Sono giorni convulsi e l’impressione (certamente la speranza) è che tra poche settimane molte cose saranno cambiate. Al contrario di quanto sta accadendo dall’altro parte del Mediterraneo, in Italia non sono però le rivolte di piazza a cacciare il dittatore. Al contrario, sono la magistratura, le confessioni di qualche escort, le contraddizioni di potere tutte interne alla maggioranza di governo a rendere plausibile, finalmente, l’ipotesi che il governo Berlusconi non regga.
Fino ad oggi la conflittualità messa in campo dall’opposizione sociale (l’opposizione politica e parlamentare è, alla prova dei fatti, pressoché inesistente) è stata generosa ma non sufficiente. Tante piazze, da ultimo quelle di sabato per la dignità delle donne, ma non ancora la capacità di indicare congiuntamente e unitariamente un’alternativa che dal conflitto porti alle urne.
Da questo punto di vista la Cgil, l’unica vera organizzazione di massa di questo Paese, ha una responsabilità importante. Il tempo dello sciopero generale è ora, perché soltanto con lo sciopero generale si potrà coagulare tutto il dissenso alle politiche della destra e di Confindustria e solo così i sacrifici di chi già si è speso con grande generosità (a partire dai metalmeccanici) potranno essere ripagati e trasformati nel fulcro di una nuova stagione democratica, non soltanto di resistenza ma anche di controffensiva. Per questo motivo è quanto mai opportuno chiedere che la Cgil metta in calendario al più presto lo sciopero generale, dentro l’agenda di iniziative di lotta che l’hanno vista positivamente protagonista in questi mesi.
Ma la politica non può ridursi, come invece troppo spesso accade, a commentare dall’esterno i fatti sociali. Deve incidere, per ciò che ad essa immediatamente compete.
Il nostro partito e la Federazione della Sinistra da questo punto di vista devono fare di più, perché siamo drammaticamente fermi e, ancor peggio, l’impressione che diamo all’esterno è che siamo semplicemente in attesa che cadano dal cielo le elezioni politiche così da consentirci di raggranellare i contributi e i rimborsi elettorali necessari per la nostra sopravvivenza. E non c’è modo migliore per morire che tirare a campare, passando il proprio tempo ad ingegnarsi su come sopravvivere.
E allora serve una scossa. Non credo che la proposta di Nichi Vendola di un governo di scopo sia una proposta giusta. Anzi: la ritengo profondamente sbagliata. Com’era sbagliata – lo dico per onestà nel dibattito tra compagni – quando ad avanzarla era, nel gennaio 2008 e come soluzione alla crisi del governo Prodi, tutta la maggioranza di Rifondazione Comunista stretta intorno a Bertinotti e Franco Giordano. I governi tecnici allargati a destra e tutte le ipotesi che non si fondano, almeno in apparenza e nelle dichiarazioni esplicite, su schieramenti e scelte programmatiche precise sono sempre molto pericolosi. E non si capisce, in tutta franchezza, come potrebbe essere una soluzione ai problemi dell’Italia un governo con Casini e Fini che si ponga l’obiettivo di cambiare la legge elettorale. Come abbiamo più volte ripetuto, ogni governo (anche “di scopo”) si troverebbe a votare leggi finanziarie, missioni militari, a mettere mano concretamente all’architettura politica e sociale del nostro Paese. Con i gravi danni che nel caso specifico è facile prevedere.
Chiarito questo, non mi convince il fatto che il profilo pubblico di Rifondazione comunista e della Federazione della Sinistra si costruisca sempre più spesso come controcanto delle posizioni altrui. La nostra condizione di marginalità nel panorama politico italiano deve farci riflettere e ci deve fare dismettere i panni che troppo spesso ancora indossiamo dei grilli parlanti. Al contrario, con molta umiltà, partiamo da noi, facendo poche cose e semplici.
Innanzitutto stiamo nella società, nei conflitti, provando a capitalizzare un po’ di più e un po’ meglio la nostra presenza. Sarà o non sarà un problema il fatto che pur essendo nei fatti l’unico partito che è stato presente dal primo all’ultimo giorno e con un programma forte e radicale nelle mobilitazioni degli studenti e in quelle degli operai di questi mesi, non cresciamo in nessun sondaggio? E allora, forse, senza dare sempre e soltanto la colpa al sistema massmediatico (è del tutto scontato che i poteri forti vogliano oscurare una forza antagonista come al nostra), bisogna riflettere sulla nostra proiezione esterna, sulla nostra capacità di comunicare le nostre idee e la nostra presenza, su ciò che trasmettiamo, sul nostro immaginario e sul senso della nostra impresa politica.
Secondo punto: diamo una risposta di buon senso, una volta tanto, al bisogno di unità che attraversa i settori democratici della società italiana. Vendola sbaglia nell’offrirsi ad una coalizione indiscriminata ma coglie un punto vero ed è per questo, tra i tanti motivi, che è premiato nei sondaggi al punto da toccare percentuali che mai il Prc aveva raggiunto nella sua storia: si pone come il referente di sinistra di una coalizione democratica strategicamente alternativa al centro-destra. Certo, noi sappiamo che le differenze programmatiche tra noi e il Pd sono tali da mettere in forte dubbio la tenuta di una coalizione di questo tipo, ed è per questo che diciamo che non siamo disponibili ad un accordo di governo (a maggior ragione in presenza di un Pd che addirittura apre alla Lega sul federalismo!). Ma la questione di fondo rimane: o ti proponi come soggetto attivo di un’alleanza democratica (pur con tutti i distinguo del caso) oppure sei espulso dalla politica e soprattutto dai sentimenti reali della nostra gente.
Dentro questa necessità ci sta infine il novero di questioni che riguarda più direttamente noi e cioè la sinistra italiana. Sono dell’avviso che tanti anni di errori e di sconfitte non si cancellano in pochi mesi e nulla mi toglie dalla mente il fatto che non sia sufficiente un bravo leader (che pure serve) per cambiare le cose. Dal 1989 in poi gli errori compiuti dai gruppi dirigenti della sinistra italiana hanno dilapidato lo straordinario patrimonio del Pci, ponendo un macigno sopra le speranze di poter contare su di un partito di massa con grandi consensi e grande radicamento. Tuttavia, non per questo, siamo condannati a ripetere gli stessi errori e soprattutto a rimanere fermi. La cosa più sensata che si dovrebbe fare è lavorare speditamente (ciascuno per quello che può fare) per costruire un’aggregazione politica della sinistra unitaria e plurale. Un punto di riferimento per i lavoratori, uno sponda per il sindacato (che – voglio far notare – è per la prima volta nella sua storia privo di un partito di riferimento dopo la deriva ultramoderata del Pd), per i movimenti e soprattutto un soggetto nel quale i giovani possano riconoscersi e attraverso il quale possano intravedere una speranza e un futuro.
Quella generazione che ha iniziato a fare politica a Genova e quella che sta iniziando a farla nelle lotte di questi mesi e che non si rassegna a doversi parcellizzare e dividere, come già il capitale la obbliga drammaticamente a fare nella vita di tutti giorni, anche a livello politico tra partitini che non contano nulla e profeti slegati dal territorio.
Va aperta un’offensiva unitaria a sinistra che sia reale e che si metta a disposizione del nostro popolo senza preclusioni. Dentro questo processo, e non al di fuori di esso e nell’iperuranio delle ideologie astratte, deve vivere la Federazione della Sinistra (che per fortuna i dipartimenti organizzazione dei soggetti promotori hanno iniziato a radicare con il ciclo di assemblee regionali che è in corso) e l’unità tra i due partiti comunisti.
Del resto, se ci pensate, la storia di Rifondazione comunista, a partire dalla sua origine, dice esattamente questo. E perché oggi “rifondazione” non rimanga una parola vuota, un feticcio con il quale crogiolarsi nella propria inutile, dannosa ed esiziale autosufficienza, bisogna ripartire da capo. Appunto dall’idea – che tante passioni aveva mosso e che tante passioni sarebbe in grado di muovere tuttora – di una rifondazione inclusiva, come aggregazione dei comunisti e della sinistra d’alternativa. Servirebbe però meno immotivata presunzione e più senso della misura. Che è anche – lo sanno bene i comunisti – senso di responsabilità nei confronti del proprio ruolo.
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FARE COME IN TUNISIA E IN EGITTO: UNA MARCIA NAZIONALE SU PALAZZO CHIGI PER IMPORRE A BERLUSCONI LE DIMISSIONI!
