Cambiamo noi stessi per entrare in sintonia con il cambiamento. Uniamo le lotte e costruiamo, a partire da Genova 2011, un nuovo Patto di Lavoro.
Che il Paese stia cambiando è fuori discussione. Con le elezioni amministrative, i ballottaggi e, ancora di più, la vittoria dei referendum ci siamo rimessi in cammino. Dopo due anni di lotte dure, da Pomigliano a Mirafiori, dalle mobilitazioni degli studenti al protagonismo delle donne, fino allo sciopero generale, il movimento ha seminato e il cambiamento ha iniziato a piantare le sue radici. In queste ore chi resiste contro la Tav lo sta facendo con il consenso di un popolo vasto, che reclama dignità, diritti e tutela dell’ambiente. L’epoca berlusconiana sta finendo e, dal suo seno e dalle acutissime contraddizioni che ha prodotto, ne sta nascendo una nuova.
Ma è proprio questa la fase in cui dobbiamo avere ben chiaro il rischio che corriamo, e che per paradosso – in un contesto così espansivo – potrebbe condannarci alla marginalità definitiva. Il rischio è che, nell’opinione diffusa di questo popolo della sinistra che cresce e torna ad esprimere, vincendo, soggettività e protagonismo, si consolidi un immaginario da cui la nostra identità e ciò che rappresentiamo siano espunti o comunque largamente minoritari. Questo avverrebbe se il nostro partito non riuscisse ad entrare in connessione reale con questo cambiamento, con le sue istanze e i suoi linguaggi.
Avverto tutta la nostra inadeguatezza, la pesantezza delle nostre liturgie, l’astrattezza dei nostri ragionamenti, la distanza tra il modello di partecipazione politica che noi proponiamo (un modello che spesso passivizza il corpo del partito, imbriglia la dialettica nella contrapposizione statica tra posizioni preconcette, e così facendo allontana le energie più pure, in primo luogo i giovani) e la pratica dei movimenti e dei comitati che hanno preso la parola in questi mesi.
Allora questa inadeguatezza, e l’impegno per rimuoverla, deve diventare il nostro assillo.
A questo fine vanno orientati la nostra linea politica e l’obiettivo della costruzione della sinistra d’alternativa. Guai a noi se l’obiettivo dell’unità della sinistra fosse sconnesso da questa urgenza di auto-riforma e di innovazione e si collocasse, al contrario, sul terreno politicista del rapporto tra le forze partitiche.
L’unità della sinistra deve diventare, al contrario, lo strumento con cui dare voce e allo stesso tempo continuità e stabilità al cambiamento che è in corso nel Paese.
In queste settimane sono in corso le iniziative del decennale del contro-vertice di Genova. Dieci anni fa il partito e i Giovani Comunisti impararono a confrontarsi su di un piano di parità con le altre forme della politica, con i molteplici soggetti che diedero vita al movimento altermondialista. Nel corso degli anni, anche per precise responsabilità di Rifondazione Comunista, abbiamo dilapidato quel patrimonio e quell’esperienza.
Tornare oggi a Genova può rappresentare l’occasione per riflettere sugli errori commessi (per evitare di ripeterli) e ragionare sull’urgenza dell’unità.
La proposta che avanziamo è scrivere – tutti insieme – un nuovo Patto di lavoro. Dieci anni fa il Patto di lavoro si trasformò nel Genoa Social Forum. Oggi la situazione è molto diversa, al punto che non possiamo predeterminare esiti e scenari, ma il senso di quell’operazione è di straordinaria attualità. Esiste una sinistra politica divisa, una sinistra sociale e sindacale altrettanto frastagliata (con al suo centro la Cgil, che andrebbe coinvolta con tutto il suo peso e la sua autorevolezza e non consegnata al moderatismo del Partito democratico), una rete altermondialista indebolita ma non rassegnata (e che da Genova può riprendere fiato). Esiste poi il mondo dei comitati referendari, che va connesso al più presto con le altre forze in campo. Infine, c’è una generazione di ragazze e ragazzi che, in tutte queste forme, ha ripreso la parola e che ogni giorno, in maniera diretta, moltiplica gli spazi di democrazia e di partecipazione.
La sfida è ricostruire un senso comune e uno spazio unitario della sinistra che, collettivamente, possa elaborare al più presto una proposta programmatica organica e coerente per uscire dalla crisi e costruire passo dopo passo una società più giusta, più libera e più democratica.
Come hanno dimostrato i referendum, lo spazio per entrare in sintonia con il sentimento maggioritario del nostro popolo c’è ed è grande. E muove proprio dalle proposte e dai contenuti sui quali, al contrario, il Partito democratico entra clamorosamente in contraddizione con se stesso (i casi del nucleare e della liberalizzazione dell’acqua pubblica sono soltanto i più recenti).
La sfida è costruire, a partire dal Patto di lavoro, una nuova alleanza tra le forze politiche e sociali dell’alternativa. Che raccolga il vento del cambiamento e lo trasformi in terra e concime per il nostro futuro.
Ma io sto con la Camusso
Massimo Formica
La Grecia vara una manovra monstre da 78 miliardi di euro, con 28,5 miliardi di tagli e 50 miliardi di privatizzazioni. I fanatici dell’eutanasia parlerebbero di accanimento terapeutico. Vada come vada, la morte è certa. Il governo italiano, che si trova a fronteggiare un debito pubblico pari al 120% del PIL, vara una manovra di rientro dal debito per 47 miliardi di euro, tentando di evitare la fine della Grecia. La cessione dei nostri guadagni in Libia e la partecipazione ai bombardamenti su Tripoli dovrebbe averci garantito il consenso americano e del direttorio della UE (Germania, Francia ed Inghilterra) alla nostra sopravvivenza. O almeno è quello che la nostra pavida classe politica si augura. Al netto delle frasi di circostanza, ha ragione Bersani, la finanziaria è una polpetta avvelenata nelle mani dei probabili vincitori della prossima tornata elettorale per il governo del Paese. Quest’anno la manovra inciderà per poco più di un miliardo sull’ economia italiana, l’ anno successivo per circa 5 miliardi e poi nel 2013, anno di fine legislatura, e nel 2014, saranno 40 i miliardi da recuperare, 20 per ciascun anno. Una bella tegola per il prossimo inquilino di Palazzo Chigi. La destra spera,dilazionando la bonifica del debito, di restare in sella, ma se così non fosse, muoia l’ Italia con tutti i filistei della sinistra. Nell’ anno del centocinquantenario dell’ Unità italiana una bella prova di amor patrio, non c’è che dire. D’altra parte, utilizzare a fini politici la manovra finanziaria è uno sport praticato a tutte le latitudini dell’ arco costituzionale da tempo immemore. E’ in questo clima, e alla luce dei disastrosi dati dell’ economia italiana, che va letto l’ accordo interconfederale tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL sulla rappresentanza e per il rilancio della produttività industriale. Voglio scriverlo chiaro: sto con la Camusso. Ho sostenuto la FIOM a Pomigliano e a Mirafiori, ma tacciare la leader della CGIL di ”calabraghismo” è ingeneroso e denuncia una miopia di lettura politica da parte del sindacato metalmeccanico. C’è in Italia il tentativo, neppure troppo nascosto, di eliminare qualsiasi voce di dissenso. Cisl e Uil si sono fatte irretire dalle sirene modernizzatrici e Confindustria e Governo tengono il sacco a Marchionne. In una situazione come questa, per la CGIL continuare ad isolarsi è un danno per l’ intera classe lavoratrice. Che senso ha isolarsi, quando è evidente che ciò che tutti vogliono è proprio che io mi faccia da parte? La Camusso non è stata tenera con la FIAT: rileggetevi le dichiarazioni e le lucide analisi in difesa del contratto collettivo nazionale. Ed infine leggete non i commenti dei giornali e gli editoriali più o meno gai della stampa italiana, ma leggetevi il testo dell’ accordo siglato ieri. Intanto è utile sottolineare il passaggio concernente la democratizzazione delle regole sulla rappresentanza. Per decidere quale sindacato è più rappresentativo conteranno il numero degli iscritti più i voti presi alle elezioni triennali delle RSU, cioè alle elezioni delle rappresentanze sindacali con la partecipazioni di tutti i lavoratori dell’ azienda. In aziende in cui sono presenti le RSA (Rappresentanze sindacali aziendali) i contratti collettivi aziendali sono efficaci se approvati dalle RSA destinatarie della maggioranza delle deleghe. I contratti vanno sottoposti al voto dei lavoratori entro 10 giorni. Sul diritto di sciopero, la Camusso ha fatto un piccolo capolavoro gesuitico. I sindacati non potranno scioperare, i lavoratori sì. Il contratto collettivo nazionale non muore: deve continuare a garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore. La contrattazione collettiva aziendale non sarà lo strumento principale di contrattazione. Anche questo, a chi scrive pare un buon risultato. In situazioni di crisi, che minaccino posti di lavoro e prosecuzione dell’ attività aziendale, si potranno introdurre intese modificative sugli istituti del ccnl che disciplinano prestazione lavorativa, orari e organizzazione del lavoro. CISL e UIL dovevano portare a casa qualcosa e così Confindustria. Ma quanto detto del diritto di sciopero è un bastone importante nella ruota della concertazione separata. Mesi e mesi di bombardamento mediatico al servizio del generale Marchionne, che metteva in rotta i sindacati parassiti ed irresponsabili, hanno partorito un accordo che irrita il comandante in Capo, al punto da fargli invocare una legge ad aziendam, minacciando la fuoriuscita da Confindustria. La Camusso ha giocato in difesa, ma ha ottenuto il massimo. Non è più l’ Italia degli anni ‘70, non c’è un soggetto politico importante con il quale giocare di sponda. La società del lavoro è frantumata ed impaurita. I conflitti si generano fabbrica per fabbrica, mai contemporaneamente e raramente in solidarietà. Secondo una ricerca dell’Istituto sindacale europeo, il numero di giornate non lavorate per sciopero è sceso da 83 nel decennio ’90-’99 a 50 nel periodo 2000-09. Negli anni ‘80 circa 67 lavoratori su 1000 aderivano a uno sciopero, ora sono poco più di 20 su 1000. E’ in questa realtà che il sindacato si trova ad operare. Non è portando in piazza un milione di lavoratori due volte l’anno che si cambia la storia. I referendum di Pomigliano e Mirafiori non sanciscono la fine della lotta di classe, ma ripetono ciò che sempre accade nei periodi di crisi e forte disoccupazione: salvare il posto di lavoro è la prima cosa. I diritti vengono dopo. Per chi ha un mutuo da pagare ed una famiglia da mandare avanti è lapalissiano. La Camusso ha firmato perché c’è necessità di unità sindacale, anche al ribasso. Perché il contenuto dell’ accordo non cambia affatto il modello delle Relazioni industriali, come sbandiera “il Sole24ore”, sperando di convincere Marchionne. Sarebbe stato bello firmare lo Statuto dei lavoratori, anziché le tre paginette dell’ accordo di ieri. Ma per ottenere diritti ed aumenti occorre una società ribelle, non basta un corteo.
