Abbiamo scelto di andare a Madrid tra gli indignados di Puerta del Sol perché da qui, nelle cronache girate in rete, abbiamo intravisto qualcosa di grande e che ci riguarda da vicino. Che interroga le nostre lotte, il nostro stesso modo di concepire la politica.
Cosa è successo a Madrid e in tutta la Spagna in questi ultimi mesi? Dopo lo sciopero generale del settembre scorso e le manifestazioni in tutte le città di dicembre, scandite dalla richiesta di lavoro, salario e diritti sociali, il 7 aprile si è svolta un’altra grande giornata di mobilitazione in cui in particolar modo i giovani (raccolti nella piattaforma di Juventud Sin Futuro) hanno manifestato l’esigenza di strutturarsi in soggetto politico e coordinarsi in maniera permanente. Il 15 maggio, dopo che il governo Zapatero ha siglato con i sindacati un’intesa che, tra le altre cose, ha innalzato l’età pensionabile a 67 anni, si è svolta una nuova imponente manifestazione che, dopo l’intervento repressivo brutale delle forze dell’ordine, si è trasformata in un presidio permanente in piazza di Puerta del Sol.
Da quel giorno si è avviato un processo di accumulazione di forze che ha reso sempre più visibile e forte il movimento di Madrid, così come ha reso possibile l’espansione in tutte le più grandi città della Spagna del modello di occupazione permanente degli spazi più visibili e dei luoghi simbolo delle diverse città.
Ogni accampamento è organizzato attraverso commissioni di lavoro e un’assemblea generale, alla quale partecipano ogni giorno dalle 2000 alle 3000 persone. Le decisioni vengono assunte all’interno dell’assemblea generale, dopo che la commissione politica (organismo centrale nella mobilitazione) ha avanzato una traccia di discussione e le proposte di massima.
Il programma generale della mobilitazione è molto avanzato. I punti essenziali sono quattro: critica ai privilegi e alla corruzione diffusa della classe politica e critica al modello bipolare; contrasto della disoccupazione, della precarietà del lavoro e lotta per il diritto al lavoro e una piena cittadinanza; controllo pubblico degli istituti bancari e dell’economia, nuova fiscalità progressiva; nuova legge elettorale e nuovo modello di democrazia partecipativa e dal basso. Dunque, anche le critiche radicali al sistema politico non sono distruttive del bisogno di politica, ma sono rivolte alle classi dirigenti che hanno guidato la Spagna post-franchista e al modello di sviluppo neoliberista che esse hanno complessivamente imposto (e Zapatero in queste elezioni amministrative ha pagato esattamente la sua internità a questa logica e a questo sistema).
A partire da questi fatti ci siamo confrontati con i compagni del Partito comunista spagnolo e con l’Unione delle Gioventù Comuniste di Spagna. Come stanno intervenendo in questo movimento?
Innanzitutto hanno proposto e ottenuto che la mobilitazione dalla piazza attraversasse i quartieri e si radicasse nella città attraverso l’istituzione di veri e propri comitati di quartiere (commissions de barrios). Il movimento – dicono i compagni – ha futuro soltanto se riesce ad ottenere il consenso popolare e dei lavoratori e dunque se riesce a radicarsi in tutto il territorio, passando da una fase di grande esposizione mediatica ma scarso radicamento territoriale ad una fase di normale esposizione mediatica ma grande radicamento territoriale.
Il secondo nodo riguarda il tema dell’egemonia. I giovani comunisti spagnoli rifiutano con nettezza l’idea di lavorare con l’obiettivo di cooptare settori del movimento all’interno del partito o di dirigerlo burocraticamente. Allo stesso tempo diffondono la propria piattaforma programmatica allo scopo di contribuire a definire gli orientamenti, immediati e strategici, del movimento ed evitare così che esso subisca una torsione anarchica-antipolitica-ribellistica così come una torsione socialdemocratica e riformista. Questo vale nelle città come Cadice, Murcia e Saragozza, dove il ruolo dei giovani comunisti spagnoli è molto significativo e, ancora di più, nella ben più eterogenea realtà di Madrid.
Tutto questo ci riguarda?
Penso tre cose. La prima è che le condizioni materiali dei lavoratori spagnoli e dei giovani spagnoli sono molto simili a quelle del nostro Paese e che anche sul piano soggettivo il livello di indignazione e di rabbia che abbiamo raggiunto in questi mesi non è dissimile da quello che in Spagna sta producendo questa grande mobilitazione. E che, anche oltre le condizioni materiali, sia ormai in questione – in Spagna come in Italia – il senso complessivo della vita e dell’esistenza: non è casuale che tra le commissioni create dal movimento a Madrid vi sia più di una commissione dedicate alle arti, ad indicare che il movimento pone in discussione l’ideologia, l’apparato simbolico, l’immaginario del capitalismo perché essi sono, tutti insieme, parte integrante del problema e del dominio.