Mentre le classi dirigenti del Paese scatenano una guerra sociale contro il mondo del lavoro e la giovane generazione, precipita la crisi politica e istituzionale della seconda Repubblica. Senza che le opposizioni parlamentari sappiano indicare una via d’uscita positiva per le ragioni dei lavoratori, dei giovani, delle donne.
Il governo Berlusconi cerca di sopravvivere alla propria crisi accentuando tutti i suoi aspetti più reazionari: le pose bonapartiste del Capo, il disprezzo delle formalità democratiche, la corruzione più sfrontata dei parlamentari, sullo sfondo della prostituzione di regime. Mentre Confindustria ottiene il sostegno alle peggiori misure contro i lavoratori, la scuola pubblica , i diritti sindacali. E il Vaticano incassa ulteriori regalie in cambio dell’ assoluzione del Sultano e dei suoi “peccati”.
A loro volta le opposizioni parlamentari appaiono paralizzate dalla propria crisi e dal proprio stesso disegno: volendo rimpiazzare Berlusconi con un governo affidabile per gli industriali, i banchieri, i vescovi, non possono mobilitare contro Berlusconi le energie dei lavoratori e delle masse. Per questo si oppongono ad ogni sciopero generale, e progettano grandi alleanze trasformiste estese addirittura a partiti clericali, a settori della destra, eventualmente persino alla Lega.
Il risultato è che Berlusconi resta in sella, col rischio di un ulteriore slittamento reazionario dell’intero quadro politico e sociale.
E’ necessaria una svolta. Sono i lavoratori e le grandi masse popolari che possono porre fine al governo Berlusconi aprendo la via di una vera alternativa.
In questi mesi nelle strade e nelle piazze di tutta Italia- seppur in modo discontinuo- si è manifestata un’opposizione di massa. Le mobilitazioni dei metalmeccanici e della Fiom ad Ottobre e a Gennaio. Le lotte degli studenti a Dicembre. Le manifestazioni delle donne il 13 Febbraio, hanno rivelato, in forme diverse, un potenziale enorme di ribellione. Questo potenziale non deve essere disperso, né subordinato alle manovre di palazzo. E’ giunto il momento di unificarlo in una grande azione di massa, di carattere straordinario, capace di imporre una svolta:
UNA GRANDE MARCIA NAZIONALE DI LAVORATORI, GIOVANI, DONNE, SU PALAZZO CHIGI, CON L’ASSEDIO PROLUNGATO E DI MASSA DEI PALAZZI DEL POTERE, SINO ALLA CADUTA DEL GOVERNO.
Le sollevazioni popolari di Tunisia ed Egitto hanno dimostrato una volta di più che la forza delle grandi masse è capace di rovesciare in poche settimane regimi trentennali: sbaragliando la loro reazione, dividendo sul campo le loro forze, costringendoli infine alla resa. Il governo Berlusconi, tanto più oggi, non è certo più forte del regime di Ben Alì o di Mubarak. I lavoratori, i giovani, le donne del nostro Paese- se uniti- non sono certo più deboli dei lavoratori e dei giovani di Tunisia ed Egitto.
E’ il momento di rompere il muro dello scetticismo o della rassegnazione. E’ il momento di uscire dalla logica delle pure manifestazioni di denuncia e di propaganda. E’ il momento di fare come in Tunisia e in Egitto. Persino costituzioni liberali riconoscono il diritto popolare alla sollevazione contro governi corrotti e reazionari. Nulla è più democratico che rovesciare un governo basato sulla menzogna e sulla corruzione.
Non serve chiedere a Berlusconi le dimissioni. Occorre imporgliele. Per questo ci rivolgiamo a tutte le sinistre, politiche, sindacali, di movimento; a tutte le forze dell’associazionismo democratico; a tutte le strutture popolari impegnate quotidianamente nella battaglia sociale e democratica , per promuovere insieme la marcia nazionale sul governo e aprire dal basso una pagina nuova: che rimuova finalmente le classi dirigenti del Paese.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
15/2/11
sel comincia a scricchiolare… leggete alfonso gianni…
Caro Vendola, fino a Fini non ti seguo
Alfonso Gianni, 17 febbraio 2011, 20:37
Dibattito La proposta lanciata da Nichi Vendola di una coalizione di emergenza democratica, dalla sinistra di Sel alla nuova destra di Fini, ha indubbiamente il merito di smuovere le acque di un dibattito che si era fatto ormai stantio sul tema primarie sì, primarie no. Il guaio è che quella proposta rischia di incontrare più ostacoli di quanti non ne voglia sormontare
Non si tratta della riproposizione, che sarebbe fuori tempo massimo, benché ragionevole, di un governo di “decantazione” per condurre il paese a elezioni sulla base di una nuova legge elettorale. Qui è esplicitamente previsto un passaggio elettorale auspicato come immediato sulla base della legge vigente. Mi pare però difficile andare a chiedere un voto ai cittadini con l’esplicita previsione di farli tornare a votare di lì a pochi mesi. La coalizione proposta da Vendola dovrebbe reggersi su tre punti programmatici: una nuova legge elettorale, nuove norme in materia di conflitto di interessi e sul sistema informativo. E’ chiaro che è il primo punto a definire la natura del governo e la sua durata, poiché, fatta la nuova legge, sarebbe naturale fare conseguire l’immediato scioglimento delle camere. Per fare questo – e questo valeva anche nel caso di un governo nato dall’attuale parlamento – bisognerebbe che tra le forze della coalizione ci fosse una credibile unità di intenti sulla legge da fare, che compete al futuro parlamento non certo a un decreto legge del governo. Di questa condizione non vi è traccia.
Limitandoci al campo del centrosinistra vi è chi propone il modello tedesco, chi quello francese, chi un pasticcio degno delle gag televisive di Corrado Guzzanti. Se ci allarghiamo a destra la confusione aumenta. Comprendo bene che la proposta di Vendola – che è legata anche al nome di Rosi Bindi, talmente degno che vorrei più ancora diventasse la prima Presidente donna della Repubblica – vuole restringere il campo d’azione del futuro governo a questioni di risanamento democratico e nel contempo tamponare le inopinate aperture di credito ai leghisti fatte da Bersani.
Ho paura si tratti di una illusione. Qualunque governo non può fare a meno di affrontare temi economici, nella più grande crisi da ottanta anni a questa parte, se non altro per l’incombenza della legge finanziaria. Il fatto che questi siano largamente sovra determinati dal nuovo patto di stabilità definito in sede Ue, non assolve le responsabilità politiche dei governi nazionali in carica. Come sappiamo è già difficile trovare una quadra su questi temi nel centrosinistra, figuriamoci con i seguaci di Fini e di Casini, tra i quali abbondano i protagonisti diretti e i sostenitori attivi dei tagli alla spesa sociale, dalla privatizzazione dell’acqua allo scempio della scuola pubblica.
C’è poi da dubitare che l’antiberlusconismo in quanto tale, seppure in versione virtuosa, risulti vincente in una competizione elettorale con le norme attuali, visto che molto si gioca sugli indecisi e sugli astensionisti. Questi ultimi, a destra quanto forse soprattutto a sinistra, cercano per rimotivarsi ben altri stimoli che non soluzioni presentate come puramente transitorie. Un passaggio elettorale mette sempre in gioco il profilo identitario delle forze in esso impegnate e guai a nasconderlo. Per questo continuo a pensare che non esistono scorciatoie né alternative al centrosinistra , di cui dobbiamo discutere non solo modalità delle primarie, ma soprattutto punti qualificanti di un programma credibile, e che la condizione migliore per sconfiggere Berlusconi sia la presenza elettoralmente autonoma di un terzo polo della destra moderata. Conosco bene i rischi di una simile competizione, ma chi vuole coltivare pensieri lunghi sulla società italiana, sulla sua necessaria rinascita dal degrado civile e economico nel quale è piombata – come ci hanno detto le straordinarie manifestazioni delle donne e non solo dello scorso sabato – non può limitarsi a improbabili tattiche. Oltretutto con l’effetto collaterale di spiazzare se stessi anziché gli avversari.
