gli enti locali possono, se lo vogliono, privatizzare? Male! Malissimo! Nelle prossime settimane, passata l’euforia, bisogna sapere che si giocherà una battaglia forsennata, anche se i talk show non ne parleranno o ne parleranno invitando i soliti voltagabbana e presunti esperti, perché in gioco ci sono cifre da capogiro dal punto di vista delle multinazionali che hanno già messo e vogliono mettere le mani sull’acqua. Spero che la battaglia si svolga nella chiarezza. E che i contenuti dei referendum sull’acqua non vengano sacrificati sull’altare della perniciosa e vomitevole dialettica bipolare. Perché molti, troppi, sono stati favorevoli alla privatizzazione, anche se oggi cantano vittoria. Spero, ma so che è una speranza pressoché infondata, che a chi ha vinto veramente, perché da sempre contrario alla privatizzazione dell’acqua, venga riconosciuto il lavoro svolto in tutti questi anni. E spero che la litania antiberlusconiana o, peggio ancora, quella della società civile contrapposta ai partiti, non cancelli i meriti di chi in tutti questi anni ha onorato il compito di lottare dentro e fuori le istituzioni, insistendo sulla necessità di salvaguardare i beni comuni dal mercato e dal profitto, raccogliendo le firme per i referendum. Parlo del mio partito.
Essendomene occupato allora mi è tornato alla mente il dibattito che si fece in parlamento sulla famosa Legge Galli. Nel 1993. Un secolo fa. Quando eravamo soli a sostenere la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua. Quasi soli. Perché oltre a Rifondazione solo il MSI votò contro, anche se per motivi diversi. Mentre Verdi e PDS furono favorevoli. La legge Galli è stata citata mille volte in queste ultime settimane. Ma nessun santone televisivo o giornalistuncolo si è preso la briga di rileggere quel dibattito. Anche solo per dare conto di chi fu favorevole e chi contrario alla privatizzazione. Così, giusto per amore di verità e per informare.
Lo faccio io. Rimettendo qui la mia dichiarazione di voto finale sulla legge Galli. Ed invitando chi lo volesse fare a rileggersi gli interventi di Edo Rochi a nome dei Verdi che ignorò totalmente la questione della privatizzazione. E quello di Valerio Calzolaio a nome del PDS (oggi SEL) di cui pubblico subito un piccolo passo. Eccolo: “Così, alla pubblicità delle risorse, delle priorità e dei criteri di utilizzo, può corrispondere anche la privatizzazione di questa o quella gestione. Noi non abbiamo timori: le gestioni pubbliche possono e debbono riconquistarsi sul campo la riconferma di un ruolo. Occorre garantire al cittadino, un servizio efficiente e a basso prezzo, non sostenere ad ogni costo che il servizio lo deve dare lo Stato.”
Lo stenografico delle dichiarazioni di voto finali lo si può leggere integralmente qui, dalla pagina 18588 in poi:
http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/Stenografici/Stenografico/34842.pdf#page=16&zoom=95,0,70
Questo il mio intervento a nome di Rifondazione Comunista.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Ramon
Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, colleghe, colleghi, all’originaria proposta di legge dell’onorevole Galli, nel corso della discussione in Commissione, sono stati apportati molti e notevoli miglioramenti.
È stato sventato il reiterato tentativo di mettere in discussione il comma 1 dell’articolo
1, nel quale si afferma la pubblicità di tutte le acque; sono state accolte le nostre
proposte circa il risparmio idrico; sono state introdotte norme che prevedono una certa
— solo una certa — unificazione della gestione dei sistemi idrici, una maggiore tutela
dall’inquinamento, uno stimolo alla depurazione delle acque con il vincolo dei fondi ai
quali affluiscono le tariffe per la depurazione e un maggiore, anche se assolutamente
insufficiente, equilibrio tariffario. Tuttavia, noi voteremo contro il provvedimento perché, accanto ai principi generali che
noi stessi abbiamo sollecitato, difeso e voluto e che costituiscono un importante passo in avanti, soprattutto dal punto di vista culturale, c’è l’operazione che porta dritto alla tendenziale privatizzazione della gestione del sistema idrico.
Nei fatti si sancisce che il profitto, che al comma 2 dell’articolo 13 viene eufemisticamente definito adeguata «remunerazione del capitale investito», possa essere — anzi, è — il fine perseguito dai soggetti gestori. Si tenta comunque — e noi, in via subordinata, abbiamo a ciò contribuito — di imbrigliare la più che probabile logica intrinseca dei soggetti privati, che per loro natura non possono che considerare la difesa di una risorsa scarsa come l’acqua, la salvaguardia dell’ambiente, il soddisfacimento del bisogno di acqua potabile e la tutela della salute umana, come variabile dipendente rispetto ai conti economici dell’azienda e al profitto.
Ma è prevedibile che, come in tante altre occasioni, ad essere premiato sarà l’interesse privato e non quello collettivo ed ambientale.
Basta leggere l’articolo 16 per rendersi conto di come un comune, un’amministrazione comunale, venga messo sullo stesso piano di un soggetto gestore privato. Un comune, secondo l’articolo 16, non può realizzare un acquedotto od una fognatura senza aver prima stipulato una convenzione con il soggetto gestore, il che significa, pari pari, che un’azienda privata che gestisce può ostacolare le opere che dal punto di vista dei suoi conti economici consideri superflue, anche se sono utili sul piano sociale ed ambientale.