In secondo luogo dagli indignados emerge questa idea: che le forme concrete della lotta (l’autogestione e l’autogoverno, in questo caso di settori crescenti di giovani studenti e lavoratori) hanno molto a che fare con il modello di società e di democrazia che le forze politiche più avanzate nello stesso identico tempo avanzano e propongono credibilmente al movimento e al Paese tutto. Da questo punto di vista è significativo che il partito comunista spagnolo stia per lanciare una campagna per un referendum popolare che mira a convocare una nuova Assemblea Costituente che ricostruisca dalle fondamenta la democrazia spagnola.
In terzo luogo, penso che nel movimento si stia esattamente con questo atteggiamento: totale e incondizionata internità, nessuna presunzione di autosufficienza e di avanguardia e al contempo massima determinazione nell’affermare progressivamente, proprio nell’interesse dello sviluppo del movimento stesso, una linea e una proposta politica che punti a radicare e rendere permanente ciò che rischia di rimanere transitorio.
Ma la fotografia più nitida che è mi è rimasta impressa è un’altra: è l’istantanea di una Spagna che non è sola, ma che sta aiutando a fare emergere nel cuore della nostra Europa (e non solo nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente) una primavera di lotte e mobilitazioni che è tanto forte in quanto è gravida di futuro, perché parla di una nuova generazione che contesta la vecchia politica, il vecchio sistema economico e le sue ingiustizie, e propone un’alternativa. Guardando avanti, con una voglia e una capacità crescente di parlare la lingua universale dei diritti, della democrazia e dell’eguaglianza. Per questo a Madrid non siamo stati ospiti. Puerta del Sol da oggi è anche casa nostra.
ps: qui trovate il manifesto del movimento: https://reblab.it/2011/05/il-manifesto-politico-di-democracia-real-ya/
La foto che apre il post è una delle tante che ho fatto ieri a Madrid: su facebook le ho messe tutte.
quello che penso io è…se
un governo non lavora per la gente…anche se socialista…bisogna
avere il coraggio di farglielo sapere…noi di puerte del sol dovremmo
averne una ogni città ma forse abbiamo fattopochi figli e i
cinquantenni non sono pronti a rischiare il rischiabile…
un
abbraccio
Antonella
Caro Simone, ho trovato molto utile la tua pubblicazione del documento
politico di Democracia Real Ya. Si può constatare che le difficoltà dei
lavoratori , dei precari,dei disoccupati e degli studenti spagnoli sono le
stesse di quelli italiani ed anche degli altri popoli europei ed anche
africani. Quello che colpisce è il fatto che nonostante il programma
di Democracia Real Ya sia in gran parte quello della sinistra comunista od
anticapitalista, tuttavia c’è una tale diffidenza e sfiducia nei confronti
dei partiti di questa sinistra che riamangono fermi nelle elezioni. Anche in
Italia succede la stessa cosa e la frammentazione dei partiti è un grosso
problema. Occorrerebbe che almeno i partiti comunisti ed anticapitalisti
italiani, la Fiom ed i Cobas si unissero su un programma comune, in
previsione della caduta del governo Berlusconi, collegandosi con i partiti
ed i sindacati comunisti ed anticapitalisti europei per cercare di cambiare
l’indirizzo delle politiche liberiste della Comunità europea.
Anche se Berlusconi, che non ha più il consenso di Confindustria,
probabilmente per fortuna cadrà, e ciò sarà una bella soddisfazione,
tuttavia il futuro di un eventuale governo Pd, diretto dalla Cnfindustria e
dalla sudditanza statunitrense, preannuncia altre bastonate. Ciao e
complimenti per il tuo blog. Ireo Bono
Sono completamente d’accordo con te, dalla prima all’ultima parola.
Grazie per l’interesse e l’attenzione,
Simone
Ma quello che sta accadendo in Italia è ridicolo: ci sono gruppi autoproclamati di indignados che scimmiottano il modello di Madrid e sono semplicemente infiltrati di destra o fascisti! Gira in rete un video di una certa Francesca che si è scoperto essere non la voce blogger del movimento ma una fascistella da quattro soldi di Salerno!
Dal sito dei GC Piemonte
Dopo il racconto di Oggionni sulle vicende spagnole, pubblichiamo una riflessione raccolta dal sito http://www.officinecorsare.org
Que se vayan todos. Emersioni spagnole e la crisi della politica.
di Andrea Aimar
C’è chi invoca la primavera ad ogni segno di risveglio; chi riattacca col ’68 e parte ad improvvisare sullo spartito della ribellione; c’è chi, infine, guarda agli eventi con un misto di ansia e speranza.