*Articolo pubblicato da il Riformista
Compagni, la questione a me pare assai più complessa di quanto quel che gli eventi contingenti ci mostrano con una velocità quasi impercettibile. Invito però tutti noi a riflettere su possibili scenari di un futuro magari anche più vicino di quanto non crediamo. SeL è un partito berlusconiano, nel senso stretto del termine: centrato TOTALMENTE su un solo, indiscusso leader che appare in TV. Partito di opinione. Niente di più. Con poche idee vincenti che parlano alla pancia della gente. Con il nome del leader scritto sul simbolo, alla pari di Lega, PdL, IdV, UdC, Fli. Non è un partito di ispirazione comunista (viene da ridere solo a pensarlo), nè socialista. Neanche un partito sinceramente socialdemocratico, perchè s limita a mescolare elementi di sinistra “radicale”(peraltro edulcorati ad un tasso glicemico tale che ne risultano vanificate le reali potenzialità) ai buoni sani valori cristiani, quelli del cattolicesimo “buono”, non berlusconiano, che in realtà è ugualmente funzionale alla strategia del mantenimento dello status quo borghese. Non mi sembra di intravedervi, anche tra le righe, alcuna analisi di socialismo liberale tipica di un partito socialdemocratico moderno. Dunque che cos’è SeL? E’ un contenitore di voti adeguato per il periodo che stiamo vivendo, specie in Italia, dove una politica nuda, spogliata di qualsiasi riflessione che dico filosofico-politica (non sia mai!), ma anche semplicemente pragmatico-politica, è assente. Pensiamo al congresso del Labour Party inglese, alla linea socialdemocratica di Milliband, allo scontro anche duro all’interno di quel partito, per ripensare la crisi interna al partito stesso. E il Labour, mi risulta, non è un partito comunista. Ciononostante un partito di quelle dimensioni, nell’Europa del XXI secolo, apre un dibattito interno forte per ripensarsi. Quel che voglio dire, compagni, è che per chi come noi è abituato al dibattito, alla puntualizzazione teorica della prassi politica, alla politica che cerca DAVVERO di incidere nella realtà per cambiare lo stato di cose presenti, questi giorni non possono segnare una sensibile presa sull’elettorato. Non credo che SeL arrivi a 48.000 iscritti, per me sono molti meno, ma al pari dei cosiddetti partiti odierni (dal PdL all’UdC), non sono le tessere che Vendola cerca, sono i voti. Di opinione. Il PD si è messo su quello stesso versante. Tutti, ormai, tranne i comunisti in ogni piccolo angolo in cui riesci ancora a scovarli, sono su quel versante. Che è un versante borghese. Ma con Gramsci sul comodino, io penso, o almeno spero, che il tempo per la prassi politica vera, non delle chiacchiere e della realtà virtuale televisiva, stia tornando. Nelle fabbriche, nelle scuole, nei call center, nelle tasche dei disoccupati o di quelli dal salario di 700 euro al mese. Nel proletariato moderno, contemporaneo. Che non si esprime quasi mai con le bellissime “parabole” vendoliane, dalla sintassi miracolosa. Cerchiamo l’unità di quanti ancora stanno sul nostro versante. Tutti. Ha ragione chi dice che ci vuole il massimo dell’unità di tutte le “sinistre” sparse in Italia e sul web. Un unico partito, un’unica forza. Che proponga con tenacia ciò che siamo abituati a proporre. Finirà l’ubriacatura dalle belle parole. E allora conteranno i fatti
condivido quasi completamente quello che dici ma attenzione a una cosa: SEL è stata strutturata da Vendola intorno a sé ma non ce l’ha fatta fino in fondo.
Se vedi le prese di posizione di questi giorni (da Bandoli ad Alfonso Gianni, qui riportate tra l’altro) capisci che è un partito anche quello, fatto da un gruppo dirigente per nulla monolitico e con tante contraddizioni al suo interno e tante teste che non rispondono tutte a Vendola.
Per me questo fatto è positivo perché vuol dire che SEL ha al suo interno un dibattito che peserà, e molto, quando Vendola ritornerà sulla terra. e ci tornerà eccome quando sbatterà la testa (adesso non propone più le primarie, chissà come mai!!)
No, Francesco, non mi distrai dal pane a 1 euro o dal commento a Vendola. Soltanto permettimi di ricordarti che non sei l’unico sulla faccia della terra che si interroga su questi temi.
Torniamo al merito. Nessun dubbio o, peggio ancora, “sospetto”.
Brancaccio, legittimamente, avanza la sua ipotesi che è, come hai ricordato, quella di “bloccare i capitali” difendendo le economie nazionali virtuose. Il keynesismo di Roosevelt – per non andare lontani – contemperava l’abbattimento dei dazi (perché il protezionismo dei primissimi anni Trenta non aveva fatto altro che peggiorare la crisi del ’29) con politiche di difesa (protezione) della produzione pubblica nazionale (per esempio nelle commesse per i prodotti finiti contemplati nei piani di sviluppo).
Per fortuna la storia economica (e le ipotesi che possiamo mettere in campo) non sono sistemi astratti manichei.
Per questo motivo posso sostenere che sono contrario al liberismo sfrenato (che anch’esso, come modello astratto, non è mai stato applicato integralmente) e al protezionismo.
La proposta di Brancaccio è una proposta senz’altro interessante. Io propendo per un modello diverso, per politiche di piano nazionali e internazionali, anche a livello macroregionale.
Quanto alla domanda sui governi socialisti e le politiche protezioniste, perdonami ma è un po’ ingenua. Quando mai si è realizzata un’esperienza socialista che non ha dovuto fare i conti con la concorrenza e l’ostracismo esplicito di realtà statuali ed economie forti e alternative? Che alternativa aveva l’Urss al Comecon nel 1949?
Mi fermo qui anch’io, per adesso. Ma andiamo pure avanti.
Saluti comunisti
Liberoscambista Roosvelt? ma cosa dici! è già improprio definirlo keynesiano, visto che insisteva sul bilancio in pareggio nonostante le lettere accorate di Keynes.
Compagno, qui non c’è niente di astratto o di manicheo. Al contrario c’è da conoscere la storia per cercare di non andare a sbattere domani.
A proposito del domani, Brancaccio chiude l’intervista con una domanda: se parte un attacco speculativo contro i titoli italiani, la sinistra cosa farà? e tu cosa farai? proporrai il ‘modello di una politica di piano internazionale’?
Con l’attacco speculativo del 1992 ci hanno devastati! E pochi mesi fa hanno messo in ginocchio i lavoratori greci. Il partito comunista greco ha le idee chiare sul da farsi ed è vivo e vegeto. E invece qui tu sei addirittura circospetto sulla ovvia proposta di controllo dei movimenti di capitale. Poi ci meravigliamo che si va avanti a pane e Vendola. Dobbiamo solo sperare che la speculazione ci risparmi.
Saluti comunisti
Ma dove ho scritto che Roosevelt era liberoscambista?
Perché continui ad interloquire attribuendomi concetti che non ho espresso e, soprattutto, estremizzando ogni ragionamento?
La storia è complessa e – te lo ripeto per la seconda volta – non sei l’unico che la conosce.
R. non fa soltanto il “Buy American Act” (in cui, come ti scrivevo, impone per le commesse pubbliche il vincolo della nazionalità) ma abbassa i dazi (1933) e, per sostenere le esportazioni, svaluta il dollaro. Addirittura abroga la legge Smoot-Hawely che, se non sbaglio, è del 1930.
Non proprio una politica protezionistica.
A proposito del domani. Sai cosa fece Roosevelt per evitare il ripetersi di speculazioni borsistiche? Mise sotto controllo il sistema bancario e le grandi corporations. Una cosa non molto diversa da quella che dovremmo fare noi. Poi siamo sempre in tempo a chiedere ai compagni greci (con i quali, credimi, le frequentazioni sono ottime e abbondanti) di scriverci il programma elettorale.
Compagno, non intendo insegnare la Storia a nessuno ma se vedo incertezza sul da farsi mi preoccupo e critico. Libero poi tu di dirmi che il problema del ‘comunismo liberoscambista’ non esiste. Secondo me esiste eccome. Non credo che tu sia tra quelli che Brancaccio critica ma già il tuo titubare su cose logiche come il blocco della speculazione e il controllo dei movimenti di capitale mi fa pensare che in generale Brancaccio ci abbia pienamente azzeccato.
Per il resto, attento: la svalutazione E’ la prima politica protezionista in assoluto, quella più rapida, che viene fatta al primo accenno di crisi visto che induce una sostituzione delle importazioni con merci nazionali. Non per caso il WTO contempla le svalutazioni competitive tra le pratiche protezioniste.