Come se non bastasse, all’articolo 13, che noi consideriamo deleterio, si stabilisce che con la tariffa si devono coprire tutti gli investimenti, compresi quelli per la realizzazione delle opere. È come dire che non si paga più solo il servizio e che le infrastrutture non sono più realizzate con i soldi dello Stato, vale a dire con i fondi provenienti dalle tasse dei cittadini, ma che a questi ultimi spetta, oltre al pagamento delle innumerevoli tasse, anche l’onere di pagare, attraverso le tariffe, tutte le infrastrutture: acquedotti, fogne, depuratori, eccetera. Andando avanti di questo passo un altro novello De Lorenzo stabilirà che con i ticket bisognerà pagare le spese per la costruzione degli ospedali o qualcun altro proporrà che, oltre alle tasse scolastiche, gli studenti paghino per la costruzione delle scuole.
Ci si è resi conto, anche perché lo abbiamo ripetuto fino alla noia, che in questo modo si sarebbero create gravissime sperequazioni tra zona e zona del paese, con un’insopportabile penalizzazione delle aree più povere di acqua e di infrastrutture, come il meridione, o più inquinate, come, ad esempio, la Lombardia. Per questo sono state messe alcune pezze, come la tariffa di riferimento ed altro, ma non si è fatta la cosa più semplice: una tariffa unica per l’acqua in tutto il paese, una variabile interna alla tariffa entro limiti prefissati riguardante la gestione del servizio e, infine, gli investimenti infrastrutturali a carico dello Stato e degli enti locali. Ma tutto questo, me ne rendo conto, sarebbe stato semplicemente incompatibile con la filosofia liberista delle privatizzazioni.
Qualcuno potrebbe pensare che, per lo meno, tutto si semplifichi e diventi efficiente.
Non è così: permane una straordinaria frammentazione della gestione delle competenze.
Tralasciando, infatti, quelle dello Stato, permangono quelle delle regioni, degli enti locali, dei loro consorzi, dei soggetti gestori — pubblici o privati che siano —,
delle autorità di bacino, eccetera. Non a caso è stato necessario inventarsi un’ulteriore autorità superiore con il relativo osservatorio, e lo si è fatto in modo tale da sollevare le ire della Commissione lavoro, ire che noi abbiamo considerato del tutto giustificate.
E ancora: gli ambiti territoriali ottimali, pur se rivedibili ogni triennio, presentano una scarsa flessibilità. Investimenti, decisioni, organizzazione di utenze delicate e complesse come quelle idriche non potranno essere rivoluzionati ogni tre anni; seguiranno criteri derivati dalla situazione esistente e finiranno, come abbiamo già detto, anche per un motivo organizzativo, per soggiacere rispetto ai fattori economici, finanziari, industriali ed agricoli e non rispetto ai tanto proclamati, quanto traditi, obiettivi di salvaguardia dell’ambiente e delle risorse idriche.
Nella stesura di questa proposta di legge si sono fatte sentire in forze le lobbies degli agricoltori e degli industriali, abituati da sempre a considerare l’acqua come una risorsa ed una materia prima a costo zero.
Ed ecco gli articoli del provvedimento sui canoni per gli usi agricoli ed industriali, contro i quali hanno votato quelle forze che sono libere da pressioni e che in qualche modo, anche se a volte illusoriamente, hanno a cuore l’ambiente.
Troviamo francamente incomprensibile e sbagliato che non si sia accettata la nostra proposta — per quanto attiene specificatamente ai tassi di inquinamento — di introdurre una novità importantissima: vale a dire, la misurazione e la regolazione non solo assoluta, ma anche nell’unità di tempo, delle sostanze inquinanti che vengono introdotte nell’ambiente e nell’acqua.
Per concludere, come si sarà capito dai nostri voti sugli articoli, consideriamo questa legge alquanto contraddittoria. Da una parte vi è un’ottima impostazione delle questioni di principio, a cominciare dalla pubblicità delle acque, ma dall’altra un’incoerente, e per alcuni versi contraria, impostazione del sistema della gestione delle risorse idriche. Ma giacché sappiamo molto bene che la salvaguardia delle acque si fa con il governo del territorio e con la gestione delle risorse e non con le proclamazioni retoriche e di principio, non ci resta che votare contro. E, credetemi, lo facciamo veramente a malincuore.
(Applusi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista)
Grazie Compagno Simone. Articolo pubblicato.
Marco Piattelli
Molto istruttivo questo intervento in Direzione di Oggionni. Essere Comunisti ormai è lanciatissima, sembra l’area bertinottiana di qualche anno fa, sulla strada dell’innovazione. Ma loro a differenza di quegli altri sono ancora COMUNISTI!
STA CAMBIANDO IL PAESE: RADICALITA’, INNOVAZIONE E CAMBIAMENTO ANCHE A CASA NOSTRA
Sono d’accordo con la relazione del Segretario, che reputo molto positiva e puntuale.
L’esito dei referendum è la conferma che il Paese sta cambiando. Sta cambiando innanzitutto nel senso comune, tra la gente, tra i lavoratori, e quindi sta cambiando nel profondo. Stanno cambiando per davvero, come si è detto, i paradigmi culturali: e si tratta di un processo dal mio punto di vista sufficientemente radicato, non irreversibile (altrimenti la politica, l’intervento soggettivo, non servirebbe a nulla) ma non è – mi pare di poter dire con certezza – un fuoco di paglia.