Pensiamo di appartenere all’ultima categoria, probabilmente è una questione di età…
Abbiamo sempre diffidato dai facili entusiasmi e dalle narrazioni condite da ‘faciloneria rivoluzionaria’ e nel guardare alla Spagna sappiamo che la tentazione è forte: basta poco per lasciarsi andare in discorsi sulla Storia. Troppo facile anche ricordare la Spagna della Guerra Civile, le sue brigate internazionali: il primo vero debutto dell’antifascismo in armi. Siamo invece nel 2011 e di questi anni ci tocca parlare, e vivere.
La politica, quella ufficiale, è messa malissimo. Anzi, lei sta benissimo, siamo noi che non ce la passiamo così bene. C’è una parte di Europa, se vogliamo limitarci a parlare del vecchio continente, che vede le proprie esistenze sempre più fragili, mediocri, senza prospettive. In questo girone dell’inferno c’è un gran casino: ci siamo noi, giovani della generazione precaria ma sempre più accompagnati da chi arranca a prescindere dall’età; ci sono i disoccupati; i lavoratori privati di diritti a cui avevano fatto l’abitudine; chi è cresciuto con la scuola pubblica, la sanità pubblica, l’acqua pubblica ed ora vede il suo mondo cambiare radicalmente. L’elenco dei vinti è più lungo e complesso, l’importante è essersi capiti.
Politici, sindacalisti, editorialisti, intellettuali di varia estrazione sono giorni che si interrogano per provare a decifrare la piazze spagnole. Per noi è semplicemente emersione. Uscita in superficie di un mondo costretto all’apnea e bisognoso di aria. Aveva ragione Calamandrei quando diceva che “la libertà è come l’aria”: ti accorgi della sua importanza quando comincia a mancare. Forse è tutto semplicemente racchiuso in quelle cinque parole, e nelle sue conseguenze. Chi sta facendo mancare quell’aria? C’è un intera classe dirigente che ha delle responsabilità enormi, e in questo sì le differenze paiono non vedersi. Bisognerebbe intendersi però sul “destra e sinistra sono tutti uguali”, constatazione che parrebbe ovvia. Se per sinistra stiamo parlando dei vari Zapatero, Schröder, Blair o i nostrani D’Alema, Veltroni, Fassino allora come non essere d’accordo. Dovremmo ricominciare a chiamare le cose con il loro nome e, usando una definizione di Marco Revelli di qualche anno fa, cominciare a dire che stiamo parlando di due destre e non di una destra ed una sinistra. Non che non ci siano delle differenze, delle diverse sfumature su moltissimi temi, rimane però una sostanziale condivisione dell’attuale sistema economico e dei suoi pilastri fondanti. Con questo nessun intende assolvere o indicare nei guardiani della tradizione comunista dei punti di riferimento. C’è una sinistra smarrita, incapace di creare nuove prospettive politiche per il futuro e solo da piazze come quelle iberiche esiste lo spazio e la forza per ricostruire.
Guardando più da vicino gli “indignados” il vero collante sta nel “nessuno ci rappresenta”, medesimo slogan che urlavamo solo pochi mesi fa, e un paio di anni prima, nel movimento studentesco dall’Onda in poi. Sbaglia nuovamente, come si fa in Italia con i grillini, chi vede in questo sentimento dell’antipolitica. Dietro la facciata del “que se vayan todos” (se ne vadano tutti) che può sembrare qualunquismo d’altri tempi, in realtà esiste, consapevole o meno, uno smisurato bisogno della politica e dei suoi strumenti di cambiamento. Il fatto stesso che la politica ufficiale attuale si senta attaccata è di per sé l’emblema dell’attuale situazione. E’ la risposta con la politica al rifiuto della politica, perdonate il bisticcio di parole. Perché se non è politica ritrovarsi in una piazza a riflettere su riforme elettorali, corruzione, alternative al neoliberismo…cos’è allora la politica? E’ buffo poi vedere che il movimento spagnolo dipinto come rivoluzionario e barricadero produca come prime due proposte politiche da una lato la riforma della legge elettorale, dall’altra una legge contro la corruzione. C’è sicuramente tanto di questo e la sensazione che basti un cambio nelle regole del gioco o l’onestà dei giocatori per determinare un cambiamento. Ma non è solo questo e lo si percepisce dalle ragioni profonde: lotta alla precarietà, nuova idea del pubblico e di un ruolo diverso dello Stato, difesa dei beni comuni, welfare… Temi sicuramente non rivoluzionari ma necessari nel ri-articolare un pensiero ed un’azione di reale cambiamento.