I greci che ci scrivono il programma? non male. Pensateci…
Saluti comunisti e buonanotte
Consiglio la lettura di questo saggio, non mi pare che propenda per il prendere parte nella disputa tra libero scambisti di sinistra e protezionisti. Dice di criticare i primi, ma non per abbracciare tout court la seconda impostazione, Mi sembra.
http://www.emilianobrancaccio.it
PER UNA CRITICA DEL
“LIBEROSCAMBISMO” DI SINISTRA
di Emiliano Brancaccio
La straordinaria prova di resistenza degli operai FIAT va sostenuta con iniziative politiche.
Occorre incunearsi nello scontro interno agli assetti del capitale, tra liberoscambisti e
protezionisti. Se non si mette in discussione l’indiscriminata apertura globale dei mercati, se
non si pongono argini alle fughe di capitale e alle delocalizzazioni industriali, la “guerra
mondiale tra lavoratori” proseguirà indisturbata e ben difficilmente verranno a crearsi le
condizioni per un rilancio del movimento operaio, nazionale e internazionale.
Le straordinarie prove di resistenza operaia in occasione dei referendum di Pomigliano e di
Mirafiori hanno determinato una inattesa battuta d’arresto per Marchionne e per coloro i quali
stanno scommettendo sulla cancellazione definitiva degli ultimi scampoli di movimento
operaio esistenti nel nostro paese. Per il futuro tuttavia non c’è da illudersi. Nel tempo della
crisi e in condizioni di piena apertura dei mercati e di libera circolazione dei capitali, le
pressioni sui lavoratori sono destinate ad aumentare. Pensare quindi di respingere gli attacchi
prossimi venturi affidandosi ancora una volta al solo coraggio operaio e alle connesse
iniziative sindacali, è del tutto illusorio.
Il punto da comprendere è che più intensamente di altri fattori la globalizzazione dei
mercati sta abbattendo la forza rivendicativa, politica e sindacale, dei lavoratori. Numerosi
studi del Fondo Monetario Internazionale, dell’OCSE, della Commissione Europea, segnalano
da tempo l’esistenza di una correlazione tra l’apertura dei vari paesi ai movimenti
internazionali di capitali, di merci e in parte anche di persone, e il corrispondente declino
degli indici di protezione dei lavoratori, della quota salari sul reddito nazionale e dei livelli di
protezione sociale. I dati segnalano che la globalizzazione dei mercati indebolisce i lavoratori
in tutte le fasi del ciclo capitalistico, sia nel boom che nella recessione. Tuttavia, quando si
attraversa una crisi, la piena apertura dei mercati può condurre a una vera capitolazione delle
rappresentanze del lavoro e a un conseguente, precipitoso declino delle tutele normative e
sindacali e della quota di prodotto sociale destinato ai lavoratori.
Queste statistiche non fanno che confermare quel che già si evince dalla cronaca
quotidiana. Il caso FIAT è emblematico in tal senso. In tutti questi mesi Marchionne ha
insistito sul fatto che può ottenere a Detroit o in Serbia un valore del prodotto per ora di
lavoro decisamente maggiore rispetto ai più modesti rendimenti degli impianti di Pomigliano
o di Mirafiori (il differenziale, si badi, è reale: esso non dipende dal grado di utilizzo della
capacità ma al contrario lo determina). Per questo motivo egli si è detto pronto a spostare le
unità produttive all’estero a meno che in Italia non si affermi un nuovo modello di relazioni
industriali, fondato sul recesso dai contratti nazionali, sulla eliminazione delle ultime sacche
di resistenza sindacale e sulla conseguente possibilità di imprimere un’accelerazione al
prodotto per unità di lavoro. Naturalmente Marchionne non è il solo ad adottare questa
strategia. La minaccia continua delle delocalizzazioni è un elemento costitutivo dell’attuale
regime di accumulazione del capitale. Essa non a caso scuote le relazioni industriali in
moltissimi paesi. La libertà di spostamento dei capitali oltretutto non agisce solo sui salari
diretti o sulle condizioni di lavoro, ma anche sul welfare. Basti pensare agli effetti
dell’apertura dei mercati sulla concorrenza fiscale tra paesi, e sulla conseguente crisi di
finanziamento dello stato sociale. Questo tipo di concorrenza non viene praticata dai soli
paradisi fiscali. Molti paesi ricchi la sostengono apertamente: per evitare le fughe di capitale
all’estero si elargiscono sussidi alle imprese e sgravi ai possessori di ingenti ricchezze, e si
recupera poi tramite i consueti tagli agli investimenti pubblici e alla spesa sociale.
I dati ci dicono insomma che siamo al cospetto di un dumping salariale e fiscale senza
limiti, che da tempo alimenta una guerra mondiale tra lavoratori e che ha trovato nella crisi
uno spaventoso fattore di accelerazione. E’ bene chiarire che si tratta di un dumping
trasversale, che mette in competizione gli stessi paesi avanzati tra loro e che non può essere
sintetizzato nella sola corsa al ribasso tra lavoratori dei paesi ricchi e lavoratori dei paesi
poveri. Il caso tedesco è in questo senso emblematico. La minaccia di trasferire interi
spezzoni di produzione all’estero ha contribuito a rendere la Germania un motore del dumping
salariale europeo, con un divario tra produttività del lavoro e retribuzioni tra i più alti del
mondo. Ma anche dagli Stati Uniti emergono oggi chiari segnali di compressione salariale e di
eliminazione delle già risibili tutele del lavoro esistenti. Basti ricordare che i sussidi del
governo federale americano e l’abbattimento del costo del lavoro in Chrysler hanno
fortemente contribuito allo spostamento dell’asse strategico di FIAT verso gli Stati Uniti.
Tutto ciò sta ad indicare che il dumping salariale e fiscale può partire anche dai paesi più
avanzati del mondo.
Di fronte a tali evidenze è curioso che soltanto il movimento di Seattle, pur tra mille
contraddizioni e ingenuità, si sia posto in questi anni il problema di trarre un abbozzo di
critica della globalizzazione. Al contrario tra gli eredi della tradizione del movimento operaio
sembra prevalere da tempo una sorta di liberoscambismo acritico, talvolta addirittura
apologetico. Dopo il crollo dell’URSS questa posizione ha caratterizzato in Europa soprattutto
i socialisti, ma ha pure interessato frange della sinistra alternativa, delle aree di movimento e
degli stessi partiti comunisti (in Italia la svolta liberoscambista avvenne anche prima,
probabilmente in concomitanza con le conclusioni di Napolitano al convegno sul
protezionismo ospitato nel 1976 da Rinascita). Le cause di questa sudditanza verso il dogma
liberista della totale apertura dei mercati sono tante, di ordine sia teorico che pratico: da una
lettura ingenua del Marx del 1848 alla incapacità di sottrarsi a un compromesso sempre più al
ribasso con quel capitalismo finanziario che in questi anni ha più tenacemente sostenuto il
paradigma del libero scambio. Non ho qui lo spazio per approfondire le determinanti di un
simile orientamento. Mi limito a evidenziarne le conseguenze: oggigiorno troviamo esponenti
della sinistra, persino della sinistra cosiddetta “radicale”, che in maniera ormai istintiva, preanalitica,
etichettano il protezionismo e persino il controllo dei movimenti di capitale come
politiche “nazionaliste”, “reazionarie” e “di destra”. Questi “comunisti liberoscambisti”, come
talvolta provocatoriamente li ho definiti, alimentano un equivoco colossale che stiamo
pagando carissimo, poiché esso ci sta impedendo di delineare un autonomo punto di vista del
lavoro nello scontro interno agli assetti del capitale, tra fautori del protezionismo e difensori
del libero scambio. Eppure si tratta di uno scontro che è pienamente in corso e che sta
cambiando i meccanismi dell’accumulazione capitalistica, come dimostrano i numeri: uno
studio della Commissione Europea ha contato ben 332 nuove misure protezionistiche
intraprese negli ultimi due anni un po’ in tutto il mondo tranne che in Europa, guarda caso!