Grazie Compagno Simone. Articolo pubblicato.
Marco Piattelli
Giorgio Mele, Fabio Vander
UN PARTITO E UNA STRATEGIA PER LA SINISTRA
Il Manifesto 30/06/2011
I risultati delle ultime amministrative e dei referendum sono un colpo e un problema per il centrodestra, ma pongono problemi inediti anche alla sinistra e al centrosinistra. Il panorama non è più lo stesso neanche nel nostro campo. Perché in grandi città hanno vinto sindaci non espressione del maggior partito, cioè del Pd; perché la stessa Sel ha avuto un risultato nazionale negativo, imprevisto; perché la Fds, data per spacciata, ha invece mostrato una tenuta inaspettata; perché l’Idv è andata complessivamente male (e quella di Napoli non è certo una vittoria di Di Pietro). Tutto ciò ha un impatto sulle forze politiche. Così il Pd, nonostante il buon risultato complessivo in termini di voti, si trova a dover rivedere molto della sua identità, il suo zelante neoliberismo delle origini è riuscito infirmato dal vento nuovo espresso dai referendum; la stessa Sel col suo 4,5%, a fronte di un Pd al 28%, non può più puntare ad un’opa su quel partito, come secondo la vecchia strategia tutta centrata sulle primarie e sul carisma di Vendola. Infine, la Fds è spinta ad uscire dalla nicchia, per spendersi con più coraggio e intelligenza politica sulla scena del centrosinistra.
Il momento di uno scatto è adesso. Due premesse paiono indispensabili: 1) un nuovo partito della sinistra; 2) un programma di governo alternativo ovviamente alla destra, ma innovativo anche rispetto all’esperienza e alla cultura politica del centrosinistra degli ultimi anni. Perché un nuovo partito della sinistra? Perché in Italia non ve n’è più nessuno. È sostenibile una situazione del genere? Può esistere un’autentica democrazia senza sinistra? La risposta è no. Per questo occorre porre in agenda la necessità, potremmo dire sistemica, di un nuovo partito della sinistra. Fondato sui valori del socialismo, sulla centralità del lavoro, sulla difesa dell’ambiente dalla devastazione capitalistica, sui diritti dei lavoratori, delle donne, delle persone, dei migranti, sulla promozione della giustizia sociale e civile. Autonomia culturale e organizzativa, questi i tratti pertinenti di un partito di tipo nuovo, di massa e democratico, nazionale ed europeista, internazionalista e pacifista. La convocazione di “Stati generali della sinistra”, aperti ed inclusivi, ma anche concludenti, potrebbe essere un’idea. Su questa base di unità e rinnovamento della sinistra può poi porsi il problema di una coalizione insieme al Pd e ad altre forze politiche, di movimento e di società civile, in grado di costituire un’alternativa reale alla destra di Berlusconi. Assunta con chiarezza questa distinzione di ruoli e sulla scorta di una reale disponibilità all’assunzione di responsabilità di governo, si potrà poi impostare l’assetto strategico-programmatico della nuova alleanza elettorale.
Il messaggio delle amministrative e dei referendum va rettamente inteso, da esso non si può tornare indietro e anzi va reso criterio ispiratore del nuovo programma di governo. I successi di Pisapia e De Magistris dimostrano che l’opinione pubblica è molto più avanti delle classi dirigenti moderate e degli intellettuali da batteria. Si votano esponenti radicali proprio perché radicali. Dire che l’Italia è un paese di destra per cui bisogna convergere al centro è falso. Quanto ai referendum, essi hanno saputo imporre: centralità dell’interesse pubblico, tutela ambientale, uguaglianza di tutti i cittadini. Di questo mutamento profondo nello spirito pubblico bisogna tener conto perché la costruzione dell’alleanza e del programma non può avvenire in laboratorio. È chiaro che nella prossima stagione del centrosinistra ci troveremo davanti a sfide più ardue di quelle del 1996 e del 2006, tanto più che ci arriviamo con una sinistra più debole, se non proprio inesistente. Questo non può significare chiudersi, ma al contrario rilanciare la sfida alle politiche economiche imposte da una Europa a egemonia, politica ed economica, di destra. Non possiamo accettare di nuovo di dissanguarci in politiche di “risanamento” dei conti antipopolari, ingiuste e classiste. Bisogna trovare i modi di una politica di stabilizzazione del debito pubblico, accompagnata da una lotta reale, incisiva, storica per l’Italia, contro la spaventosa evasione fiscale; solo così si possono recuperare le risorse per una politica di investimenti e di sostegno all’occupazione orientata nella direzione di un diverso possibile modello di sviluppo economico, sociale e civile. Un nuovo centrosinistra deve aver ben chiari nei suoi statuti i segni del cambiamento, dell’innovazione e dell’alternativa, renderli tangibili ai cittadini e agli elettori. La vittoria (non solo elettorale) sarà allora un obiettivo possibile.
Sarebbe curioso capire cosa ne pensa Oggionni di un nuovo partito unico della sinistra
Cgil. Il lupo perde il pelo ma non il vizio
di Mauro Casadio*
Mai è stato firmato un accordo così pesante e carico di significati politici contro il movimento dei lavoratori. Ma davvero era così imprevedibile?
La fine di fatto del contratto nazionale ridotto al lumicino, le RSU che mantengono la riserva di un terzo alle organizzazioni firmatarie rendendo così impossibile ogni pronunciamento democratico, la discrezionalità delle aziende sulla certificazione delle deleghe, l’innalzamento di fatto nel Pubblico Impiego della soglia di rappresentanza a ben oltre il 5 % sono solo alcuni elementi sui quali non ci soffermiamo ma che, peraltro, vengono ben analizzati negli altri articoli pubblicati sul nostro giornale in questi giorni.
Questo esito, per quanto negativo e foriero dell’incrudimento della lotta di classe “dall’alto”, era prevedibile ed, anzi, da qualcuno era stato previsto. Non era infatti credibile pensare ad una CGIL che ritornasse su i suoi passi ritrovando una funzione di lotta e di rilancio della democrazia nei posti di lavoro. Quanti lo hanno fatto, ancora una volta, dovranno rivedere le proprie valutazioni a meno che non siano stati già avvolti dalle “spire” concertative che qualche briciola comunque la distribuiscono.