Bisogna però riflettere con attenzione sulle forme di questo cambiamento.
Il protagonismo dei comitati, delle associazioni, della società civile indica che questi soggetti fanno direttamente politica, rivendicano e concretamente mettono in campo la propria partecipazione. Non si pone più il tema classico del rapporto bipolare tra politica (partiti) e società. Lo dimostra il fatto che anche la politica tradizionale (si pensi al caso di Milano, con i tantissimi comitati territoriali e di quartiere per Pisapia) vince quando si adegua in maniera intelligente a questo cambiamento.
In secondo luogo i giovani: la nostra generazione sta cogliendo l’elemento dell’indignazione diffusa e la sta trasformando dinamicamente in forza attiva. Guardiamo alla produzione culturale di questi mesi e, in particolare, a quello che è accaduto a partire dal libretto molto diffuso e popolare di Stéphan Hessel (Indignatevi!). Gli ha risposto Ingrao, scrivendo un libello dal titolo “Indignarsi non basta” e Hessel a quel punto ne ha scritto un altro, intitolato non casualmente “Impegnatevi!”. Questo è molto indicativo e accompagna simbolicamente la presa di coscienza dei movimenti, e in particolar modo della nostra generazione, in questi mesi. Non dimentichiamocelo: lo sfondo sono le rivolte nel Maghreb, in Medio Oriente, e le lotte in Spagna, in Grecia, il protagonismo dei giovani italiani, determinante per le vittorie dei ballottaggi e dei referendum. Siamo in presenza di un indignazione che si fa impegno diretto, attivismo e militanza.
Il terzo elemento di novità è la rete. Noi siamo indietro anni luce, ma la rete, internet, i social network, i tanti vituperati blog, hanno bucato l’oscuramento mediatico e hanno battuto i media tradizionali (la televisione e i giornali) sui quali era concentrata la censura. Anche questo è il segno dei tempi, che stanno cambiando con una velocità incredibile e che altrettanto velocemente ci devono cambiare.
Se questa è l’analisi, penso infatti che noi dobbiamo avere il coraggio di dire che il partito (e anche la Federazione della Sinistra, noi tutti) siamo completamente inadeguati a raccogliere queste novità.
Allora dobbiamo fare speditamente tre cose:
dobbiamo ripensare a fondo al rapporto tra la politica dei partiti e la politica della società, iniziando a valutare realmente tutte le forme di partecipazione diretta (perché siamo contrari alle primarie? Non sono anch’esse forme di partecipazione diretta della nostra gente nella scelta dei candidati?);
dobbiamo investire veramente, e non solo a parole, sui nostri giovani. E vorrei allora che ogni tanto il nostro lavoro venisse valorizzato e sostenuto, e non soltanto criticato, a maggior ragione perché mi pare indiscutibile il contributo dei giovani sia nella direzione del partito a tutti i livelli sia nella presenza del partito nei conflitti e nei movimenti;
dobbiamo investire nella comunicazione (una comunicazione aggiornata e al passo con i tempi) dirottando risorse, sia politiche sia economiche, da ciò che non funziona più a ciò che invece può funzionare e ha grandissime potenzialità.
Questo livello si deve intrecciare con la linea politica.
Penso che siamo in una condizione in cui le nostre parole d’ordine possono davvero risultare maggioritarie. L’importante è affermarle con nettezza e coerenza, e farle seguire da fatti conseguenti.
Il primo obiettivo oggi deve essere quello di battere Berlusconi, evitare pasticci (governi di transizioni) e tornare subito al voto.
Il secondo è costruire immediatamente un’offensiva programmatica verso il centrosinistra sui nostri contenuti, sfidando senza paura il Pd. Sarà poi il popolo dei referendum a decidere chi ha ragione: se noi, la nostra coerenza e la nostra radicalità, o il Pd, che oggi sul nucleare e sull’acqua ha cambiato radicalmente posizione per saltare sul carro del vincitore. Senza paura, quindi, dobbiamo perseguire con ancora più nettezza la nostra offensiva unitaria.
Ma chi deve farla l’offensiva unitaria? Non solo la Fds, e men che meno non soltanto il partito. Dobbiamo lavorare affinché sia la sinistra unita, la sinistra in quanto tale, e quindi dobbiamo lavorare per costruire un blocco comune che dia sponda al protagonismo dei movimenti.
E tutto questo dobbiamo essere in grado di farlo per evitare il rischio a cui si accennava nella relazione introduttiva: che la Fds venga espulsa dalla politica e che al contempo la Fds sia espulsa dai movimenti. E dico anche la Federazione della Sinistra e non soltanto il Prc, contrariamente a Ferrero, anche per ciò che concerne il rapporto con i movimenti. Sbaglieremmo (e saremmo incoerenti con quanto votato in tutti i comitati politici nazionali e le direzioni) se pensassimo che la Fds è un cartello elettorale che deve occuparsi solo di alleanze e non un soggetto politico che, a tutto tondo, si deve occupare delle alleanze come del conflitto sociale e del rapporto con i movimento!
Detto questo, io ritengo che Genova 2011 sia un passaggio fondamentale, in cui possiamo intrecciare il livello della riflessione sulle nuove forme della partecipazione politica e il livello della nostra linea politica. Genova può essere oggi, in questo nuovo clima positivo, davvero un nuovo punto di ripartenza, per costruire – come diciamo – una nuova alleanza politica e sociale dei movimenti e delle forze politiche.