E poi c’è internet, anche in questo caso, come nel Maghreb, sembra essere l’elemento nuovo, la rete come levatrice della ribellione. Facebook e Twitter sono sicuramente protagonisti e sono strumenti che chi detiene il potere comincia a temere. Svolgono, almeno nelle giovani generazioni, un ruolo simile a quello che le sezioni di partito svolgevano un tempo. L’aspetto interessante è che la fase del “click activism” (come amano definirla gli americani) pare essere maturata in una reale presenza fisica. Insomma dal “mi piace” su Fb alla partecipazione in piazza.
Rimane l’incognita di ciò che sarà di tutto questo muoversi. Una ragazza a Madrid ha delineato in un poche parole quello sicuramente è già cambiato, ha detto: “noi non abbiamo paura”. In un’Europa che dall’impasto tra crisi economica e paura ha sempre svoltato a destra questo è un piccolo bel segnale. In fondo è proprio la paura che rende muti quando la politica è presa di parola, è voce. Dalla nostra italietta sempre in bilico tra la tragedia e la commedia, guardiamo alla Spagna con speranza e sensi di colpa. I secondi per il nostro attuale immobilismo. Abbiamo appena visto delle amministrative salutate da molti come grandi vittorie per il cambiamento, al di là di Milano e Napoli, il resto non fa fare salti di gioia. Il lavoro da fare è moltissimo e se le percentuali elettorali non sono accompagnati da cambi di mentalità e progetti reali di alternativa c’è poco da rallegrarsi. In fondo anche in Spagna di devono interrogare sull’andare oltre l’indignazione per capire come incidere per davvero. Ad oggi, c’era da aspettarselo, c’è solo una penisola iberica più conservatrice ma con qualcosa di nuovo nell’aria che potrà superare il lampo di una stagione se saprà mettere radici. Nella nostra penisola non possiamo che sperare in una vittoria di Pisapia e de Magistris, sapendo però che da lì si può solo cominciare e la vittoria è ancora tutta da conquistare. C’è bisogno della politica anche se tutta da ricostruire, e guai a pensare che partiti e sindacati in una crisi profonda siano un problema che non ci riguarda. In Spagna stanno vivendo momenti straordinari, fuori dalla normale amministrazione, prima o poi dovranno uscire da quella piazza e mettersi a lavorare per un altro paese. Studiate, organizzatevi, agitatevi ci diceva il nostro Gramsci, ve lo prestiamo…in bocca al lupo “indignados” e a presto.
Editoriale da http://www.contropiano.org
Il rebus “Indignados »
di Dante Barontini
Che posizione prendere sul movimento spagnolo degli indignados di Puerta del Sol?
I diversi contributi che abbiamo pubblicato oscillano tra due estreme: adesione acritica e critica liquidatoria. E segnalano quanto sia andata smarrita la capacità – tutta leniniana – di saper distinguere tra movimento e “partito”, tra “masse” e “avanguardia”, tra “spontaneità” e “progetto”.
Proviamo qui a porre alcuni punti che ci sembrano sufficientemente fermi.
1) Ogni movimento di protesta che assume dimensioni di massa è sintomo di un malessere sociale rilevante, una richiesta di cambiamento che si esprime come sa e come può, in forme – dicevamo un tempo – “storicamente determinate” che dipendono da momento, cultura, tradizioni di un paese. Ogni movimento, dunque, appare al “quadro militante” come ingenuo, limitato, parziale, a rischio di manipolazione. Se abbiamo ben compreso la dialettica, sono sempre vere entrambe le cose. Dunque, assumere le posizioni del movimento esistente così com’è significa rinunciare a qualsiasi progetto di trasformazione sociale consapevole; condannare il movimento per la sua arretratezza significa, all’opposto, tagliarsi socialmente i “cabbasisi” e quindi rinunciare per altra via a qualsiasi trasformazione sociale.
2) La piattaforma politica degli indignados (che pubblichiamo qui in fondo) è democratica e socialmente progressista. Prende di punta l’irresponsabilità della classe politica che si alterna al potere (il bipolarismo escludente), immaginando meccanismi legali per renderla concretamente sanzionabile. Disegna misure per combattere la disoccupazione partendo dalla riduzione dell’orario di lavoro e dal rifiuto dell’aumento dell’età pensionabile. Chiede la difesa dei posti di lavoro e il ripristino degli assegni di disoccupazione. Prevede l’espropriazione delle case inutilizzate, trasformandole in alloggi popolari; servizi pubblici, a partire dai trasporti, di qualità e a basso costo; una scuola e un’università pubbliche, dai costi accessibili e una ricerca altrettanto indipendente perché pubblica. Rifiuta il salvataggio delle banche con fondi statali, fino ad osare chiederne la nazionalizzazione; vuol rivedere la fiscalità generale colpendo patrimoni, plusvalenze finanziarie, società d’investimento. Vuol ridurre le spese militari, pretende l’introduzione dell’indipendenza della magistratura (che lì, evidentemente, è più limitata che in Italia). E, infine, una riforma elettorale che permetta un pluralismo effettivo, non ingabbiato a forza nel bipolarismo centrista.