Nella lettura delle vicende sindacali di questo ultimo decennio c’è una distorsione che impedisce di capire le dinamiche reali. Si continua, infatti, a dare attenzione politica ad un pendolo che va verso l’unità sindacale di CGIL, CISL,UIL quando c’è la crisi di Berlusconi ma poi si sposta verso la rottura di questa unità, quando il centrodestra riacquista forza. Il problema è il non vedere, o voler vedere, che questo segna l’ora sempre sullo stesso orologio. Fuor di metafora il dibattito a sinistra e nel movimento sindacale si concentra sulla contingenza e non guarda mai ai processi reali che si chiamano costituzione della superpotenza europea (diffidate sempre di chi si lamenta dell’assenza dell’Europa politica), ai processi di concentrazione delle multinazionali europee, alla gerarchizzazione tra gli Stati ed alla ingerenza sistematica negli affari degli Stati più deboli a cominciare dalle politiche di bilancio con il ricatto dei debiti sovrani. E’ questa l’Unione Europea reale e non quella che viene vagheggiata spesso anche a sinistra.
La Grecia, La Spagna, il Portogallo, l’Irlanda sono lì a testimoniarlo non possiamo che aspettarci altri “esempi” di questo tipo nei prossimi mesi a partire dall’Italia, dove con il trucco della manovra a scoppio ritardato di Berlusconi, il paese continua ad essere una preda possibile delle speculazioni finanziarie, belve mai sazie nella dimensione finanziaria e globalizzata dell’odierno capitalismo. Confindustria, CGIL,CISL, UIL non sono naturalmente “cattivi” ma sanno bene che la crisi economica e una rappresentanza addomesticata sono le due facce della stessa medaglia se vogliono controllare il conflitto di classe che in un modo o nell’altro si farà strada nei posti di lavoro e nella società.
Non possiamo comunque negare che l’ondeggiare di quel pendolo qualche confusione l’abbia prodotta tra chi in questi ultimi mesi pensava che si stessero creando le condizioni soggettive, con la copertura più o meno aperta della Cgil, per rilanciare il conflitto di classe e sociale in Italia. La Fiom in questo caso ha certamente condotto una battaglia dura e per certi versi inevitabile cercando di evocare un conflitto diffuso che rivedesse un protagonismo della classe operaia di fabbrica dentro uno scontro più generale. Questo dato va indubbiamente riconosciuto, ma ci sono elementi che non possono essere rimossi dalla valutazione complessiva.
Alcuni di questi hanno un carattere tattico. Infatti come ha potuto la Fiom inserire nel suo disegno di legge di iniziativa popolare sulla democrazia sindacale il criterio dei firmatari di contratto? Perché si è messa attorno al collo quel cappio che poi Marchionne ha stretto? Inoltre come poteva pensare di fare un gioco spericolato come quello che è stato fatto alla Bertone dove i delegati Fiom della RSU davano indicazione di votare Si al referendum mentre il nazionale diceva il contrario, addirittura rivendicando questo fatto come sintomo di intelligenza politica e non valutandolo per quello che è stato ovvero un preoccupante segno di debolezza?
Essendo questi elementi tattici hanno certamente un valore relativo, ma ce ne sono di più strutturali che sono stati politicamente e culturalmente rimossi dai settori di classe presenti nella Cgil. Come si può oggi ipotizzare una ripresa del conflitto di classe senza analizzare e capire quello che è realmente il ruolo della classe operaia di fabbrica in un paese come l’Italia, parte organica di un polo imperialista come quello europeo? La modifica quantitativa ma soprattutto qualitativa della composizione di classe del mondo del lavoro quali problemi comporta sul piano politico e del progetto sindacale? Di fronte alla radicale trasformazione dei modi in cui si utilizza la forza lavoro – la quale rimane sfruttata e subordinata in questa società al di là di ogni illusione politica – come si deve modificare la struttura e la forma di un sindacato di classe moderno? Come incide la dimensione disgregata e metropolitana della forza lavoro in questo progetto di ricostruzione del sindacato di classe? Purtroppo ci sembra che si sia fuori tempo massimo per dare risposte concrete alle modifiche strutturali avute e le forze come la Fiom hanno oggi a disposizione solo spazi tattici, i quali inevitabilmente verranno sempre più ridotti come dimostra “l’avviso comune”, al di là dei possibili ma contingenti ritorni di fiamma del conflitto.
Quello che vale per la Fiom ha ancora più valore per quelle parti di movimento che hanno ricercato un rapporto diretto con la Cgil, trovandosi così oggi nuovamente spiazzati e in modo ancora più evidente, a meno che non decidano essi stessi di seguire la strada indicata dalla Camusso. Se va detto che l’esito di questo scontro era prevedibile, non era invece scontato, almeno sul piano della ricostruzione di un fronte di lotta più solido e strategico. Invece ancora una volta è intervenuto il “tic” storico della sinistra: quello del politicismo, del tatticismo, del movimento a “schiuma frenata” come è stato lo sciopero generale del 6 Maggio, richiesto a gran voce per molti mesi e fatto quando chi lo chiedeva era rimasto senza voce. Dal 6 maggio al 28 giugno sono passati solo 53 giorni, uno schizzo temporale nel quale si è guardato altrove mentre la Cgil preparava pubblicamente il patto sociale che cercherà di imbrigliare il conflitto sociale e di sotterrare la democrazia sindacale.
* segreteria nazionale della Rete dei Comunisti
COMUNICATO STAMPA
CROCE ROSSA: USB, NO A PRIVATIZZAZIONI E LICENZIAMENTI
OGGI LAVORATORI IN PIAZZA A MONTECITORIO
Presidio dalle ore 10.00
Secondo anticipazioni sulla bozza della manovra finanziaria, la Croce Rossa Italiana verrebbe trasformata da Ente Pubblico ad associazione umanitaria a carattere volontario, con personalità giuridica di diritto privato.
Il provvedimento prevederebbe inoltre la messa in mobilità del personale di ruolo, il passaggio al ministero della Difesa di quello militare, e la fine dei contratti a tempo determinato a partire da gennaio 2012.
L’Unione Sindacale di Base chiama in piazza tutti i lavoratori CRI, precari, militari e di ruolo, a manifestare questa mattina davanti al Parlamento in occasione del Consiglio dei Ministri, contro un progetto il cui unico vero obiettivo è quello di far cassa infischiandosene di malati, disabili e lavoratori, per dire no a privatizzazioni, dismissioni e licenziamenti.
sì ma voi cosa proponete? si può fare un sindacato con dieci iscritti?
è un controsenso!
PER I LAVORATORI CHE SONO NELLA PIU TOTALE CONFUSIONE E SONO “RINCOGLIONITI” DA ALMENO 30 ANNI DI DISTRUZIONE DEL CERVELLO SOCIALE E DI MASSA OPERATO DALLA CGIL E DA CHI DALLA RIVOLUZIONE A COSTRUITO LA “SINISTRA” (PD-RC-PdCI-VENDOLISTI-COSSUTTIANI-AMENDOLIAMI-INGRAIANI-OCCHETTIANI-D’ALEMIANI-VERDISTI,-MANIFESTINI , ASINISTRA SEDICENTE RADICALE, SEDICENTE COMUNISTA SEDICENTE MARXISTA, PIU MARZIANA CHE MARXIANA – diceva Pirola -) e PER IL “POPOLO BUE” DELLA SINISTRA E DELL’ITALIA QUALE CREDONO CHE SIANO I FIRMATARI DEL “PATTO” DI CARTELLO TRA CAPI BASTONE SINDACALI E I CAPI BASONE CONFINDUSTRIALI.
E che è “bue” veramente se ha ha ancora intenzione di farsi prendere per i fondelli, per di piu da mezze calzette (chiunque conosca la Camusso sa che il fatto che sia donna o uomo non conta nulla, conta che che è una mezza calzetta la cui sola presenza costiuisce una offesa per la CGIL che ha avuto uomini come di Di Vittorio e Scheda e donne, come ad es. la Nella Marcellino che avevano coscienza di che cosa è un sindacato dei lavoratori e alle e sulle spalle avevano storia e cultura di lotte e di classe e non “L’Umanitaria” massonica di Milano e il corporativismo di donne che devono essere ben in basso se quella che emerge è una Camusso)
Per chi non vuole piu farsi prendere ingiro da marionette mezze calzette come l’attuale troika della TRIPLICE CGIL-CISL-UIL, in cui la cgil e’ tornata ad occupare il ruolo occupato negli almeno ultimi 20 anni di tradimento e di accordi di favore ai governi e ai poteri d’impresa – dopo venti anni di rinuncia all’esercizio del potere sociale dei lavoratori che hanno avuto in cambio il pegioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro, nella società e nelle fabbriche, col supersfruttamento, l’umiliazione, la soggezzione i salari piu bassi d’Europa e i prezzi di merci e servizi che prima delle privatizzazioni erano i piu bassi d’Europa ed ora con le liberalizzazioni -stataliste cioè lo statalismo-liberista (solo i gonzi non sanno che il liberismo e è storicamente e sempre statalista, che è solo una forma di statalismo, il liberal-statalismo, appunto) sono i piu alti di tutta Europa.