Sono disponibile, se si condivide questa centralità, a discutere nei prossimi giorni con il partito le forme e i contenuti della nostra partecipazione alle quattro settimane di iniziative che si aprirà ormai tra pochi giorni.
ma non avete ancora capito che è cambiato tutto, è cambiato il mondo e voi state ancora lì a perdere tempo a parlare di falce e di martello?
svecchiatevi! dieci cento mille referendum!
…e chi la ferma più questa rivoluzione!
giugno 15th, 2011 Claudio
La verità è che il Paese sta cambiando. La forza e l’intensità di questo vento sono così grandi che probabilmente sarà necessario del tempo per capire fino in fondo cosa sta succedendo.
Nel frattempo, questo è il momento per essere felici e per cercare di trarre dal voto alcune indicazioni utili per il futuro.
La prima cosa che vorrei dire è che questa vittoria, come e ancora più di quella dei ballottaggi, è la vittoria di un popolo che decide e partecipa autodeterminandosi rispetto alla politica per come oggi e’ rappresentata. C’è uno scarto profondo tra la politica e questo nuovo attivismo. È stata la vittoria dei comitati, dei milioni di cittadini che hanno firmato, che si sono impegnati, dei tantissimi giovani che hanno conosciuto nel nostro Paese, proprio con questa campagna referendaria, per la prima volta l’impegno.
Dobbiamo capire in fretta quello che sta succedendo nel rapporto tra la società e la politica. È stata la vittoria della partecipazione diretta e ciò è avvenuto (lo dico qui per inciso, ma meriterebbe ben altro approfondimento e ben altra attenzione da parte di tutti) anche grazie alla rete, ai blog, ai social network, ai nuovi strumenti della politica e del coinvolgimento diretto che hanno sconfitto l’oscuramento sistematico dei media tradizionali.
Gli artisti che fanno politica in genere non funzionano molto, ma i politici farebbero bene a cogliere le intuizioni che da quel mondo provengono perché, in genere, anticipano i tempi e forse ha ragione Vasco Rossi nel dirci “… e chi la ferma più questa rivoluzione…”
La seconda cosa che emerge da questi referendum è che l’asse Berlusconi-Bossi (entrambi hanno dato indicazione di non votare) esce sconfitto e con esso vacilla la tenuta della coalizione di destra. Lo si vede nei conflitti non più nascondibili dentro ciò che è rimasto del blocco di potere berlusconiano, nella crisi della Lega, ma – ancora di più – nei giudizi della gente, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle piazze, nei bar. Il governo molto probabilmente non cadrà subito perché ancora forte è il potere di condizionamento di Silvio Berlusconi, ma quella parabola si sta finalmente completando.
In questo contesto il nostro impegno deve essere teso ad evitare che tutto prosegua come se niente fosse successo o magari – altro scenario tutt’altro che inverosimile – che a questo governo si sostituisca un governo tecnico o di transizione, a guida moderata. Noi vogliamo che si torni al voto, nel più breve tempo possibile e siamo disponibili, come abbiamo più e più volte ripetuto a costruire un Fronte Democratico con Pd, Sel e Idv per battere le destre e ad aprire immediatamente un confronto programmatico. Scoprendo le carte con molta onestà, consapevoli che su questioni rilevanti ci sono posizioni diverse, ma con la volontà di costruire un’alternativa a Berlusconi e con la convinzione che ci sono questioni su cui la Federazione della Sinistra intende dire la sua. Prendiamo il tema dell’acqua pubblica: il Pd è stato molto bravo a salire in tempo sul carro dei comitati nelle ultime settimane. Ma tutti sappiamo che la posizione del Pd e da Bersani e’ sempre stata quella di sostenere la liberalizzazione del servizio idrico. Su questo, come su altri temi, bisognerà discutere.
Nonostante le differenze – che sarebbe sbagliato nascondere – come avvenne con Prodi nel 2006, la nostra disponibilità al confronto deve essere immediata. L’errore piu’ grave che potremmo commettere, a maggior ragione dopo questi risultati referendari e elettorali, che hanno suscitato grandi aspettative di cambiamento, e’ lasciare che gli altri ci mettano in un angolo.
Dobbiamo evitare che si consolidi un’alleanza di centrosinistra chiusa nel recinto Pd-Idv-Sel e che la Fds venga considerata fuori gioco e inessenziale.
Non solo dobbiamo partecipare, ma dobbiamo stimolare noi il confronto programmatico.
Nel Pd qualcuno insiste nel proporre una alleanza con il Terzo Polo? Lo faccia.
E’ una rincorsa che non e’ credibile e che non ha nessuna possibilita’ di realizzarsi. Infatti il diretto interessato – Casini – non ha nessuna intenzione di perdere l’enorme potere contrattuale che gli derivera’ dall’essere determinante per la costruzione di qualsiasi maggioranaza dopo le elezioni. Questa legge elettorale, con la quale presumibilmente si andra’ a votare, garantisce infatti a Casini e al Terzo Polo un numero di senatori che saranno determinanti per la formazione di qualsiasi Governo. Viceversa una alleanza con il centrosinistra oltre a determinare molto probabilmante una rottura con Fini e a far perdere al Terzo Polo una parte del suo elettorarto verso la destra, farebbe venir meno questo potere di condizionamento.