Questo conflitto durerà a lungo ed è destinato a mutare gli assetti della divisione
internazionale del lavoro. Di ciò si sono accorti un po’ tutti: i movimenti neo-nazionalisti, così
come le leghe. Al contrario i socialisti e i comunisti, e più in generale gli eredi delle
tradizionali rappresentanze politiche e sindacali del lavoro, appaiono su questo tema silenti,
estraniati dal dibattito. Basti notare, a questo riguardo, che mentre le destre prosperano da
anni sulla spregiudicata disponibilità ad “arrestare gli immigrati”, mai nessuna voce a sinistra
si è levata per proporre di “arrestare i capitali”, vale a dire per riprendere e aggiornare la
politica di controllo dei movimenti internazionali di capitale largamente praticata nel corso
del Novecento. Ma è forse ancora una volta la vicenda FIAT che appare più sintomatica della
crisi delle sinistre al cospetto della globalizzazione. Alcuni intellettuali e politici hanno
etichettato Marchionne come “cattivo manager”, che investe poco e punta solo ad abbattere il
costo del lavoro. C’è del vero in queste accuse, ma bisogna rendersi conto che esse risultano
del tutto insufficienti e per molti versi superficiali. In un certo senso potremmo considerarle
simmetriche all’affrettato elogio del “capitalista buono” che gli veniva rivolto non moltissimo
tempo fa. La verità è che Marchionne non è né buono né cattivo: egli è solo una equazione, è
una mera funzione del meccanismo di riproduzione del capitale. Finché gli sarà concesso, egli
minaccerà sempre di effettuare investimenti lì dove le opportunità di sfruttamento del lavoro e
i relativi profitti sono maggiori. Anzi, data la storica posizione di debolezza della FIAT nel
risiko in atto da tempo all’interno del settore automobilistico, non c’è da meravigliarsi se la
strategia di Marchionne sia così rozza e si scarichi in modo così brutale sulle condizioni dei
lavoratori.
Il problema quindi non può risolversi semplicemente giudicando il manager, ma va
posto in termini politici. Nel luglio 2010, quando Marchionne ha fatto della minaccia di
delocalizzazione la sua arma “di ultima istanza” nel confronto che si accingeva ad aprire con
il sindacato, Berlusconi lo ha repentinamente appoggiato sostenendo che «in una libera
economia e in un libero Stato, un gruppo industriale è libero di collocare dove è più
conveniente la propria produzione». E in prossimità del referendum di Mirafiori, Berlusconi
ha aggiunto che se Marchionne non avesse ottenuto dai lavoratori la flessibilità che chiedeva,
la FIAT avrebbe fatto bene a spostarsi in altri paesi. Ebbene, è sintomatico di una profonda
debolezza strategica che in tanti abbiano manifestato indignazione e sconcerto per le parole
del Premier ma nessuna forza politica abbia indicato una chiara alternativa alla sua netta presa
di posizione. Nessuno, per esempio, ha affermato che “un gruppo industriale NON deve più
esser lasciato libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione”.
Tra l’altro, la questione dell’apertura dei mercati non attiene solo ai movimenti di
capitale fisico e alla connessa localizzazione degli impianti industriali. Il problema è di ordine
generale, e quindi riguarda tutti i tipi di movimenti di capitale, a partire da quelli finanziari.
Questi, come è noto, hanno prodotto in varie circostanze veri e propri stravolgimenti nei
rapporti di forza interni ai paesi che li subivano. L’Italia, in particolare, è stata più volte
bersaglio delle fughe di capitale e in futuro rischia di esserlo nuovamente. Mi permetto a
questo proposito di rivolgere una sommessa domanda a Bersani, Vendola, Diliberto, Ferrero,
Camusso, Landini, e agli altri leader eredi più o meno diretti della tradizione del movimento
operaio: se nei prossimi mesi dovesse partire un attacco speculativo contro i titoli italiani,
quale sarebbe la proposta politica delle forze di sinistra? Si adeguerebbero alla prassi finora
prevalente in Europa, basata su strette di bilancio, abbattimento ulteriore dei salari e dei diritti
e massicce privatizzazioni in cambio di liquidità a breve? Accetterebbero in altri termini di
subire passivamente gli effetti di una versione ancor più feroce della crisi valutaria del 1992?
O sarebbero piuttosto in grado di evidenziare che l’assetto rigidamente liberoscambista della
Unione monetaria europea è palesemente insostenibile, e che dunque non si può restare al suo
interno senza un profondo mutamento del medesimo? Spero che a questo interrogativo non si
debba mai rispondere. Ma semmai venisse il tempo, sarebbe bene non trovarsi impreparati.
E’ possibile individuare una proposta che consenta di elaborare un autonomo punto di
vista del lavoro nello scontro interno agli assetti del capitale, tra liberoscambisti e
protezionisti? E’ ancora possibile colmare l’enorme ritardo delle sinistre di fronte alla
possibilità di incunearsi nella crisi dei rapporti intercapitalistici globali? La Storia ci insegna
che varie opzioni sono state praticate in passato e possono essere in ogni momento riprese,
aggiornate e sviluppate nella direzione di una esplicita tutela degli interessi del lavoro: si
possono elevare argini contro le fughe speculative di capitale e le delocalizzazioni industriali
e si possono vincolare i movimenti internazionali di capitali e di merci al fatto che i vari paesi
rispettino un comune “standard del lavoro”. Ma prima di approfondire le questioni tecniche
occorre che maturi una consapevolezza politica: se non si sottopone a critica il
“liberoscambismo di sinistra” di questi anni, se non si mette in discussione l’indiscriminata
apertura globale dei mercati, la “guerra mondiale tra lavoratori” proseguirà indisturbata e ben
difficilmente verranno a crearsi le condizioni per un rilancio del movimento operaio,
nazionale e internazionale.
Consiglio di andare sul sito di SEL, sta scoppiando un gran casino.
Questo è il messaggio di fulvia bandoli, non dell’ultima arrivata, ma c’è una vera e propria rivolta contro Vendola per le sue parole improvvide sull’apertura a Fini… e voi, che dite?
per fortuna che dice di no Fini…a questo siamo arrivati… e se diceva di si noi che facevamo? leggendo l’intervista di vendola di stamattina a repubblica si capiva che noi eravamo come sel disposti anche a considerare una alleanza elettorale anche con Fini e tutti gli altri se dava vita ad un governo transitorio. Proposta che io non condivido e che sono felice sia caduta.Ma che sarei stat più felice se non fosse stata avanat da nessuno di noi, perchè la confusione è tanta e nn serve alimentarla.
16 febbraio 2011 – 15:50
So che sei sensibile all’argomento… guardati dai tuoi compagni di viaggio…
Stalinista e antisemita, l’amico siriano di Diliberto
Giovedì 17 Febbraio 2011 11:50 redazione
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Nei giorni scorsi avevo postato qui questa breve nota:
“Leggo sul bollettino online del PdCI che il segretario del PC Siriano è in visita in Italia e si è incontrato con Diliberto, il quale ricorda gli stretti legami fra i due partiti. Ammar Bagdache, da poco eletto segretario, è il figlio di Khaled Bagdache, per molti anni leader del partito. Alla sua morte era subentrata la vedova di Bagdache, Wissal Farha Bagdash, che ora ha lasciato il posto al figlio. Fra i vari gruppi in cui è diviso il comunismo siriano questo è il più stalinista. Bagdache aveva anche pubblicato qualche anno fa un lungo testo antisemita nel quale accusava gli ebrei di essere responsabili del crollo dell’Unione Sovietica. Il testo pubblicato da Solidnet è ora scomparso dal sito gestito dal PC Greco.
Ripresa e pubblicata da qualcuno sul blog di Claudio Grassi, ha ricevuto questa risposta da un anonimo lettore:
“Calunnie vergognose, quelle del solito Ferrari. Questo dimostra di che pasta sono fatti alcuni “rifondaroli”. Mentitori spudorati. Senza ritegno.”
Ho provato a convincere inutilmente l’Anonimo che mi ero limitato a riportare dei fatti verificabili, ma la “discussione” si è protratta senza intaccare le sue granitiche certezze. Ora quando ho scritto quel breve appunto non avevo intenzione di aprire una polemica, ma alla luce della reazione mi rendo conto di aver toccato un nervo scoperto e che forse può essere utile approfondire la questione.
Tornerò in una nota successiva su un esame più complessivo del comunismo siriano e delle sue diverse tendenze. Per estrema sintesi dirò che il Partito Comunista Siriano, del quale è segretario generale Ammar Bagdache (esiste un altro Partito Comunista e diversi gruppi minori), col quale il PdCI intrattiene – cito – dal loro bollettino, da tempo “rapporti sinceri e fraterni”, si caratterizza per alcuni elementi peculiari.
1) Essere l’unico partito comunista al mondo, almeno a mia conoscenza, ad essere stato guidato dal 1936 ad oggi da una sola famiglia: padre, madre e figlio. Fino al 1995, il segretario generale è stato Khaled Bagdache. Alla sua morte è subentrata la vedova Wisal Farha Bagdache. Nell’ultimo congresso, alla fine del 2010, la vedova è stata eletta presidente, mentre il figlio Ammar è diventato segretario generale. Questa gestione autoritaria del partito ha provocato numerose scissioni ed è stata una delle ragioni anche se non l’unica della divisione e dispersione di cui soffre il comunismo siriano.