Non e’ un accorodo sindacale ma E’ UN ANTIOPERAIO “PATTO” DI “CARTELLO” TRA I TRE CAPI BASTONE DI CGIL-CISL-UIL E “COSA NOSTRA” PADRONALE, LA “COORPORATION” DEL POTERE D’IMPRESA, CONTRO IL PLURALISMO SINDACALE E POLITICO E L’AUTONOMIA SOCIALE DEI LAVORATORI, rispetto al quale anche il landini segretario della fiom mostra di non capire il punto (come del resto non le aveva capite nelle vicende fiat di Pomigliano, Melfi e Mirafiori).
Perchè anche se LANDINI ha detto di non aver letto mai Marx – quasi vantandosi e quasi per far vedere a giornali, Fiat e sinistra d’impresa, ecc, che lui non è un trinariciuto nel momento stesso in cui dicendo così mostrava di esserlo – ED ANCHE SE non aver mai letto Marx comporterebbe il licenziamento di un dirigente confindustriale in qualsiasi Paese Occidentale dove una delle prime cose che i padroni gli fanno studiare è proprio Marx; tralasciando per ora questo, non siginfica che Landini non deve mai riuscire a cogliere il punto.
E che continuare a vedere e a parlare come un Cofferati qualsiasi, per il quale il probleme del lavoro e dei lavoratori che vivono la specificità dei rapporti di produzione dell’organizzazione capitalistica del lavoro, sarebbe solo una questione di “DIRITTI DELLA PERSONA”: cioè dei diritti civili individuali e come fosse un cittaddino che vive nella società civile e dove comunque i diritti individuali sono propri degli albori dello sttao di diritto borghese che in nome di tali diriti non garantiva nemmeno i piu elementari dirtti politici e sociali dei cittadini non borghesi,
Perchè per l’appunto il problema non è di avere riconosciuti dei diritti cartacei, ma è di avere e di poter esercitare un potere sociale: è una questione di potere sociale dei lavoratori esercitando il quale si ottengono e si rendono effettivi e non cartacei i diriti stessi.
E il punto grave DEL PATTO DI CARTELLO MAFIOSO E’ PROPRIO L’ELIMINAZIONE DELL’AUTONOMIA SOCIALE DEI LAVORATORI E QUINDI DEL LORO POTERE SOCIALE, CONFISCATO A LORO DAI VERTICI DELLA BUROCRAZIA SINDACALE CON UN PATTO DI CARTELLO CHE DIVENTA LUOGO DI SIMBIOSI CON I CAPI di “COSA NOSTRA” PADRONALE.
ANCHE E NON SOLO con LA CONFISCA DEL DIRITTO DI SCIOPERO CHE permette l’esercizio del POTERE SOCIALE DEI LAVORATORI e che è il motivo per cui è STATO COSTITUZIONALIZZATO, e che si pensa di POTERLO RIDURRE – CON UN SEMPLICE PATTO – AD UN DIRITTO DEI VERTICI DELLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI.
POTREBBE LANDINI CAPIRE CHE TALE PATTO E’: PER VANIFICARE LA COSTITUZIONE E LA DEMOCRAZIA SOCIALE; PER TAGLIAR FUORI ED ESCLUDERE DAL CIRCUITO SOCIALE E SINDACALE I LAVORATORI E TUTTE LE ALTRE SIGLIE SINDACALI CANCELLANDO OGNI AUTONOMIA SOCIALE RESIDUA DELLA CLASSE OPERAIA, OGNI RESIDUO DI DEMOCRAZIA DI BASE ORGANIZZATA, DI DIALETTICA E DI PLURALISMO SOCIALE E PERSINO ANCHE OGNI RESIDUALE E SEMPLICE ESPRESSIONI DI DISSENSO.
PUNTANDO DA UN LATO A “NAZIONALIZZARE LA CLASSE OPERAIA” COME FECE IL FASCISMO, E FECE LA GERMANIA DI BISMARK A SOSTEGNO DELLA GUERRA, COSA CHE LA GERMANIA DI OGGI IMITA NON PIU COME BISMARK PER SOSTENERE LA GUERRA MA PER SOSTENERE IL POTERE D’IMPRESA DELL’ECONOMIA CAPITALISTICA CHE NEL CONFLITTO INTERCAPITALISTICO VEDE LA GERMANIA PROTESA NELLA COLONIZZAZIONE DELL’EUROPA DELL’EST, LASCIANDO PER ORA LA GUERRA GUERREGGIATA E ARMATA AL CONFLITTO INTERCAPITALISTICO PER L’INTERPOSTA PERSONA ( di Gheddafi) A FRANCIA-GRAN BRETAGNA-USA-ITALIA
ED EVENTUALMENTE, con tale accordo, PREPARANDOSI A CHE COSA? A REPRIMERE OGNI POSSIBILE RIVOLTA COME QUELLA IN ATTO IN GRECIA E CHE COINVOLGE TUTI I CETI DELLA POPOLAAZIONE AD ECCEZIONE SOLO DELLA GRANDE BORGHESIA: L’UNICA CLASSE NON TOCCATA DALLE MISURE OPPRESSIVE E DI CLASSE CHE SI VOGLIONO IMPORRE APPUNTO ALLA GRECIA: IL PAESE IN CUI VIGE IL MAGGIOR SISTEMA SISTEMA DI ESENZIONE FISCALE PER I RICCHI POSSIDENTI E REDITTIERI DI TUTTA L’EUROPA.
DOVE IL PROBLEMA CHE SI PALESA NON E’ LA GRACIA MA IL FALLIMENTO DELLE POLTICHE ECONOMICHE SOCIALI IMPOSTE IN PASSATO ALLA GRECIA, COME AD ALTRI PAESI D’EUROPA, CHE HA PORTATO AL FALLIMENTO E ALLO SCOPPIO DELLA CRISI CON CONSEGUENZE PIU O MENO GRANDI IN CIASCUN PAESE. ED E’ PER NASCONDERE TALE FALLIMENTO DELLE POLITICHE DELL’EUROPA DEI LIBERISTI E DEI RIFORMISTI – MISTIFICATORIAMENTE DISTINTI IN DESTRA E SINISTRA E IN EUROSCETTICI ED EUROOTTIMISTI – CHE SI PUNTA UNA PISTOLA ALLA TEMPIA DI UN PAESE PER IMPORGLI DI PROSEGUIRE ANCOR PIU IN AVANTI NELLA DIREZIONE DELLE FALLITE LINEE DI POLITICA ECONOMICA-SOCIALE, DI PRIVATIZZAZIONI, LIBERALIZZAZIONI, SPECULAZIONI E RENDITE IMPOSTE DALLA UE. POLITCHE CHE HANNO PORTATO AL LORO FALLIMENTO E ALL’ESPLOSIONE DI UNA CRISI IN CUI, ORMAI, PERSINO ECONOMISTI NON MARXISTI E PERSINO BOCCONNIANI VANNO RIPETENDO CHE
“DALLA CRISI SI PUO’ USCIRE MA SOLO PREPARANDO UNA CRISI PIU GRAVE” . Ovvero confermando quello che Marx ci insegna e dice da 150 anni, ben sapendo – Lui come anche Aden – che la borghesia tende sempre a rispondere alle crisi “provocando crisi sempre piu generalizzate, piu distruttivie, e riducendo i mezzi necessari a prevenirle”. Per cui alla fine, come dopo la crisi del 29, per uscirne veramente, si ricorre è sempre alla guerra, il volano del sistema di accumulazione capitalistico, inventandone sempre nuove guerra.
E’ democrazia quella che usa puntare una pistola alla tempia per costringere qualcuno a fare cio che lui vuole come in questo caso la UE? Ed è democrazia quella che così facendo – con tali politiche imposte e che aggraveranno la crisi – punta ad una nuova terza grande guerra, per rilanciare con la guerra, il Kombinat-industriale-militare, il volano del sistema di accumulazione capitalistico che non funziona più, se non appunto ogni volta “provocando crisi sempre piu gravi” e sempre nuove guerre che con oltre 30 conflitti in atto e che già dominano lo scenario mondiale?