Così come, al di là delle aspirazioni di Vendola, sono del tutto velleitarie le ipotesi di scompaginamento tra le forze politiche del centro sinistra. Il risultato elettorale parla chiaro. Il Pd e la sua leadership ne escono rafforzate, non ci sarà nessun “big bang” e nessuna “opa” di Sel sul maggior partito del centro sinistra.
Se il quadro è questo, per quanto riguarda le nostre proposte politiche, approvate anche nel recente cpn, non solo non è il momento di “tirare il freno a mano”, ma è il momento di “premere l’acceleratore”.
Sull’onda straordinaria del risultato di questi referendum che, come i ballottaggi, segnalano una voglia di cambiamento vero, non dobbiamo esitare un attimo a proporre la nostra offensiva unitaria. Con il Pd, Idv e Sel per costruire la coalizione capace di battere Berlusconi e con Sel e Idv per trovare punti in comune da far pesare nella discussione programmatica nella coalizione.
Certo, il rischio che dopo questi splendidi risultati, nel centro sinistra si torni a ragionare e a operare come nulla fosse successo, è sempre presente e noi dobbiamo stare molto attenti a non farci fagocitare, a mantenere una nostra autonomia e una nostra capacità critica. Ma c’è anche un altro rischio speculare a questo che va evitato. Quello di tirarsi fuori, di arroccarsi e di isolarsi, condannandosi alla marginalità e alla ininfluenza. Anche questa è una forma di subalternità che va combattuta.
E V V I V A,complimenti e grazie!!
Giustissimo: uscire dai tatticismi e dai rancori personali (sport molto praticato). Un grande progetto di rinascita culturale, sociale ed economica è quello che serve.
Cari amici e compagni
Da questo risultato arriva il suggello definitivo che l’Italia non è più un paese dove la destra ha un’ egemonia culturale.
Il VENTO del cambiamento è arrivato anche qui. Sta anche a noi, ora, favorire un’autentica svolta e cercare di più quello che unisce rispetto a quello che ci divide, insieme alle realtà civili e democratiche capaci di arginare e ridimensionare il degrado vissuto in questi lunghi e difficili anni.
Saluti da Giampiero Fasoli
Dalle amministrative al Referendum, a dieci anni di distanza tornano a sventolare le bandiere dei fori sociali rafforzate da Internet
E’ un mondo nuovo quello che disegnano i Referendum. E’ un mondo dove il ruolo ineludibile dei “media personali di comunicazione di massa”, rende Internet e non più “Porta a Porta” la terza Camera del paese. Ma è un mondo anche antico dove trionfano le ragioni dei Fori Sociali sconfitte dal manganello a Genova giusto dieci anni fa. Il PD sale sul carro dei vincitori ma è atteso alla prova di un cambio culturale che finora non ha incarnato e che forse non è nelle sue corde. Intanto l’avversario berlusconiano è alle corde ma è pericoloso offrire sponde ai peggiori, i leghisti, per disegnare il futuro.
A Matteo Dean
di Gennaro Carotenuto
1) DA GENOVA 2001 AI REFERENDUM 2011 – A dieci anni esatti dal G8 di Genova, che fu il punto di inflessione della crisi di lungo periodo della nostra Repubblica, molte delle idee che sembravano spazzate via dalla nostra storia politica sotto i colpi di manganello e i lacrimogeni, riemergono, quasi improvvisamente e inaspettatamente, per trionfare con dei referendum dal contenuto etico-politico rilevantissimo. Vince oggi lo stesso blocco sociale del Genoa Social Forum, sinistra plurale dei movimenti, mondo cattolico, volontariato, gli elettori degli allora DS e Margherita, ma non i dirigenti di questi.
Vince oggi un blocco sociale che ha sempre continuato ad esistere e lottare per un’Italia migliore, pur sistematicamente occultato dai media, che rimette all’ordine del giorno il tema del fallimento etico e pratico del neoliberismo per rilanciare temi cruciali quali i beni comuni e un modello energetico che, basandosi sulle rinnovabili, non alimenti il mito della crescita infinita ma trovi un equilibrio con un pianeta allo stremo. E’ il blocco sociale degli italiani riflessivi che, leggono e pensano e che sconfigge oggi il nichilismo individualista del berlusconismo. I diritti sono più importanti dei profitti, hanno detto 26 milioni di italiani, qualcosa di inaudito dopo decenni di martellante propaganda inversa: i diritti come privilegi, il profitto come valore fondante della nostra società. A new beginning, un nuovo inizio in una terra incognita.
2) TATTICA E STRATEGIA DEL PD – Il Partito democratico, con una straordinaria faccia tosta, è salito sul carro referendario per proclamarsi vincitore. La cosa non è un male in sé, e alla vittoria il PD contribuisce in maniera decisiva. Ma è sorprendente che quello che fino a ieri si vantava di essere l’unico partito capace di liberalizzazioni, o che sosteneva che il referendum sul legittimo impedimento avrebbe potuto solo favorire Berlusconi, oggi faccia proprio questo successo. Appare sospetto in particolare l’antiberlusconismo oltranzista con il quale Pierluigi Bersani ha accolto e commentato il risultato. Chiedere le dimissioni del governo sembra a ben guardare una maniera di parlar d’altro rispetto ai temi referendari. Bersani sa che a vincere non sono stati i partiti ma i movimenti. In questi anni, soprattutto in regioni come la Toscana, il PD è stato il partito della privatizzazione dei servizi pubblici scontrandosi ripetutamente con la società civile. Adesso ne sposa le tesi con una facilità sospetta che non appare frutto di un cambiamento culturale nei modelli di società di riferimento di quel partito che finora è stato capace di disegnare appena un neoliberismo spurgato dei suoi tratti più intollerabili. E’ tattica o strategia?