Tutti punti che, anche in Italia, potremmo sottoscrivere in pieno senza doverli per forza assumere come un “programma comunista”. Diciamo che rappresentano una messa in discussione empirica, ma reale, della gestione liberista della crisi.
3) E’ un movimento, dunque, che esprime con durezza la propria diffidenza verso la politica esistente. E la esprime magari con formule (“né di destra, né di sinistra”) pericolosamente in bilico tra qualunquismo, populismo, vaghezza. Questo è il punto più controverso, ma da cui bisogna necessariamente partire perché rappresenta il livello di “coscienza” attuale delle giovani generazioni e non solo; che hanno ovviamente molte buone ragioni per pensare che “destra e sinistra”, per come loro le vedono, sono di fatto la stessa cosa; che tra Aznar e Zapatero le distanze siano in fondo minime e “sovrastrutturali” (diritti civili e poco altro). Noi non diciamo qualcosa di molto diverso quando analizziamo le politiche economiche del centrodestra e del centrosinistra italiani. Un “negriano”, per dirla come diversi nostri lettori, assumerebbe subito in toto il linguaggio del movimento degli indignados, un settario li maledirebbe da lontano, come la volpe con l’uva. Un comunista, invece, ci starebbe dentro, anche a costo di rinunciare momentaneamente all’esibizione pubblica della propria simbologia (ricordiamo che lo stesso Fidel “ammise” di guidare un partito guerrigliero comunista solo dopo aver conquistato e consolidato il potere), lavorando per far crescere la coscienza di classe del movimento attraverso i momenti di conflitto che questo sarà costretto – ora o tra qualche tempo – a ingaggiare con il potere. Perché, ricordiamo, il comunismo non è un’ideologia, né un ordine ideale cui la realtà dovrebbe conformarsi; ma “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente; le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente”.
L FONDATORE DEL “15-M” è UN ALFIERE DEL CAPITALISMO
Il dubbio:”Indignados” o “manovrados”? Ecco chi c’è dietro il “15-M”
La rete li crea, la rete può distruggerli
25/05/2011, ore 21:19 –
Quest’oggi, partendo anche dalla domanda di Ferruccio De Bortoli e dall’ormai stranoto movimento “15-M”, volevo scrivere un editoriale che tentasse di spiegare come mai, i giovani italici, non si sono organizzati in un moto di protesta pacifica come hanno invece fatto i “colleghi” ispanici. Facendo un giro per il web, però, ho compreso che la domanda forse doveva essere diversa: perchè gli spagnoli si sono indignati all’improvviso, in maniera così ben organizzata e senza prodursi nei consueti scontri con le forze di polizia?
Il dubbio, il fortissimo dubbio sulla spontaneità degli “indignados” mi è venuto quando ho letto il nome e la storia professionale di Enrique Dans; autoinseritosi tra i fondatori e promotori del 15-M ed ex studente di formazione aziendale nelle due blasonatissime università statunitensi di Ucla e Harvard. E se si trattasse solo del passato trascorso in alcuni dei principali centri accademici che indottrinano alla teoria capitalisco-consumistica, magari si potrebbe anche pensare ad una credibile e possibile “conversione” dell’uomo verso tesi decisamente diverse.
Il punto è che Dans ha collaborato (e continua tutt’ora a collaborare) con grandi gruppi finanziari come Barclays Bank e a farsi promotore di iniziative bancarie come Bancacívica. Man mano che si legge il curriculum presente sul sito dell’esperto economista, le perplessità sui fini reali della sollevazione civile (in tutti i sensi) nata a Madrid aumentano. Come si legge su praticamente tutti i siti e i blog indipendenti, tra l’altro, “Altri promotori del movimento 15M sono Javier de la Cueva, che ha lavorato a lungo con il quotidiano atlantista e neo-liberale El Pais, Carlos Sánchez Almeida, proprietario di un importante studio legale con sedi a Madrid e Barcellona, così come una serie di altri personaggi con collegamenti”.
L’ipotesi mossa da parecchi ex estimatori del movimento spagnolo, è dunque abbastanza semplice: migliaia di persone sono state coinvolte (in buonissima fede) in quella che potrebbe essere solo una gigantesca operazione di “dissenso controllato”. Una sorta di valvola di sfogo momentanea che farà da apripista ad una serie di micro cambiamenti socio-economci utili a non far cambiare l’apparato macro-sistemico. Lo stesso Dans, in un’intervista rilasciata a Promo Turismo Tv (portale video dedicato al profitto generato dal turismo) dice chiaramente:”Allora dove andiamo (…)? Beh penso che si chiede un cambiamento. Non chiudersi in un sacco per opporsi a tale cambiamento, e allora dobbiamo vedere. Dobbiamo imparare dalle esperienze precedenti, come l’Egitto o la Tunisia, dove evidentemente la situazione non era la stessa, c’era un sistema che è stato abbattuto, ma qui non è il caso.”