In tale quadro e prospettiva si iscrive il PATTO di CARTELLO tra i capi bastone della Triplice Cgil-Cisl-Uil e la corporazionane padronale. PATTO PER DI PIU FATTO SOTTOBANCO E SU CUI LA FIRMATARIA CANUSSO, PORRA IL VOTO DI FIDUCIA AL DIRETIVO CGIL CHE PUO PRONUNCIARSI SOLO ORA NELLA FASE DI SEPOLTURA DI OGNI RESIDUO DI DEMOCRAZIA E PLURALISMO SOCIALE E SINDACALE, DI QUEL POCO CHE E’ SOPRAVISSUTOA AGLI ANNI DI PIOMBO DEL TERRORISMO ANTIOPERAIO PADRONALE-CONFINDUSTRIALE E DELLA TRIPLICE CGIL-CISL-UIL, DEGLI ANNI 90.
A noi e non solo a noi ci hanno insegnato che vanno ancor piu difesi i lavoratori che non appartengono al sindacato in cui siamo noi iscritti: un principio per il quale uan volta difndemmo a nostro rischio e pericolo un lavoratore della Val di Susa, uno iscritto al gruppo dei marxisti-leninisti, vittima del dispotismo sindacale, in quel caso e che dopo essere stato regolarmente eletto dai lavoratori a segrwetario della Funzione pubblica Cgil, venne letteralmente defenestrato dalla CdLavor, semplicemente cambiando la serratura del suo ufficio e poi in seguito espellendolo senza motivo. qui ora LA TRIPLICE PUNTA A FARE DA CANI DA GUARDIA DEI LAVORATORI TENENDO BUONI I PROPRI ISCRITI ED ANZI USANDOLI PER FAR VALERE LA LORO ASSOMATA MAGGIORANZA NUMERICA DI ISCRITI PER ESCLUDERE E CANELLARE TUTTI GLI ALTRI LAVORATORI NON ISCRITI O ISCRITTI AD ALTRE SIGLIE, DAL CIRCUITO DELLA DEMOCRAZIA SOCIALE E SINDACALE CHE è TUTTUNO CON LA DEMOCRAZIA SOCIALE E POLITICA DEL PAESE E DELLAISITUZIONI DELLA “REPUBBLICA DELLE AUTONOMIE SOCIALE, ISITUZIONALI E RELIGIOSE”
“BASTA con i bei ragionamenti…che presentano idee ben ammaestrate, teorie i cui denti sono stati limati.basta con le c.d. brave persone” con i papa e figli di papà per i quali vale l’invettiva di Pasolini contro i figli di borghesi e piccoli borghesi del 68 e di Valle Giulia (per altro proprio alcuni di quelli ora sono i sindacalisti che firmano tali Patti antioperai) che hanno l’occhio cattivo dei loro padri e come loro sono sono abituati ad ingannare diceva Pasolini -che come i Revelli, i TUI e politici e sindacalisti della ASINISTRA sedicente comunista e sedicente radicale, continuano ad ingannare lavoratori e masse con false verità (accompagnati da giullari ex fascisti e forse non ancora ex, come i Dario Fo) con quella che è vera e propria ideologia: in senso marxiano una confusaa sovrastruttura che nasconde e mistifica la realta.
Noi andiamo cercando qualcosa di reale da mettere sotto i denti, ma essi ci strapperebbero il pane di bocca!…” (Aden Arabia).
“Il tempo delle astuzie è passato.Più nessuno da ingannare. Più nessuno da sedurre. Soltanto colpi da ricevere e colpi da dare” (ADEN ARABIA)
GOLPE DI CGIL-CISL-UIL E CONFINDUSTRIA CHE FIRMANO LA DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE, DELLA CONTRATTAZIONE E DEL DIRITTO DI SCIOPERO.
INTRODOTTA ANCHE NELL’INDUSTRIA LA SOGLIA DI SBARRAMENTO SINDACALE DEL 5% PER FAR FUORI IL SINDACALISMO DI BASE E DISSENZIENTE DALLE FABBRICHE A COMINCIARE DALLA FIAT
E’ un vero e proprio patto da “sindacalismo giallo” quello tra sindacati confederali e confindustria che in nome delle punta ad un nuovo patto-sociale per l’assalto normativo, democratico e politico di ogni diritto fondamentale dei lavoratori e dei cittadini: con quest’accordo accettano e rilanciano la filosofia del “piano-schiavistico di Marchionne” che dalle fabbriche della Fiat intendono allargare in ogni luogo di lavoro sia privato che pubblico per estenderlo all’intera società.
Ciò è reso ancora più grave dall’insita accettazione di sostanza delle “politiche anticrisi” che preparano una durissima e classista manovra economica fatta di tagli progressivi per circa 50 miliardi di euro da sottrarre a salari, pensioni e spese sociali per trasferirli ai business finanziari e delle privatizzazioni: in tutto questo l’intero sindacalismo confederale sceglie di cancellare ogni residua e minima possibilità, finanche per i propri iscritti, di contare qualcosa all’interno delle dinamiche di rappresentanza e contrattazione ma pretendendo, nello stesso tempo, la validità erga omnes degli accordi derogativi di ogni norma e diritto a tutela dei lavoratori stessi.
Altro che “il vento cambia”: nonostante le ripetute batoste elettorali e referendarie del governo Berlusconi la sostanza delle politiche concertative e trasversali dell’intero quadro politico di centro destra e centro sinistra permangono ed evidenziano , per chi ancora ci credeva, l’impossibilità al “cambiamento col voto” di uno strutturato sistema bipolare in cui entrambi gli schieramenti – e le collegate organizzazioni sociali – si adoperano con ogni mezzo affinché non ci sia alcuna discontinuità con le nefaste politiche antioperaie ed antipopolari in atto da decenni a discapito dei lavoratori e dei collegati settori sociali ed a vantaggio del padronato e del grande capitale economico e finanziario, delle banche, delle cricche, delle coop ecc.
La tenuta sindacale ed operaia contro le pretese schiavistiche della Fiat che si determinerà a Pomigliano influenzerà la tenuta sindacale ed il futuro di tutte le Fabbriche del Gruppo nella volontà, inoltre, di contribuire alla necessità di “ipotizzare un cambiamento di prospettiva, reale. dal basso e non effimero, dei rapporti di forza e di classe”:
quello che ha fatto la Camusso è inammissibile e inaccettabile: è la rinuncia a svolgere qualsiasi ruolo conflittuale nella dinamica sociale!!! ma l’avete letto l’accordo?
Per Nicolosi Va rigettata anche un’altra polemica, “del tutto gratuita, a proposito delle cosiddette “possibili sperimentazioni temporanee”, definite impropriamente da alcuni come “deroghe al contratto nazionale”. Le deroghe non saranno invece possibili. Saranno infatti i contratti collettivi nazionali a stabilire limiti e procedure per gli accordi aziendali. E laddove non esiste un’intesa nazionale a fornire regole universali, qualsiasi accordo aziendale potrà essere operante soltanto attraverso l’intesa tra le organizzazioni territoriali di categoria. E sarà sufficiente la contrarietà di un solo sindacato firmatario per impedire qualunque “deroga”. Il terzo elemento di polemica, “a nostro avviso sbagliato, riguarda le clausole di tregua sindacale. Noi assumiamo il principio che se si firma un accordo ci si assume la responsabilità di applicarlo e di renderlo esigibile: l’obiettivo di un buon sindacalista è pretendere che venga applicato. Quelle clausole di garanzia, comunque, impegnano soltanto le organizzazioni firmatarie e non certo i lavoratori: il diritto di sciopero è e resta indisponibile e viene preservato dall’accordo, fermo restando il vincolo per l’organizzazione che ha firmato un’intesa, che non può fare il doppio gioco.Sostenere il contrario, sostenere che il diritto di sciopero viene violato significa dunque mistificare la realtà”. “Infine – conclude Nicolosi – a proposito della riduzione delle tasse per la contrattazione di secondo livello, registriamo un’anomalia. Riteniamo infatti giusta e necessaria una riforma del fisco che favorisca i redditi da lavoro, ma nei termini definiti nell’accordo si conferisce al secondo livello una valenza eccessiva, o quantomeno impropria al cospetto del salario definito nazionalmente: consideriamo questo aspetto un limite che andrebbe corretto. Sarà ora il direttivo nazionale della Cgil, convocato per l’11 e il 12 luglio, a dire la parola definitiva su quanto è stato firmato in sede interconfederale. Consideriamo comunque necessario organizzare, come Cgil, assemblee in tutti i luoghi di lavoro per illustrare i termini dell’intesa e favorire il confronto con le lavoratrici e i lavoratori”.