3) DAL BASSO, DALLA RETE – Proprio Pierluigi Bersani appare però cosciente che qualcosa di straordinario sia successo in questo mese italiano e, nonostante le dichiarazioni di facciata, sa bene che non è stato il Partito democratico, che pure è al centro di ogni gioco, a condurre le danze. Il PD ha dovuto farsi piacere Giuliano Pisapia o Massimo Zedda (ed è stato battuto duramente da Luigi De Magistris) esattamente come si è fatto piacere dei referendum che non desiderava e che non facevano parte della sua cultura politica. In questo mese straordinario le danze sono state condotte dai movimenti, dalla forza orizzontale della Rete, dal sentirsi ognuno di noi protagonista della rivoluzione dei “media personali di comunicazione di massa”, da un mondo associativo che mal sopporta che il PD, all’ombra di zio Silvio, abbia costruito in questi anni una classe dirigente organica al modello e convinta che essendo l’egemonia culturale della destra destinata a durare in eterno tanto vale uniformarsi.
Delle due l’una: o non c’è alcun cambio di egemonia in vista, e allora i berluschini del PD (viene in mente Matteo Renzi) possono salvare le loro ben avviate carrierine gregarie, oppure il PD, se vuol cogliere l’esprit du siècle, dovrà rinnovare profondamente i propri quadri aprendosi ad aria e gente nuova e liberandosi di tanti yes-men senza qualità che ognuno di noi conosce. Tutto ciò ha valenze politico-culturali profonde ma tocca anche, a breve termine, le strategie di uscita dal berlusconismo. Se Pisapia, Zedda e De Magistris avessero perso e i referendum non avessero fatto il quorum nessuno avrebbe fermato il dalemiano “modello Macerata” (UDC+PD a guida dei primi). Quel modello, che vuol dire anche il predominio assoluto della “politica politicante”, della politica plebiscitaria che convoca le masse solo per autocelebrarsi, dopo amministrative e referendum diviene improponibile, ma l’alternativa è di là dall’essere chiara e sostenibile.
4) DEMOCRAZIA DIRETTA E INTERNET “TERZA CAMERA” – L’istituto referendario, dato per morto, ha battuto un colpo, ma non per questo gode di buona salute. Di sicuro si dimostra che dopo vent’anni di orgia maggioritaria fino al plebiscitarismo, che ha portato all’umiliazione del sistema parlamentare con il porcellum, che riempie le camere di uomini senza qualità scelti per l’obbedienza al capo, alcuni elementi di democrazia diretta possono essere un correttivo importante o comunque i cittadini (se ancora il loro volere conta qualcosa) hanno dimostrato di considerare importante tale (scomodo, per i partiti) correttivo. Sarebbe facile sciogliere il nodo della crisi dei referendum: raddoppiare le firme e dimezzare il quorum. Ma è una soluzione troppo ragionevole perché i partiti attuali possano accoglierla. Proprio la forza della Rete, che nessuno può più sottovalutare e che non potrà che continuare a crescere mano a mano che la generazione degli analfabeti informatici scomparirà, impone però una scelta del genere. Internet, altro che “Porta a porta”, è divenuta la vera terza Camera, un “poder popular” orizzontale dove le idee circolano senza veti e senza censure, dove le regole della propaganda non valgono ma vale semmai il contrario. E’ il “vento del Cairo”, dove la politica, se vuole incontrarsi con i cittadini, è obbligata a far proprie le istanze e i modelli comunicativi di questi. Così nessun centralismo democratico è più possibile e gli elettori del “movimento 5 stelle”, che al secondo turno delle amministrative hanno tranquillamente voltato le spalle a Beppe Grillo votando per i candidati di centro-sinistra, dimostrano quanto difficile per i dirigenti sia intercettare il consenso.
5) USCIRE DAL LEGHISMO NON MENO CHE DAL BERLUSCONISMO – Non fa più notizia che la maggioranza non abbia difeso le sue stesse leggi facendo campagna per il “no”. Fa notizia che questa volta sia andata male. Silvio Berlusconi, che appare davvero a fine corsa, si è rifugiato nell’andare a mare che era già stato fatale per il suo sodale Bettino Craxi. Il risultato è per lui esiziale. Perde l’arma delle leggi ad personam per difendersi dai processi, come perde la possibilità di compensare col nucleare molti amici degli amici. Si guarda le spalle per capire chi è Bruto. Umberto Bossi, Giulio Tremonti, Roberto Formigoni, i romani Alemanno e Polverini, i cosiddetti “responsabili” comprati ieri e pronti a rivendersi oggi.
Da sinistra in molti confidano che la Lega stacchi la spina. E’ una speranza che dà erroneamente per scontato che il più grande partito del paese sia destinato a implodere alla caduta del fondatore mentre invece la Lega sia destinata a restare e ad essere recuperata al gioco democratico e perfino cooptata in maggioranze alternative. Sembrano credere davvero che le elezioni amministrative le abbia perse solo Silvio e non la Lega e non sembrano cogliere che la Lega sia stata la spina dorsale dell’ideologia della destra mentre il PdL si stia frantumando in feudi più piccoli al sud come al centro e al nord.