Il sistema vigente dunque andrebbe cambiato ma solo un minima parte, senza troppi stravolgimenti e pericoli per le oligarchie straricche che controllano un mondo sempre più affamato ed esausto. La speranza è che, il web, riesca nell’opera di smascheramento o, almeno, in quella di induzione alla riflesione critica così come è riuscito a “contagiare” centinaia di migliaia di utenti attraverso il racconto della “rivoluzione spagnola”.
Dispiace dover smorzare l’entusiasmo con il quale, anche lo scrivente, aveva accolto questa aggregazione così promettente non solo di “contestatori” ma di idee e proposte per affrontare la crisi. Certo comportarsi da talebani dell’anticapitalismo non aiuta e tredisce scarsa conoscenza della complessità della società nella quale viviamo ma, il tentativo di far passare per “nato dal basso” un movimento che è evidentemente stato guidato da esperti dell’attuale (disastrosa ed iniqua) finanza occidentale, non può che risultare odioso.
A mio avviso, comunque, l’attenzione sui “manovrados” non deve assolutamente calare ed anzi deve essere ancora più viva e lucida. Comprendere come il sistema fa finta di volersi combattere potrebbe difatti servire a trovare il modo di riformarlo radicalmente. Per ora, il movimento “Intalian Revolution” ha avuto un buon seguito sui social network ma scarso riscontro nella reatà. Staremo a vedere, giovani e giovani, come, quando e dove questa tanto invocata “rivoluzione” si deciderà a partire sul serio.
LA CRISI è troppo acuta e i problemi sociali e economici a Torino, città a rischio declino, troppo grandi perché i lavoratori affidino il loro destino a un partito che è ormai solo una scheggia isolata del quadro politico. Così un politologo come Marco Revelli, da sempre attento a quel mondo legge la sconfitta delal sinistra radicale a Torino. REVELLI cosa c’ è dietro quel crollo? «Dietro la larga vittoria di Fassino credo ci siano due aspetti: un voto di continuità amministrativa e un voto contro Berlusconi che, soprattutto nel finale di partita ha personalizzato la contesa e radicalizzato il suo stile. E a Torino che non è mai stata una città berlusconiana, il modello Santanché non attecchisce». Questo spiega la vittoria di Fassino, non la sconfitta della Federazione della Sinistra. «Spiega tutte e due le cose perché la proposta della sinistra radicale non rispondeva né all’ una né all’ altra di queste istanze. Non garantiva la continuità amministrativa e soprattutto chi voleva esprimere con forza un’ opzione antiberlusconiana votava il peso massimo, non quello leggero». Perché i referendum di Mirafiori e di Grugliasco non hanno avuto conseguenze elettorali? «Questo è il voto di una città che sta con il fiato sospeso che si aggrappa al proprio passato per timore del futuroe vota per una figura quasi paterna come Fassino. La questione Mirafiori ha lacerato la cittàe non c’ è dubbio che la parte più consapevole del mondo operaio si era identificata nel no e che Fassino aveva assunto una posizione deludente. Qualcuno poteva aspettarsi che quell’ atteggiamento si trasferisse in un premio alla sinistra radicale. Non è stato così perché c’ è un pezzo di mondo operaio che si riconosce nella Fiom, socialmente e nelle politiche in fabbrica, ma non nella Fds nella rappresentanza politica». Perché questa scissione? «Perché la questione è così grande che non può essere rappresentata da un frammento di società politica qual è Fds. C’ è dietro un forte pragmatismo operaio. Credo che sull’ irrilevanza della sinistra radicale pesi la pigrizia mentale: questa non è più la politica delle microidentità, perché i problemi sono enormi. Se la politica non riesce a rappresentarli allora li si esprime nel sociale e si chiede alla politica ciò che può fare: un no a Berlusconi e un’ amministrazione corretta». Dove sono finiti quei voti? «Sel, Idv e Grillini hanno svuotato quel serbatoio, perché tutti e tre hanno capito brandelli di realtà: Sel che paga la disponibilità alla coalizione e non l’ orgoglio della solitudine, Idv che c’ è un elettorato che interpreta in termini radicali la questione morale, i Grillini gli umori di un mondo giovanile che è un pezzo del lavoro, ormai, e che la sinistra radicale non capisce. Questa galassia a geometria variabile esprime una trasformazione profonda della politica: che non è più quella delle identità totali del partito novecentesco». Come se ne esce? «Credo che la scelta orgogliosa della separatezza abbia il destino segnato: è inutile continuare a battere la testa contro un muro, nemmeno di gomma. Te la spacchi. Quella cultura potrebbe nuotare in un bacino più ampio, lasciandosi contaminaree cercando di contaminare, accettando la convivenza di tante culture, cui questa sinistra si mostra testardamente impermeabile. Su questa strada c’ è l’ estinzione. Nel momento in cui, con la crisi destinata ad aggravarsi sarà fondamentale invece la capacità di inventarsi alternative radicali all’ esistente. Alternative che oggi non stanno nel dna di nessuno dei giocatori in campo».