2) Rivendicare apertamente la difesa di Stalin e la condanna del XX° Congresso. Tornerò su questo in una nota successiva basandomi su vari documenti e sul principale e più autorevole volume dedicato alla storia del comunismo siriano e libanese: “The Communist Movement in Syria and Lebanon”, di Tareq Y. Ismael e Jacqueline S. Ismael (University Press of Florida, 1998). Mi limito qui ad una citazione dal resoconto ufficiale sull’ultimo congresso disponibile in inglese sul sito del Partito: “La sala della Conferenza era decorata con slogans internazionalisti, patriottici e di classe e con ritratti dei leaders del movimento rivoluzionario mondiale Marx, Engels, Lenin e Stalin.” Non si tratta di un semplice residuo simbolico ma di una precisa e “coerente” connotazione ideologica. Al Congresso era presente un rappresentante del PdCI, assieme a pochi altri partiti europei.
3) Un atteggiamento ideologico molto settario nell’ambito dei Partiti Comunisti del Medio Oriente. Qualche mese fa Bagdache ha pubblicato (e fatto tradurre in inglese) un lungo articolo polemico contro il segretario del Partito Comunista Libanese. Quest’ultimo aveva sostenuto la necessità di unire le forze della sinistra araba. Il Segretario del PC Siriano contesta l’obbiettivo dell’unità della sinistra: “La vaga proposta circa l’alternativa di sinistra, nasconde qualcos’altro, ovvero un’alternativa di sinistra al movimento comunista armato della teoria del marxismo-leninismo”. Nell’ambito dei partiti comunisti è tra quelli schierati su una linea nostalgica ed ultra-conservatrice, molto rumorosa soprattutto su internet, ma al momento ancora minoritaria.
4) La diffusione internazionale di testi che sostengono argomenti antisemiti. Comprendo che questa è un’accusa grave. Peccato che sia del tutto corrispondente al vero. Il testo, scritto da Ammar Bagdache, originariamente pubblicato sul numero 1281 del 15 maggio 1998 della rivista araba al-Hadaf è stato tradotto in inglese a cura dello stesso partito e postato sul sito Solidnet, gestito del Partito Comunista Greco, il 10.08.2006. Dispongo della copia cartacea dell’articolo. Il testo non è più disponibile su Solidnet da quando il sito è stato ristrutturato, ma un’ampia parte di esso è ripreso su un portale indipendente degli Stati Uniti, ed esistono commenti e citazioni in altri siti web:
http://portland.indymedia.org/en/2003/12/275728.shtml
Si tratta di una lunga elucubrazione nella quale si attribuisce ad una cospirazione “sionista” (ma qui sionista coincide espressamente con ebraica) il crollo del’Unione Sovietica.
Per far comprendere il tenore del testo cito solo qualche frase, ma in una successiva nota lo riporterò più estesamente (anche nel testo inglese, per coloro che possano avere sospetti sulla traduzione):
“E’ noto che nei principali partiti socialdemocratici, cioè a dire in quelli europei, è impossibile per una persona raggiungere un ruolo preminente senza avere stretti legami con il sionismo o la massoneria, che sono in pratica la stessa cosa”.(…)
“Deve essere sottolineato che oltre a fare principale affidamento sugli elementi sionisti di origine ebraica, i centri anti-socialisti facevano uso (ndr, in URSS e nei paesi ex-socialisti) di organizzazioni estremamente segrete per creare una rete che non fosse amplia in termini numerici ma che avesse grande influenza e che venne successivamente battezzata come “agenti d’influenza”. In quel contesto grande affidamento fatto su piccole organizzazioni massoniche. L’obbiettivo di queste organizzazioni non era una larga propaganda finalizzata a conquistare il popolo, ma di reclutare agenti preparati a scalare i ranghi dell’autorità nell’apparato socialista. Per assicurarsi la fedeltà di questi elementi essi erano fatti regolarmente sposare a donne ebree. Non è un caso che le mogli sia di Mikhail Gorbachyov che di Boris Yeltsin fossero ebree. ”
Ammar cita una frase del padre Khaled che pure questa la dice lunga sul “vizietto” di famiglia: “Il sionismo non può perdonare a Stalin di avere sconfitto il trotskismo, così come l’imperialismo non può perdonargli la sconfitta dell’hitlerismo”.
Il testo è una lunga di lista di politici ebrei (o presunti tali) responsabili di tutti i problemi insorti nei paesi socialisti, fino alla “perestrojka sionista”, al quale il solo Stalin si è coraggiosamente opposto. La tesi di Bagdache è così sintetizzata in conclusione: “Oggi dopo l’amara esperienza da cui sono passati il movimento comunista e rivoluzionario e i paesi socialisti, dobbiamo affermare che se c’è una nazione o comunità religiosa o gruppo confessionale, o come meglio la si vuole definire, che sia reazionaria, questa non è nient’altra che l’ebraica.”
Questo è solo un assaggio del testo.
A questo punto le domande che mi pongo sono queste: perché il PdCI mantiene rapporti stretti soprattutto con un partito che ha queste caratteristiche? Perché l’invito in Italia è avvenuto proprio in questi giorni, subito seguito da quello al PC portoghese, partito sicuramente molto più dignitoso, ma comunque allineato a livello internazionale con la corrente neo-stalinista?. In un momento nel quale si parla di “ricostruzione del Partito Comunista”, a me sembra un chiaro segnale del profilo ideologico e politico che si vuole dare a questo partito certo molto lontano non solo dal PRC, ma anche da quello che fu il Partito Comunista Italiano.
Franco Ferrari
fonte Facebook
Scusa Simone, non c’entra niente con la discussione ma ti volevo avvisare che qui è riportata la tua bella lettera a Vecchioni:
http://www.spettacolinews.it/sanremo-2011-DS0A3363.html
Stasera la battaglia di civiltà per l’acqua pubblica sale sul palco del Teatro Ariston. Emma Marrone, che canta insieme ai Modà e che viene considerata tra i favoriti per la vittoria finale, avrà al polso un braccialetto celeste e blu, simbolo dell’acqua bene comune”. Lo rende noto il Comitato referendario “2 si per l’acqua bene comune”, impegnato in questi giorni a Sanremo con il Festival dell’acqua, che si svolge fino a domani, per promuovere i referendum finalizzati alla ripubblicizzazione dei servizi idrici. La mobilitazione è iniziata oggi con il primo flash mob di alcuni attivisti presso la fontana dello Zampillo, in cui sono stati immersi decine di palloncini blu. Sul bordo del monumento, invece, è stato affisso lo striscione del Comitato. Tra le altre iniziative previste, esibizioni di artisti di strada, banchetti informativi e un concerto finale, nel pomeriggio di domani, che vedrà sul palco Andrea Rivera, Yo Yo Mundi, Lorenzo Monguzzi e Cinzia Marseglia di Zelig Off. Gli organizzatori hanno inoltre scritto una lettera aperta a Gianni Morandi e ai cantanti in gara, invitandoli a indossare il braccialetto dell’acqua bene comune sul palco dell’Ariston.
“Ti scrivo perche” ti voglio ringraziare. Ancora una volta, hai scritto una canzone meravigliosa. Ma questa volta hai un merito in più: hai dato voce ad un Paese umiliato ma reattivo, imbarbarito ma ancora orgoglioso. Hai dato parola agli operai in cassa integrazione e alle ragazze e ai ragazzi che sono scesi in piazza in questi mesi per difendere l’università pubblica e il diritto a un sapere critico”. Comincia così la lettera che Simone Oggionni, portavoce nazionale dei Giovani Comunisti di Rifondazione Comunista, ha indirizzato al cantautore Roberto Vecchioni, dopo la sua esibizione a Sanremo. Oggionni scrive che la canzone di Vecchioni (Chiamami ancora amore) fa riflettere su ”quanto sia profonda la distanza tra il mondo falso della televisione e dello spettacolo (e troppo spesso della politica patinata, delle polemiche create ad arte e degli scandali da commedia) e la vita reale e quotidiana di milioni di persone”. ”Le poesie, come i sogni, conducono in mare aperto” continua il coordinatore dei Gc. ”Dobbiamo navigare ancora molto per strappare questo nostro Paese alla notte e alla tempesta. Ma ci sentiamo meno soli, perche’ sappiamo che sei con noi. Con la musica e le parole. E la nostra lotta, che ha ancora tante piazze da solcare”.