Forse è vero che tatticamente tutto vale per liberarsi di Berlusconi ma a patto di non dimenticare cos’è la Lega: un partito razzista, rapace, che in questi anni non ha avuto remore a seminare l’odio tra gli italiani, a calunniare sistematicamente parte di questi oltre che a umiliare sistematicamente i migranti. Questa (vero Massimo d’Alema?) non è mai stata e mai potrà essere una costola della sinistra. La Lega non è neanche una destra normale, è una destra antimoderna, violenta, antinazionale che interpreta la logica del branco, del più forte che schiaccia il più debole, una destra che usa la democrazia per svuotarla di senso. Così l’uscita dalla crisi italiana sarà pensabile solo se finalmente la cultura leghista verrà esposta al ludibrio in tutta la sua infamia e marginalizzata al di fuori di un rinnovato “arco costituzionale” che, paradossalmente, contiene il centro-destra post-berlusconismo ma non la Lega.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it
Dalla vittoria referendaria alla costruzione dell’alternativa
vittoria referendumUn pugile suonato, ma non ancora al tappeto. Questo è Silvio Berlusconi oggi. Lui e anche la sua compagine di governo.
Per la Lega continuano ad essere sberle, per la politica del centrodestra invece sono proprio dei “sinistri” a largo raggio: con il voto referendario è stata bocciata, senza alcuna possibile interpretazione di sorta, la politica dell’esecutivo in materia di ambiente, di privatizzazioni dei beni pubblici, di nuclearizzazione del nostro Paese e, ultimo ma non ultimo, l’impianto di difesa delle leggi ad personam che sino ad oggi sono state il perno della vera e propria involuzione della Giustizia italiana con il corollario di attacchi quotidiani al suo ordinamento.
Ce n’è abbastanza perché uno faccia i bagagli e tolga le ultime sue cose dalle scrivanie di Palazzo Chigi, ritirandosi in buon disordine ad assistere agli ultimi anni di una vita politica che gli annali storici discuteranno e criticheranno come una delle più buie pagine della Repubblica Italiana, costellata di evidenti violazioni eversive delle norme costituzionali.
Quindi, se qualcosa ci dice il voto dei quattro referendum, se qualcosa ci comunicano sia l’abbondantissimo raggiungimento del quorum, sia la vera e propria valanga di “Sì” che non ha risparmiato (fortunatamente) nessun quesito, è proprio un messaggio prima di tutto a quella parte di mondo politico, e anche sociale, che non è berlusconiano, che non lo è mai stato, che è diventato avversario del Cavaliere nero di Arcore col fare dei tempi e con chi lo è diventato anche di recente, attraverso l’avventura di una costruzione di una destra che vorrebbe chiamarsi “moderna”, ma che schiaccia ogni tanto l’occhiolino ai vecchi proclami nazionalisti e alle tendenze liberali più revanchiste.
E cosa ci dice, dunque, la grande partecipazione e la grande vittoria ottenuta in questi giorni? Ci dice che il consenso verso i “Sì’” è certamente un consenso fatto di consapevolezza in merito ai quesiti posti: chi ha votato per l’acqua pubblica sapeva che votava contro la sua privatizzazione e contro la mercificazione di un bene comune; chi ha votato contro il nucleare ovviamente sapeva che votava per evitare che il Paese fosse domani disseminato di costosi impianti produttori di energia atomica e di scorie da smaltire in decine di migliaia di anni; infine, chi ha votato contro il “legittimo impedimento” sapeva che metteva una croce contro l’uso delle istituzioni e dei poteri dello Stato “pro domo sua” e quindi per un ritorno ad una legalità vera, senza intransigenze, ma necessariamente restituita al suo originario e giusto ruolo.
Tutto questo c’è nei quattro “Sì” ai referendum. Ma è fuori di dubbio che in quelle espressioni di voto sta forte, ed emerge con tutta la sua potenza nelle percentuali plebiscitarie, il malessere di un intero popolo verso il berlusconismo come modello anti-etico di interpretazione del ruolo delle istituzioni repubblicane, trasformate nel giardino di palazzo di quello che è finito con l’assomigliare sempre più ad un imperatore di bassa statura (reale e morale) e di grandi pretese, tutto proteso alla salvaguardia della gelatinosa protezione immunitaria costruita dagli azzeccagarbugli eletti in Parlamento tra le fila dei suoi più accesi sostenitori.
Nessuno è e può essere e dirsi al di sopra della Legge. Nessuno. Una presa di coscienza almeno morale questo popolo italiano sembra averla acquisita e, di certo, si può dire che questo rappresenta un passo avanti per ulteriori fortunati sviluppi per un radicale cambiamento sociale e politico dell’intero Paese.
Un voto di coscienza civile e sociale, dunque. Un voto che, nell’approvare i quesiti posti dai comitati referendari, manda alla sinistra e anche al centro democratico l’avviso di messa in stato di disgrazia del capo del governo, dei suoi ministri e delle forze che li sostengono.
Oggi possiamo scrivere che la crisi del centrodestra è manifesta e che la maggioranza della popolazione non sostiene più questo esecutivo, e tanto meno il suo padre e padrone.