Il passaggio piu’ importante dell’intervista a Revelli e’ secondo me questo:
“….. quella cultura(un area cultural-politica comunista)potrebbe nuotare in un bacino più ampio,(chiaro no? … area comunista in Sel o in quello che si potra’ costituire dopo le primarie Bersani-Vendola,al di la’ di quale sara’ il risultato)lasciandosi contaminare e cercando di contaminare,c’e’ accettando la convivenza di tante culture, cui questa sinistra si mostra testardamente impermeabile. Su questa strada c’ è l’ estinzione.”
E per favore non rispondetemi che questa cosa la stiamo facendo con la Federazione perche’ nella Federazione ci sono i socialisti o i neo-socialisti o la nuova sinistra … come diavolo li volete chiamare …. di Salvi!
Ditemi uno,un solo esponente di Socialismo 2000 che e’ stato eletto consigliere!?
Se volete continuare orgogliosamente ad andare avanti cosi’ solo perche’ non siamo al 2% (e smettetela di dire che i sondaggi ci davano all’1%!La media degli istituti era del 2%) ma nientedimeno che al 2,5% (perche’ tanto abbiamo preso nei 30 comuni capoluogo!e nel 09 li’ avevamo il 3,8%,cio’ significa che valiamo a livello nazionale il 2,2/2,3%) fatelo pure!
Io penso convintamente che ci possa essere agibilita’ politica per un area cultural-politica comunista in un contenitore che non sia piu’ “la rifondazione” (ormai esaurita e palesemente fallita!) ma ben altro!
Un “ben altro” che vorrei contribuire a costruire anche io,camminando assieme ai tanti compagni con cui ho militato per tanti anni e con cui non mi sentirei affatto un compagno di serie B!
articoli come questo fanno respirare nell’asfittico panorama politico della sinistra in cui non sappiamo fare altro che commentare i voti analizzare i flussi e farci le pulci tra di noi. Io sono iscritto al partito dei comunisti italiani ma dico che purtroppo i nostri giovani manca questa capacità di guardare oltre, di proporre pensieri strategici e anche con molta modestia di imparare dalle lotte che esistono. bravi giovani comunisti!
l’hanno pubblicato qui, insieme ad altri commenti proprio sulla Spagna!
Caro Simone,
mi sembra, in base a quello che riporti e scrivi,
che sia stata una formidabile esperienza questa
tua in Spagna.
Davvero una ventata di aria diversa che ora ha
bisogno, per non disperdersi, di permeare tutto
il terreno nazionale circostante.
Molti punti del “manifesto” degli Indignati sono
perfettamente condivisibili e trasferibili anche
qui nel nostro Bel (?) Paese.
Buona lotta y Hasta Siempre.
Grazie, caro Claudio: è esattamente così. Una ventata di aria pulita e tanti stimoli per continuare anche qui da noi.
un abbraccio e a presto,
Simone
Grazie Compagno Simone. Articolo pubblicato.
Marco Piattelli
da http://www.contropiano.org, quotidiano comunista online
Grazie Spagna, adelante compañeros
di Guido Lutrario*
Visti dall’accampamento di Puerta del Sol i risultati elettorali spagnoli producono un miscuglio contraddittorio di sensazioni e considerazioni che cercheró di dipanare con calma. L’obiettivo é quello di cogliere elementi utili per una riflessione che possa servire anche altrove, per esempio in Italia, dove i problemi e le questioni che stanno di fronte all’attivismo sono assai simili, anche se calati in un contesto che presenta le sue peculiaritá.
Madrid, 23 maggio
Primo dato contraddittorio: mentre si produce prima a Madrid, cittá tradizionalmente poco reattiva ai movimenti sociali, e poi via via in moltissime altre localitá della Spagna, l’incredibile fenomeno del movimento 15-M, con l’occupazione di centinaia di piazze, assemblee spontanee e un frenetico lavorio di costruzione di reti partecipative, la Spagna si sposta politicamente ed elettoralmente a destra. Il risultato é cosí chiaro che per una volta chi perde riconosce apertamente la sconfitta.
In queste settimane non sono mancate le occasioni nelle quali a molti tornavano alla mente i fatti del 2004, quando a seguito dell’attentato della stazione Atocha si produsse uno spontaneo movimento popolare che invase le piazze e reclamó la veritá dal governo di destra di Aznar. Quei fatti sconvolsero improvvisamente tutti i sondaggi che davano vincenti le destre nelle imminenti elezioni e portarono al governo i socialisti di Zapatero.