Nicolosi come noto e’ nella segreteria Cgil in quota Prc.
Nicola Nicolosi, segretario confederale della Cgil e Coordinatore dell’Area programmatica Lavoro Società respinge le polemiche “strumentali” sull’accordo interconfederale in materia di rappresentanza. L’intesa “stabilisce infatti regole per la competizione tra le organizzazioni sindacali e stabilisce punti di assenso reciproco sul fondamentale tema della democrazia sindacale: avviene così un salto qualitativo dalla democrazia di organizzazione alla democrazia sindacale, là dove si valorizzano le Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) e si dilatano gli spazi di democrazia. I lavoratori vanno infatti coinvolti, consultati e devono poter validare o meno gli accordi anche con lo strumento del referendum. Peraltro, l’accordo – afferma – prende atto che le Rsu non sono presenti dappertutto, anche se si punta ad eleggerle dovunque. Ma è previsto comunque un vincolo specifico sulle Rsa, ossia le Rappresentanze sindacali aziendali già normate dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori”. Per Nicolosi “è insensata la polemica rispetto alla presunta impossibilità di sottoporre al voto gli accordi aziendali – prosegue Nicolosi – l’intesa stabilisce che è sufficiente che un solo sindacato lo rivendichi per poter far esprimere i lavoratori. E qualora almeno il 30% dei dipendenti richieda quel voto, anche senza il consenso di un sindacato interno, la parola passerà comunque e giustamente ai lavoratori”.(segue)
Ma avete visto che scandalo ha votato la Cgil? Come si fa a parlare ancora di sindacato di classe???
Un ballo a tre passi sulla CGIL.
29 giugno 2011 Alessandro Tedde
Su Internet la sinistra si sfoga per la propria frustrazione e ipotizza alchimie organizzative e sindacali. “Metti un po’ di questo, togli un po’ di quest’altro”: ognuno ha la sua ricetta per il proprio Vero sindacato. Questo dialogo, realmente avvenuto su internet, esprime in poche parole l’essenza del dibattito. E la nostra impreparazione ad affrontarlo con coerenza.
Chiede Lorenzo: “Quand’è che costruiamo un nuovo sindacato confederale di classe incentrato sulla FIOM ?”
Rispondo io: “Il sindacato confederale della classe esiste già: si chiama Confederazione Generale Italiana del Lavoro.”
L: “Ah si? Non me ero accorto. E’ difficile dirlo oggi che la Camusso ha firmato quella roba che svuota il nazionale e da spazio a Marchionne, mettendo a tacere tutte le voci critiche.”
Io: “Basta saper leggere. Io ho scritto chiaramente che il sindacato confederale DELLA classe è la CGIL. Giacché sei milioni di lavoratori costituiscono LA classe. Che poi il sindacato sia diretto con impostazione non classista è un altro conto. Ciò dipende dalla politica di quadri interna ed anche e soprattutto dall’atteggiamento non unitario e non coerente degli attuali marxisti nei confronti della questione sindacale. Questi ultimi infatti passano più tempo ad attaccare la CGIL (e quindi, in via mediata, attaccano anche il loro blocco sociale di riferimento) che a crescere quantitativamente e qualitativamente nel sindacato.
Prende la parola il Drugo: “Il fatto stesso che Lavoro e Società sia costretta a definirsi area classista della maggioranza indica che attualmente la CGIL non si consideri sindacato di classe. Il che non vuol dire che bisogna passare le notti a sognare l’unione della FIOM e dell’USB.”
Ed io: “Conosco abbastanza bene Lavoro e Società. Lavoro e società si definisce area classista della maggioranza e, se vogliamo, è anche l’unica area di classe della CGIL (visto e considerato che la mozione “La CGIL che vogliamo” è composta sia da dirigenti sindacali con impostazione di classe sia da non classisti). Ma appunto vi è una differenza tra essere classe, dirigere la classe, rappresentare la classe.
In questo senso: la CGIL (come corpo di 6 milioni di lavoratori) è classe; la maggioranze/minoranze congressuali provano a dirigere la classe; solo Lavoro e Società come area (e pochi altri) cercano di rappresentare la classe.
Il vulnus è nel rapporto tra la base e chi dirige. Ma se la sinistra di classe rifiuta la battaglia dell’egemonia dentro il sindacato (e quindi tra la classe), l’egemonia nella classe e sulla classe la fanno altri. La storia ci ha già insegnato molte volte, ma noi stentiamo ad imparare. Gramscianamente possiamo dire che siamo pessimi insegnanti perché siamo stati e continuiamo ad essere pessimi allievi.
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Il problema è anche l’immagine! Se fosse rimasto Vendola o Bertinotti al posto di Ferrero senz’altro avremmo un partito con difetti meno pronunciati e evidenti! Diciamoci la verità: la presenza del leader ha sopperito in larga parte in questi anni alle carenze strutturali……. ed è così anche sui territori, diciamoci la verità!
Noto in Oggionni e in pochi altri (Grassi) la consapevolezza della fase in cui siamo e uno stimolo a tirarci fuori provando a coniugare identità e innovazione. Ho paura però che il partito non sia pronto e non sia adeguato a queste sollecitazioni…
Ciò non toglie che sia giusto continuare a farle!
Avanti così! Marco
Domenica ho buttato giù quest’articolo:
C’è un aria nuova nelle sedi del PRC di Asti. In via Garetti ai comitati politici, alle riunioni dei GC, quando si organizza la Festa Rossa e alle riunioni a Vinchio.
L’ho sentita sulla pelle in più occasioni ed è una brezza molto piacevole.
Le riunioni politiche, le discussioni sono cose strane: molto spesso si litiga, molto spesso ci si scazza, si risponde male però nonostante questo si continua a frequentarle e viverle. Per quanto possono essere basse non sono mai vuote perchè di fondo c’è sempre la voglia di cambiare le cose, di lottare per qualcosa, di partecipare, di essere, di esprimersi, di vivere. Ci sono le volte in cui non dici niente perchè non sai cosa dire o pensi che il tuo pensiero sia banale o non importante, c’è la paura di esporsi e di sbagliare ma quando riesci a intervenire cambia tutto, cambi tu. Più rischi e più ti senti vivo.
La scorsa riunione con i GC è stata una delle più belle che ho vissuto. Per questo devo ringraziare Edo e Nico che immancabilmente portano argomenti e idee. Però c’è stato qualcosa di più. E’ scattato qualcosa per cui tutti hanno partecipato.
Per la Festa Rossa nonostante la mole di lavoro dovuta all’organizzazione non vogliamo rassegnarci e la porteremo avanti a tutti i costi.
Ieri sera a Vinchio sebbene ci fossero punti di vista agli estremi siamo riusciti a prendere decisioni per la festa.
E’ uscito il primo numero di Revolution Press e per questo ringrazio con tutto il cuore tutti i ragazzi che hanno partecipato dal profondo.
La festa dei GC è in programma per la fine di settembre e non vedo l’ora di viverla.
Per tutte queste cose e per le tre feste che mi aspettano sono davvero entusiasta e sono convinto di non essere l’unico.
Ieri sera abbiamo deciso di non fare la Festa Rossa a settembre bensi a dicembre. Questo è un chiaro sintomo del fatto che Rifondazione ad Asti è in crisi e per il momento non riesce ad uscirne.
Caro Antonio la nostra volontà non ha superato il pessimismo della ragione.
Quello che però mi ha più deluso ieri sera è che l’aria nuova che ho percepito non è riuscita a cambiare le cose. Il vento era troppo debole per riuscire a spiegare le vele della ripartenza. Si è sentita la mancanza dei compagni pronti a spendersi per organizzare (e si è sentita davvero) e non è bastata la voglia di chi c’era. Questa situazione è per me insopportabile e cercherò in tutti i modi di cambiare le cose. Sono davvero poche le volte che sono uscito così amareggiato da una riunione ed anche così carico per farsì che certe cose non accadano più.
Vi lascio con dei pensieri che mi sono venuti in mente ieri:
Da come si affronta una situazione, si affronta la vita.
Non è mai troppo presto o troppo tardi per cambiare.
La verità è sempre rivoluzionaria.
La politica è potere.
Fare politica vuol dire contrapporre del potere a dell’altro potere.
Non ci sono mai vuoti di potere.
Le Feste sono i momenti più belli e importanti dell’anno.