”Abbiamo notato che l’evidenziazione dei costi avviene molto velocemente e con caratteri piccoli”. Lo ha detto il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, parlando del televoto al Festival di Sanremo. L’Antitrust ”in via informale chiede un aumento della dimensione dei caratteri – ha aggiunto – e un rallentamento dei passaggi”. Inoltre, Catricalà ha fatto sapere: ”Ora stiamo vigilando affinche’ il conduttore in ogni trasmissione dichiari l’impossibilita’ per la Rai, allo stato attuale, di evitare l’arrivo di voti massivi da parte di call center e agenzie specializzate”
Simone, sono abbastanza d’accordo con questo tuo articolo. Invio nel tuo link un contributo su un altro argomento della nostra discussione sulla rifondazione comunista, sperando di suscitare una discussione fraterna e non i soliti insulti (spesso anonimi) a destra e a manca che danneggiano innanzitutto chi li fa ma purtroppo anche l’immagine complessiva dei comunisti. Grazie dell’ospitalità.
Leonardo Masella.
ECLETTISMO O GOVERNISMO ? LE CAUSE DELLA CRISI DI RIFONDAZIONE COMUNISTA.
Oggi c’è chi dice che l’eclettismo alla sua nascita è la causa delle scissioni di Rifondazione Comunista e della sua presunta fine. E’ una tesi che contiene una parte di verità, ma solo una parte, perché anche l’eclettismo a sua volta è una conseguenza di una situazione precedente, di sfrangiamento politico-teorico del comunismo italiano (del Pci); sfrangiamento che alla fine degli anni ’80 era ormai una realtà oggettiva che incrociava un’altra realtà oggettiva, il crollo dell’Urss, del Pcus e la crisi terribile del movimento comunista e rivoluzionario mondiale. Cosa avremmo dovuto e potuto fare nel 1991 ? Fare il partito dei cossuttiani puri senza Garavini e i compagni che provenivano dalle aree berlingueriane, ingraiane e pduppine ? Senza i compagni che provenivano da Dp ? Oppure fare il partito dei marxisti-leninisti puri senza i cossuttiani o meglio senza la parte amendoliana moderata dei cossuttiani ? Non credo e nessuno allora lo propose. Abbiamo fatto bene, in quella situazione in cui ci trovavamo, a mettere assieme tutti, ed è stato un elemento di ricchezza e di forza. Anzi un elemento di debolezza è stato, come ha detto Grassi al convegno sui 20 anni del Prc, il fatto che Ingrao sia rimasto nel Pds e non sia stato fra i fondatori del Prc. E quando si critica l’eclettismo bisognerebbe anche dire quale era e quale è la cattedra ideologica della purezza e della omogeneità comunista a cui bisognerebbe inginocchiarsi, in particolare nell’epoca (come siamo ancora) della assenza di un centro mondiale di una comune teoria comunista e rivoluzionaria. Il Pc cinese che sostiene il socialismo di mercato oppure il Kke greco che attacca la Cina di cooperazione col nemico ? Chavez, che propone una nuova internazionale del 21° secolo con tutti i movimenti rivoluzionari che si collocano a sinistra della socialdemocrazia oppure alcuni partiti comunisti che vogliono ricostruire una internazionale comunista sulla base del marxismo-leninismo ? C’è un bel dibattito, per fortuna, fra i comunisti nel mondo. Non vedo perché sia un male avere impostazioni e posizioni diverse in campo storico, teorico e culturale anche in uno stesso partito, in una situazione peraltro aperta e dinamica della situazione. Io mi sono fatto l’idea, senza nessuna pretesa che sia così, ma pronto a modificarla nel confronto serio e scevro da strumentalismi e da certezze granitiche, che la causa principale della crisi del Prc non è stata quella di non aver saputo creare una omogeneità teorica o ideologica che dir si voglia, irrealistica oggi, a meno di fare un micro-partitino ideologico alla Pcl di Ferrando o alla Pc-ML (anche se certamente avremmo potuto costruire un tessuto culturale più unitario anche se ricco e vivace nelle differenze e nel confronto), ma di essere stato fondato e diretto da Cossutta che ha fatto di tutto per riportare il Prc alla ricongiunzione con la socialdemocrazia dalemiana del Pds-Ds-Pd. E per questo, nella sua guerra permanente alla sinistra interna, prima ha costruito i rapporti privilegiati con gli ex-Pdup contrari alla scissione del Prc dal Pds e usciti successivamente dal Pds (e protagonisti della prima scissione del 1995 per rientrare nel Pds con D’Alema), poi ha preso Bertinotti dal Pds e lo ha iscritto d’ufficio a segretario del Prc sperando che facesse da argine alla sinistra interna e al primitivismo “comunista” e infine quando ha visto che la sua operazione di “moderare” e socialdemocratizzare” il Prc con Bertinotti stava fallendo clamorosamente, anzi andava in senso opposto, ha fatto di tutto per riportare il Prc all’incontro col Pds di D’Alema incastrandolo attraverso il governo, passando gradualmente dalla desistenza, al sostegno esterno, al far parte della maggioranza, al patto di legislatura, fino alla prima scissione drammatica del ’98, che ha prodotto anche la divisione dei comunisti, che ha indebolito fortemente Rifondazione Comunista aprendo la strada ad una involuzione opposta fino al tracollo elettorale dovuto all’ingresso nel governo Prodi. Se si guarda bene ai fatti della nostra storia di questi 20 anni le spinte di destra e governiste sono le principali cause di tutte le scissioni e del tracollo elettorale del Prc alla base anche della sua crisi di militanza. Mentre le fasi della opposizione e del confitto sociale sono quelle della crescita del Prc, persino del Prc diretto dal solo Bertinotti dopo il ’98. Ed è tutto dire ! Qualcosa dovrebbe dirci anche oggi ?
caro Masella, hai ragione a lamentarti degli insulti: vedo anche sul blog di claudio grassi ed è un continuo, tra l’altro di anonomi! è proprio inaccettabile ma tu vai avanti così che le cose che scrivi sono sempre interessanti!
Sul merito di quello che dici: sono d’accordo con te, me le ricordo le discussioni nel PCI e mi ricordo però anche le posizioni di Ingrao contro noi “cossuttiani”. Se Ingrao avesse unito le mozioni forse saremmo ora tutti più forti invece la realtà è che è soltanto grazie ai comunisti che stavano con Cossutta (tu eri tra questi o sbaglio?) che è potuto nascere il MOVIMENTO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA e poi il PARTITO.
Quindi oggi si tratta di ripartire da lì, aggiungendoci chi nel frattempo si è ravveduto e ha capito qual’è la strada giusta!
Maria Assunta
Cara Maria Assunta, ti ringrazio per l’apprezzamento (che non so se meritare). Io nel 1991, pur proveniendo dall’area cossuttiana del Pci, ero in dissenso da Cossutta, perchè Cossutta mi sembrava incerto sull’aderire o meno al Pds di Occhetto e D’Alema. Per questo promuovemmo, assieme a compagni della mozione 2 del Pci (quella di Ingrao), della mozione 3 del Pci (quella di Cossutta), e assieme a compagni di Democrazia Proletaria, una rivista quindicinale, “Comunisti Oggi”, che si proponeva già da allora di unire comunisti di diversa provenienza e impostazione politico-culturale per contrbuire a dar vita ad una nuova identità comunista. Quando sorse Rifondazione Comunista con questo spirito unitario, comunista e innovativo, la rivista si sciolse. Io penso che alla nascita di Rifondazione Comunista abbiano contribuito diverse esperienze e raggruppamenti precedenti, non solo l’area cossuttiana e la rivista Interstampa (di cui facevo parte e ne rivendico l’appartenenza con orgoglio), ma anche vasti settori dell’area ingraiana, come i garaviniani, l’intero partito di Democrazia Proletaria che vi si sciolse dentro, e, sia pure poco dopo gli ex-Pdup (Magri, Castellina, Pettinari, Crucianelli) che ne uscirono nel ’95.
Un caro saluto.
Appunto, sciopero su QUALE OBIETTIVO? Proprio sulla questione dell’obiettivo, del CHE FARE, invito a leggere questa intervista che il compagno economista marxista Emiliano Brancaccio ha rilasciato il 31 dicembre scorso, e che è ancora attualissima. Brancaccio attacca i ‘comunisti liberoscambisti’ e secondo me definisce una linea di rifondazione non solo della tattica ma anche e soprattutto della STRATEGIA politica futura di un partito comunista che intenda davvero sviluppare la sua azione.