Ma è strano questo popolo italiano. Anzi, è caratteristico nelle sue scelte politiche: non è di certo la prima volta che cade da cavallo un cavaliere, che viene disarcionato un salvatore della Patria. Se ci domandiamo cosa ha determinato in questo 2011 la progressiva erosione del consenso delle destre, viene da rispondere che le motivazioni risiedono certamente nei reiterati comportamenti pubblici e privati del premier, che c’è una crisi economica strutturale che, a cominciare dal fenomeno dei bassi salari, ha mutato la visione di insieme di larga parte della popolazione in merito alla fiducia data anni fa al Cavaliere nero di Arcore. E viene anche da aggiungere che le politiche di aggressione istituzionale ad altri settori istituzionali dello Stato hanno completato l’opera: non è certo secondario ricordare il voto veramente ampio di consensi che bocciò il referendum confermativo della riforma costituzionale voluta dalle destre.
Siamo pochi anni indietro, ma il contesto è chiaro: i beni comuni e la salute non si toccano, così come non si tocca la suprema lex che vigila su tutto questo, la nostra cara Costituzione del 1948.
Farebbero bene soprattutto le forze che amano definirsi “riformiste” a prendere spunto da questa lezione di diritto sociale: un diritto che viene da trenta milioni di italiani che, chi dalla prima ora e chi non, hanno deciso di mettere dei punti fermi sul programma per chi governerà in seguito.
Bersani in queste ore si domandava su cosa costruire il programma del centrosinistra. Ebbene, il programma è servito: niente più privatizzazioni, tutela massima della salute dei cittadini, difesa dei princìpi costituzionali di uguaglianza civile, sociale e legale. Non è poco, considerando che da tutto questo deriva anche la domanda sempre più giusta e sempre più pressante di una risoluzione in tempi rapidi del rapporto tra politica ed economia, mettendo la parola “fine” all’incentivazione del precariato come “modello” di evoluzione del lavoro. Sì… evoluzione verso l’ignoto. Anzi no. Verso il fin troppo noto anti-futuro che troppe generazioni conoscono e, se non vi poniamo un freno, conosceranno ancora per molto tempo.
Impariamo dai referendum a costruire il programma, a fare davvero una “costituente” programmatica che tuteli non i profitti, ma i beni comuni, i valori sociali e ridia un senso, finalmente, alla parola “libertà” che oggi è lei stessa liberata dalle catene dell’ipocrisia e restituita ad una coscienza civile che sembrava non dovesse più riemergere.
MARCO SFERINI
La Santanchè ha sparato una caxxata cosmica: “Il referendum? L’abbiamo vinto noi”
E alla fine Santanchè commentò il referendum. Come? Così: “Se il referendum passa vuol dire che il paese è con noi”. Con l’esito referendario, secondo la Santanchè, si conferma la tendenza ad una contrarieta’ al nucleare altro non significa che un allineamento alle scelte governative. Parola del sottosegretario Daniela Santanchè che, al termine dell’assemblea generale di Assolombarda, ha spiegato come l’esecutivo abbia “gia’ abrogato quella che era la costruzione dei siti nucleari: “E quindi il Referendum in parte e’ gia’ stato fatto dal Governo”.
I muri di Roma dicono: Netanyahu persona non gradita!
Migliaia di manifesti sono comparsi nella capitale in occasione della
visita a Roma del premier israeliano
“Il Presidente israeliano Netanyahu non è persona gradita in Italia.
Nessuna complicità con il terrorismo di Stato israeliano”. Questo il
messaggio che migliaia di manifesti hanno fatto trovare all’alba di oggi
da tanti muri e strade della capitale in occasione della visita in
Italia del premier israeliano. Da Circo Massimo, viale Aventino, Terme
di Caracalla, stazione Termini, San Lorenzo, Università La Sapienza, via
Casilina, via Prenestina, via Tiburtina, i manifesti, firmati da Forum
Palestina, Comitato con la Palestina nel cuore, Freedom Flotilla 2
Italia, hanno invocato ancora una volta “pace, terra, libertà per il
popolo palestinese” e ricordato l’appuntamento di sabato 18 giugno a
Milano per il corteo nazionale contro la kermesse “Israele che non ti
aspetti” che le associazioni di solidarietà con la Palestina definiscono
provocatoriamente “l’occupazione sionista del Duomo di Milano”. [MP]
Dimmelo a me dopo tante amarezze degli ultimi anni forse un pò di luce ciao Hasta Siempre Aldo G.
Si Simone, anche secondo me la vittoria dei referendum è un segno importante di cambiamento, di un vento nuovo che oltrepassa i partiti. Sembra di sentire, come a Napoli, una voglia di cambiamento che parte dalla gente, grazie all’azione dei movimenti più che dei partiti
Ora spetta ai partiti di sinistra proporre un programma. Ciao Ireo
sì, ma attenzione: a Milano come la mettiamo? Avete visto Pisapia che imbarca il terzo polo? cambiamento ma sempre moderato, sempre con un’attenzione per i poteri forti che non cambia mai! a Napoli invece c’è la vera innovazione e la vera radicalità!
La sinistra deve andare per la sua strada. Basta andar contro Silvio Berlusconi. Basta dire che tutto quello che sta succedendo è uno schiaffo a Berlusconi. Ormai è dimostrato che quando la sinistra va avanti con obiettivi suoi e chiari per la gente il ‘belusconismo’ implode assieme al leghismo reale, senza tirare in ballo il nome “Silvio Berlusconi”, nota scusa sulla quale gli avversari si aggrappano per affermare che si va tutti contro di lui. Io non vado contro di lui. Io vado contro le pseudo idee che emana con la sua voce, la sua immagine i suoi media. Vado contro quello che rappresenta.