Il grande pessimismo implica sempre un grande ottimismo.
cambiamo noi stessi. Non so, forse ti riferisci alla “forma” Partito (per cos’altro?) o alla “sostanza” manifesta nei suoi gruppi dirigenti. Io penso che il momento sia particolarmente delicato e compito nostro è restare sul pezzo.
Nonostante le nostre limitatissime forze, i mille screzi correntizi interni, la mancanza di soldi per finanziare le iniziative, il numero esiguo di iscritti, il lavoro svolto (dalla raccolta firme, alle elezioni politiche amministrative, ai referendum, alla politica online, all’attacchinaggio, al lavoro militante nella festa di Liberazione facendo “le salamelle”) sia fatto da SUPERMILITANTI.
Facciamo quadrato su questo innanzitutto, che comprende il militante che “unitariamente” non guarda la componente di riferimento ma lavora.
E questo è un fatto più che positivo.
Ciò che unisce poi questi compagni è avere una linea politica chiara, che dalla Val di Susa, a Genova, al precariato ecc ecc identifica il lavoro svolto in un ruolo anticapitalista (per semplificare).
Sarebbe gravissimo per me subordinare questa posizione politica (che si va allargando con l’aggravarsi della crisi economica) all’ennesimo discorso di “unità della sinistra” fatta solo dai piani alti della politica.
La mia unitarietà passa dalla lotta e dai programmi.
Mi domando come possiamo presentarci in piazza col PD con le sue attuali posizioni su TAV e lavoro e la vergognosa presa di posizione della CGIL che isola al suo interno (ancora per quanto?) la FIOM. PS: da voltastomaco la stretta di mano fra Marcegaglia e Camusso.
Fra non molto l’Italia si ritroverà come la Grecia. Nostro compito è essere pronti con una alternativa chiara, un programma chiaro di fuoriuscita dalla crisi attraverso una proposta economica-finanziaria che permetta, oggi in Italia di stare in piedi anche senza il “supporto” di UE, BM, FMI, WTO, NATO ecc.
In sostanza dobbiamo proporre un’alternativa sociale strategica su larga scala perchè se pensiamo di proporre una politica economica nel rispetto dei vincoli europei di Maastricht, Lisbona, ecc abbiamo già perso.
Se adottiamo questa linea politica, nel giro di pochi anni vedo un futuro per Rifondazione, la FDS ( a quando un Partito Comunista unico con il PDCI?) con un consenso elettorale molto ampio (il 10% non è un sogno).
Se invece pensiamo di fare il solito pastrocchio elettorale unitario siamo estinti.
Saluti comunisti
Andrea Bracciali
Caro Andrea,
mi riferisco a noi, alle nostre mancanze, ai nostri difetti, ai nostri errori, alle nostre beghe, alle nostre faide interne, alla nostra incapacità di parlare una lingua comprensibile, di dire cose che creano un consenso, che suscitano un minimo di entusiasmo e immedesimazione nei nostri referenti sociali. Mi riferisco ai nostri gruppi dirigenti, molto più al centro che nei territori. Non certo ai nostri supermilitanti che, come scrivi tu e come ho scritto mille volte, sono il patrimonio più grande su cui possiamo contare. Ma per ripartire e per crescere, non per rimanere fermi immobili a quello che siamo.
Quanto all’unità della sinistra fittizia e sulla carta, alla costruzione di un unico e più forte partito comunista e ai programmi e alle lotte: sottoscrivo, come sai!
Un abbraccio
Simone
DOMENICA 3 LUGLIO MANIFESTAZIONE IN VAL DI SUSA, IL PRESIDIO NODALMOLIN ORGANIZZA PULLMAN. Info e prenotazioni: 3349000595
L’ASSEMBLEA DI GIOVEDI’ IN PRESIDIO SARA’ ANCHE L’OCCASIONE PER FARE IL PUNTO SULLA SITUAZIONE IN VAL DI SUSA IN VISTA DELLA MANIFESTAZIONE DI DOMENICA 3 LUGLIO.
Val Susa, democrazia sotto attacco.
Lunedì mattina il presidio di Chiomonte, in Val di Susa, è stato sgomberato con la forza. Si è mosso un esercito per far levar le tende a donne e uomini che, da 20 anni, si battono per difendere la propria terra: 2.500 uomini con caschi, scudi, manganelli e maschere antigas, migliaia di lacrimogeni, blindati, ruspe e buldozer a calpestare la “Libera Repubblica di Maddalena”
Leggi tutto all’indirizzo
http://www.nodalmolin.it/spip.php?article1320
Appello
IL FESTIVAL è UN BENE COMUNE: COSTRUIAMOLO INSIEME
GIOVEDI’ 30 GIUGNO, ORE 21.00 – ASSEMBLEA APERTA DI TUTTI COLORO CHE VOGLIONO COSTRUIRE IL FESTIVAL 2011
Alle nostre spalle ci sono mesi carichi di mobilitazioni; hanno iniziato gli studenti e i ricercatori, lo scorso autunno, affiancati presto dai lavoratori metalmeccanici; poi è arrivata la mobilitazione delle donne, quella per l’acqua e la difesa del quesito sul nucleare. Infine, la straordinaria partecipazione ai referendum, con un quorum superato di slancio sulla cresta dell’onda di una partecipazione diffusa in ogni angolo delle nostre città e borgo delle nostre campagne.
Letti tutto all’indirizzo
http://www.nodalmolin.it/spip.php?article1314
L’ASSEMBLEA SARA’ ANCHE L’OCCASIONE PER FARE IL PUNTO SULLA SITUAZIONE IN VAL DI SUSA IN VISTA DELLA MANIFESTAZIONE DI DOMENICA 3 LUGLIO.
ATTENZIONE: l’assemblea settimanale del martedì è rinviata, ci vediamo giovedì!
sono molto d’accordo, dobbiamo cambiare noi stessi…. il nostro partito si muove come se fossimo ancora negli anni 70 o 80 ma il mondo è cambiato! perché non facciamo le primarie sui gruppi dirigenti in ogni federazione?? e così anche per scegliere il segretario! state certi che Ferrero non sarebbe più segretario!
Condivido le considerazioni di Contropiano. Credo che si dovrebbe cercare di raggiungere una unità di azione tra i Movimenti e la sinistra diffusa e dei partiti come si è ottenuta con i Referendum, e la prima occasione per ritrovarci in piazza a mio parere dovrebbe essere il rifiuto della finanziaria da 40-50 miliardi.
Voglia di patrimoniale: l’avresti mai detto?
Alfonso Gianni, 26 giugno 2011, Paneacqua
Per fare ripartire l’economia c’è bisogno di reperire in fretta consistenti risorse pubbliche da spendere per misure di politica economica anticicliche. In tempi di scarsa o nessuna crescita la soluzione migliore per reperire risorse pubbliche è l’introduzione di una equa tassazione sui patrimoni immobiliari e non. Ovvero c’è bisogno di una patrimoniale.Che sia nella forma proposta da Eugenio Scalfari, o in quella elaborata dalla Cgil oppure in quella suggerita da Luigi Abete, l’unica cosa che non si può dire è che sia un argomento tabù. Speriamo che la coalizione di centrosinistra se ne accorga e che le stesse forze della sinistra radicale non si spaventino per così poco.
Il governo Berlusconi, con l’acqua alla gola, cerca di raggranellare consensi con qualunque mezzo. Ma dimostra scarsa fantasia. Siamo tornati alla promessa della riduzione delle tasse. La proposta delle tre aliquote in effetti comporta una riduzione sensibile delle tasse, ma per i redditi alti, con conseguente e ulteriore nocumento per la giustizia fiscale e le entrate dello stato. L’incremento dell’Iva completerebbe lo scempio.
Bisognerebbe però che la sinistra non si facesse intimidire e quindi non si limitasse alla difensiva. Né si facesse cullare dall’illusione di evitare l’argomento per non perdere voti. Non è la furbizia che ci salverà. Se non si vuole uscire dalla crisi con un massacro sociale, se non si vuole finire come Papandreu che una volta vinte le elezioni si è trovato a gestire una politica economica allo stesso modo che avrebbero fatto le destre, se non si vuole finire per essere puramente schiacciati dal rigorismo europeo, bisogna prendere il coraggio a quattro mani e dire che una riforma fiscale è indispensabile ma proprio nella direzione opposta a quella prospettata da Tremonti.
Non si tratta solo di ribadire che vogliamo portare la tassazione delle rendite finanziarie almeno al 20%, come del resto era già nell’originario programma del secondo governo Prodi mai applicato, né che vogliamo solo introdurre una tassazione sulle transazioni finanziarie internazionali dello 0,05%, come lo stesso Parlamento europeo ha indicato, né che ci limitiamo a proseguire con maggiore incisività la lotta all’evasione e all’elusione fiscali.