Due fenomeni ben distinti ma con in comune il carattere spontaneo e di massa ed il suo prodursi senza la partecipazione di alcun partito o importante organizzazione. Nei fatti di queste settimane peró c’é un dato storico in piú: il consumarsi dell’esperienza socialista e la rivendicazione di totale indipendenza da qualsiasi formazione politica da parte delle acampadas. Non ci sono bandiere nelle piazze occupate, non ci sono partiti, né si sono visti candidati. Izquierda Unida ha tentato di segnalare simpatie verso il movimento ma é stata semplicemente ignorata.
Se c’é un dato evidente e inequivocabile di questo movimento é il suo rifiuto verso i partiti e le forme tradizionali di rappresentanza e la rivendicazione di un’altra politica. La sua determinazione a rimanere in piazza durante le elezioni segnala proprio la volontá di distinguersi dalla competizione elettorale, di non sostenere alcun candidato e di non credere nella possibilitá di produrre un cambiamento attraverso le elezioni.
Il secondo dato contraddittorio é il programma delle acampadas, dove convivono insieme proposte e rivendicazioni sui temi sociali, ambientali, di genere, sull’immigrazione e la pace insieme alla rivendicazione di un cambiamento nella legge elettorale e in alcuni meccanismi della rappresentanza. La apparente contraddittorietá qui non sta nella convivenza di tanti temi, quanto nella rivendicazione di indipendenza dalle vicende elettorali insieme alla proposta di cambiarne le regole. Mi sembra una questione importante. Questo movimento non sta dicendo che le elezioni non gli interessano “in assoluto”, ma che occorre cambiare le regole del gioco che cosí come sono impediscono o bloccano sul nascere qualsiasi cambiamento; occorre promuovere nuovi soggetti perché quelli che ci sono appartengono a questa logica della rappresentanza che non funziona piú; occorre insomma rifondare la politica attraverso un sistema assembleare o consiliare, piú vicino alle persone e ai territori e piú aderente alle enormi potenzialitá di comunicazione orizzontale che si sono prodotte con la diffusione delle nuove tecnologie.
Il terzo dato contraddittorio é costituito dai risultati del paese basco, dove Bildu ha ottenuto uno straordinario successo, il migliore in assoluto in tutta la storia delle elezioni in quella regione per una formazione di sinistra vicina a quella che era Herri Batasuna. L’interpretazione plausibile sembra essere che quando si presenta una formazione politica che riesce a convincere della propria totale alteritá rispetto allo schieramento politico tradizionale allora é possibile anche il successo elettorale. E che Bildu sia qualcosa di profondamente diverso dal resto del panorama politico basco lo dimostra il fatto che fino a poche settimane dal voto tutti i grandi partiti spagnoli ne chiedevano la esclusione.
Se proviamo a mettere insieme questi elementi contraddittori per ricavarne qualche suggerimento utile anche dalle nostre parti ne viene fuori un quadro complesso ma tuttavia coerente. Gli spagnoli ci stanno dicendo che occorre rompere con la tradizionale divisione partitica destra/sinistra e non cedere al ricatto elettoralistico ma organizzarsi su un terreno radicalmente indipendente. In questo anche la vicenda basca non dice cose diverse da quelle del M-15.
Ci segnalano l’importanza di tenere insieme l’ampio spettro delle questioni cruciali che ci sono oggi in campo, senza stabilire una dominanza del tipo: il sociale prima del politico, i diritti civili primi di quelli economici, ecc. Il programma é generale anche se questo non impedirá di definire tempi diversi.
Ci dicono peró che é importante misurarsi anche con il tema delle regole politico-elettorali, contestare e provare a cambiare come funziona il sistema della rappresentanza perché é evidente che esso continua a svolgere una funzione ancora molto importante nella vita pubblica contemporanea.
E ci invitano a non essere timidi nella sperimentazione di nuove forme di organizzazione politica, caratterizzate da un alto tasso di orizzontalitá, dalla lotta alla burocratizzazione e alla costruzione degli apparati, e dal desiderio di utilizzare al meglio le nuove tecnologie della comunicazione rivalutando al tempo stesso il rapporto diretto tra uguali.
Sintetizzando: indipendenza dai partiti attuali, capacitá di segnalare la propria totale diversitá ed alteritá rispetto all’attuale quadro politico, produzione di forme innovative di partecipazione orizzontale, utilizzo democratico dei media indipendenti, programma sociale e politico di ampio respiro, messa in discussione delle regole politico-elettorali. Grazie Spagna, adelante compañeros…..
* Blocchi Precari Metropolitani