Tutto questo va bene, ma non basta in una situazione di profonda crisi quale quella attuale per alleviare la pressione fiscale sui redditi da lavoro come s’ha da fare non solo per evidenti ragioni di giustizia sociale ma anche per rilanciare la domanda interna al paese.
In tempi di scarsa o nessuna crescita la soluzione migliore per reperire risorse pubbliche è l’introduzione di una equa tassazione sui patrimoni immobiliari e non. Ovvero c’è bisogno di una patrimoniale. La terribile parola è ormai sulla bocca di molti e ogni timidezza al riguardo dovrebbe essere bandita. Certamente si può e si deve discutere su che forma una simile tassazione deve assumere. Ma che ad una soluzione del genere si debba giungere sono in pochi ormai a dubitarne. Bastano forse tre esempi.
Eugenio Scalfari nei suoi editoriali domenicali è spesso tornato sull’argomento. La sua non è a dire il vero una patrimoniale classica. Ricorda piuttosto – anche se il ragionamento del fondatore di Repubblica è più articolato e raffinato – la cosiddetta Eurotassa, ovvero una imposta straordinaria e di scopo – serviva a garantire l’ingresso dell’Italia nell’Euro – istituita dal primo governo Prodi alla fine del 1996, che escludeva dal contributo le fasce economicamente più deboli e prevedeva anche una parziale restituzione, come poi in effetti avvenne. Da molti venne considerata come una misura piuttosto rozza. Di certo è che fu efficace rispetto allo scopo dichiarato e non venne affatto accolta male dalle classi medie, le quali ritenevano di dovere e potere contribuire volentieri al raggiungimento di un obiettivo largamente condiviso quale l’ingresso del nostro paese nella moneta unica.
Di ben altra natura e forza è la proposta recentemente avanzata dalla Cgil, che vuole istituire una tassa ordinaria sulle grandi ricchezze ispirata al modello francese, con una previsione di imposta mediamente dell’1% a carico delle famiglie che abbiano una ricchezza superiore agli 800mila euro. La tassa colpirebbe quindi solo il 5% della popolazione, potrebbe generare un gettito di circa 15 miliardi di euro l’anno e avrebbe carattere strutturale e permanente.
Il terzo esempio è forse più sorprendente. E’ stata illustrata pochi giorni fa da Luigi Abete, presidente di Assonime, la storica associazione fra le società per azioni italiane fondata nel 1910. Si tratta di un’imposta annuale sulle attività patrimoniali delle persone fisiche, con un’aliquota dell’1%. Abete non la vuole chiamare patrimoniale perché la base imponibile sarebbe costituita dalla ricchezza netta delle famiglie, cioè al netto dell’indebitamento. La grandezza di questa ricchezza è stimata dalla Banca d’Italia nell’ordine di otto volte il reddito disponibile, a dimostrazione della elevata patrimonializzazione della ricchezza italiana. Quindi, afferma lo stesso Abete l’imposta proposta dovrebbe rappresentare “una componente essenziale di trasparenza ed equità, in un sistema nel quale i percettori di redditi superiori ai 100mila euro annui sono circa 390mila, meno dell’1% dei contribuenti, mentre la ricchezza netta delle famiglie ammonta a 8.600 miliardi di euro”. Non male per un rappresentante degli imprenditori!
Naturalmente si può e si deve discutere per affinare una proposta che sia equa ed efficace. Si può a lungo – ma senza perdere tempo – discettare su quale debba essere la parte esclusa dal contributo (la soglia degli 800 milioni pare a me troppo elevata). Soprattutto si dovrebbe sciogliere l’alternativa se si punta a un prelievo straordinario o a una misura strutturale (propenderei nettamente per questa seconda). Tutte le soluzioni qui riassunte partono comunque da un’unica consapevolezza: per fare ripartire l’economia c’è bisogno di reperire in fretta consistenti risorse pubbliche da spendere per misure di politica economica anticicliche. Ma ciò che più conta è che gli elementi per parlarne e per decidere ci sono tutti. L’unica cosa che non si può dire è che sia un argomento tabù. Speriamo che la coalizione di centrosinistra se ne accorga e che le stesse forze della sinistra radicale non si spaventino per così poco.
Val
di Susa. Mai più da soli!
Di
Alessandro Avvisato*
La prova di forza militare che gli
apparati coercitivi dello stato hanno attuato sulla Val di Susa
suonano a conferma del clima politico e della posta in gioco nelle
relazioni sociali nel nostro paese.
Lo scenario, per quanto possibile, è nitido: da una parte una
intera popolazione in alleanza con alcune reti di attivisti politici
e sociali che si sono opposti per anni ad un progetto devastante per
il territorio; dall’altro i poteri forti finanziari e industriali,
pienamente sostenuti dalla “politica” e dagli apparati statali,
che non hanno inteso recedere da un affare per loro economicamente
colossale, ma dall’assai dubbia utilità sociale.
In
questo conflitto – legittimo dal punto di vista delle ragioni
ambientali, sociali, democratiche – ma del tutto asimmetrico sul
piano dei rapporti di forza “militari”, non poteva che prevalere
l’aspetto coercitivo, supportato dal sostegno pressochè unanime di
tutto il quadro politico locale e nazionale, sia di centro-destra che
di centro-sinistra. In un certo senso, la Val di Susa è l’antipasto
del clima che potremmo respirare qualora la crisi del governo
Berlusconi trovi come sostituito un governo di “unità nazionale”
costruito per far fronte alla crisi economica e alle sue
ripercussioni sociali.
Il fatto che si siano potuti
concentrare in una valle 2.000 agenti di polizia, guardia di finanza,
forestali, carabinieri, per poter espugnare un presidio popolare e
alcune barricate, rende evidente che su questo piano non c’era
partita possibile. Lo Stato è lo Stato e l’asimmetria di forza è
indiscutibile, tanto più se la medesima asimmetria si manifesta
anche sul piano politico.
La popolazione della Val di
Susa e le reti di attivisti politici e sociali loro alleate, hanno
potuto contare solo sulle proprie forze, e il radicamento sociale sul
territorio – fattore fondamentale di ogni resistenza – non poteva
essere sufficiente.
Solo se si fosse in grado di
esercitare la medesima pressione in più punti si sarebbe potuto
impedire la concentrazione delle forze coercitive in un punto solo.
Ma questa non è ancora lo
stato della realtà del conflitto sociale in Italia. E’ evidente come
l’esperienza della Val di Susa, una delle più ricche e avanzate nel
nostro paese, suoni come lezione anche agli altri fronti del
conflitto sociale. L’idea corre immediatamente alla resistenza
popolare contro l’emergenza rifiuti in Campania, alle lotte sociali a
Roma o alle esperienze che cercheranno di dare attuazione al mandato
popolare ottenuto con il referendum per mettere fine alle
privatizzazioni dell’acqua.
Non solo. A nessuno sfugge
come il “patto sociale” messo in cantiere da Confindustria (con
Cisl, Uil e la “pentita” Cgil) miri non solo e non tanto a
definire nuove regole restrittive sulla rappresentanza sindacale,
quanto a espropriare i lavoratori della possibilità di ricorrere
allo sciopero quando lo ritengono necessario per ostacolare o
limitare l’ingordigia padronale sui ritmi di lavoro, sui diritti
acquisiti o sul blocco dei salari.
Dalla Val di Susa dobbiamo
quindi trarre una lezione precisa: quanto prima occorrerà
guardarsi nelle palle degli occhi, condividere una visione della
posta in gioco sulle questioni principali del conflitto che oppone
gli interessi “popolari” da quelli privati dei “prenditori”,
e sperimentare tempi e modi comuni per riaffermare questi interessi
dentro l’agenda politica ed economica del paese.
Occorre dunque una vera
alleanza politico-sociale, un movimento il più possibile unitario,
che riesca magari anche ad attrarre quella parte di “politica”
disposta a corrispondere alle esigenze dell’emancipazione e non a
quelle della conservazione e del politicismo. Un fronte
politico-sociale di resistenza al capitalismo, più cooordinato, più
unito e più radicale, che contrasti la concentrazione delle forze
avversarie su un unico punto per volta. Se un proletario di Napoli o
Roma cominciasse a vedere le cose come un valligiano della Val di
Susa, se un metalmeccanico bresciano le vedesse come un giovane
precario bolognese o siciliano, le cose potrebbero cominciare a
cambiare sul serio e la partita si potrebbe giocare con qualche
chance in più.
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editoriale di Contropiano, giornale comunista onlinewww.contropiano.org