Se il compagno Oggionni ci dice che ne pensa della linea di Brancaccio forse ci aiuta a chiarire il quadro al di là delle difficoltà interne e della (pur giusta ma insufficiente) invocazione alla Cgil di uno sciopero generale:
http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2011/01/intervista-su-fiat-e-liberoscambismo-311210.pdf
caro Francesco,
rispondo sulla posizione di Brancaccio rispetto ai “comunisti liberoscambisti”. Nella misura in cui sono liberisti, Emiliano ha ragione ad attaccarli. Non so però se il protezionismo sia la soluzione. È una risposta, ma tutta interna a questa logica: chi si giova delle protezioni doganali? Come direbbe il Marx del Discorso sul libero scambio, i locali detentori di privilegi. Io credo che si dovrebbe ragionare in termini di pianificazione globale fissando una scala di priorità sociali (questo è il punto di ragione dell'”altermondialismo”).
La richiesta di sciopero generale andrebbe inscritta in questa visione strategica ma anche, molto più modestamente, dentro uno stato di crisi nazionale che merita reazioni forti e radicali da parte dei lavoratori.
S.
Compagno Simone,
tu quindi neghi che l’adesione al libero scambio sia stata in questi anni una delle cause principali del crollo della quota salari e delle tutele del lavoro? Fai attenzione perchè sui dati non c’è tanto da discutere. I dati parlano chiaro.
E poi, mi dispiace, ma come ricorda Brancaccio, citare il ‘Discorso sul libero scambio’ per difendere l’apertura dei mercati è una cosa che non ha proprio senso. Forse ricordi che per tutto il suo ‘Discorso’ Marx descrive gli effetti DEVASTANTI per la classe operaia della apertura dei mercati. Il motivo per cui Marx alla fine vota per il libero scambio sta proprio negli effetti distruttivi di questo, e nella possibilità a suo avviso di accelerare la rivoluzione mondiale! Insomma nel 1848 Marx era espressamente per il ‘tanto peggio tanto meglio’! Dopo il Novecento e dopo Lenin dovremmo avere capito che le cose purtroppo sono più complicate… Ma forse dentro Rifondazione comunista sono rimasti solo i Bordighisti, della grandiosa intelligenza politica di Lenin non c’è più traccia. O mi sbaglio?
E poi, ‘pianificazione globale’? Simone, ma dici sul serio? Ma di quale secolo venturo parli? Brancaccio individua un punto di contraddizione nelle attuali dinamiche del capitale, tra liberoscambisti e protezionisti. I comunisti, se vogliono sopravvivere, dovrebbero sapere incunearsi in quello scontro, l’unico in grado di rendere i comunisti capaci di scontrarsi con i leghismi e i nazionalismi che montano DENTRO LA CLASSE OPERAIA. Il resto sono chiacchiere al vento!
Saluti comunisti
Francesco
No, non nego che l’adesione al libero scambio sia stata una delle cause principali dello sfascio in cui siamo e non capisco da cosa puoi desumerlo. Ancor meno, sono entusiasta del libero scambio.
Sostengo semplicemente che il protezionismo non sia la soluzione.
E, per fortuna, i comunisti propongono un modello economico alternativo e non sono costretti a scegliere tra protezionismo e liberismo sfrenato.
Ma Brancaccio è intelligente e raffinato, e queste cose le sa bene.
Quanto ai bordighisti, temo che tu sbagli clamorosamente bersaglio.
Compagno,
io non so come la pensa Brancaccio. Io semplicemente lo leggo e traggo le conseguenze. Se lui ha deciso di criticare i ‘comunisti liberoscambisti’ vuol dire che un problema esiste. E se tu prima riconosci che il libero scambio è tra le cause principali della distruzione del movimento operaio, ma poi aggiungi che ‘il protezionismo non è la soluzione’, non aiuti a sgombrare il campo dai dubbi e dai sospetti.
Io vedo che Brancaccio fa delle proposte di ‘standard salariale’ o di ‘standard del lavoro’, e insiste sulla necessità di proporre quello che lui chiama ‘arresto dei capitali’ per bloccare il dumping di Marchionne e per lanciare un’offensiva contro i fasci e i leghisti che guadagnano consensi tra gli operai dicendosi disposti a ‘arrestare gli immigrati’. Puoi chiamarlo come vuoi ma è chiaro che queste sono forme (magari sofisticate) di protezionismo. Un ‘protezionsimo rosso’, ma sempre protezionismo.
Ma non c’è da scandalizzarsi, anzi. Prova a citarmi una sola esperienza di governo socialista, o anche solo di alleanza progressista nel mondo, che non abbia dovuto necessariamente fare uso di politiche in qualche modo protezionistiche per rendere praticabili i propri programmi di sviluppo economico e sociale.
Se tu pensi di potere ancora sopravvivere nel sistema del libero scambio, e se credi di poterti ancora permettere il lusso di trattare con le molle la parola ‘protezionismo’, tu ti fai delle illusioni e tutti noi siamo messi male, compagno.
Comunque, non vi voglio distrarre. Ci sono tante cose importanti da fare, dal pane a 1 euro al commento sull’ultima scemenza di Vendola.
Saluti comunisti
Caro Simone,
sono un compagno iscritto ai Giovani Comunisti della provincia di Catania.
Avrei tante cose da dirti e da scrivere ma mi preme condividere con te e con quelli che leggono questo blog la cosa per me più importante: ho la tessera del partito da quando ho quindici anni e ora di anni ne ho 28. Non ho più speranze…. ho perso la fiducia in Rifondazione perché mi pare che non abbia più nessuna forza e non dia nessuno stimolo e non sia attrattivo per nessuno.
Come possiamo fare? Io voglio andare a casa, non ho più voglia di impegnarmi, tutte le energie perse non hanno portato a niente.
Scusami, solo questo volevo dire.
Nicola
vorrei un chiarimento: SCIOPERO GENERALE SU QUALE OBBIETTIVO? Si sciopera per un motivo o per un punto di lotta. Ed allora, scioperare per quale scopo? Cosa si vuole? All’operaio o al dipendente che vengono invitati a disertare il posto di lavoro, cosa dire o proporre ? Non lo sapete? E’ grave. Ritanna Armeni fino a qualche giorno fà non lo sapeva. Scriveva solo parole su parole senza alcun significato. Vi dovete esprimere altrimenti si rischia di lasciare le cose come stanno ed attendere che la crisi scoppi sempre nel covo della destra.L’opposizione cosa fà? Aspetta che parli il Papa? Io ad esempio non voteri mai la Bindi. Non condivido quel che pensa. E’ troppo casalinga nazionalpopolare. Vuole tutto e il contrario di tutto. E’ ridicola.Mi piace la Bernini. La voterei. Ho un piccolo sospetto: questa donna è sconvolgente. Ha due occhi che forano il video. Perchè? Lo avete notato. Mi fa paura. E’ splendida.
Lo sciopero come fatto singolo non serve. Occorre una mobilitazione permanente che faccia crescere nelle persone la voglia di cambiamento e di riscossa.
Riuscire a fare una analisi sul quanto accade oggi e’ davvero complicato.
Iniziamo da noi,il Prc.
1)Il progetto e’in crisi?No siamo onesti e’ fallito.
Quando nasci come Rifondazione Comunista e’ hai 120.000 iscritti e arrivi all’8,6% e poi diventi una forza dal (se va bene)il 2%,dopo una miriade di scissioni!
Sei fuori dal parlamento,floppi alle europee e sei fuori da tanti,troppi consigli regionali,provinciali e comunali(e con la prossima riduzione del 20% dei consigli a maggio sara’ un bagno),sei arrivato ad avere forse 40.000 iscritti(ma il dato andrebbe epurato dagli abbandoni ad esempio di chi e’ passato in Sel nel corso della fine dell’anno o degli inizi,vedi Perugia e Catania e dalla scissione dei “mille” che pero’ dicono di essere gia’ il doppio).
E nonostante cio’ ti permetti di fare un congresso dove si andra’ ad una durissima conta tra Ferrero-Pegolo da una parte e Essere Comunisti dall’altra.
Con posizioni opposte …. sfioriamo il farsesco o farsi gia’ l’abbiamo superato.
2)Cosa si e’ proposto dal 08 ad oggi per uscire dalla crisi?
Tante cose ma con risultati a tratti penosi.
il partito sociale? …. vi ricordate gli articoli di Liberazione sulla grande riuscita di banchetti dove si vedeva il pane? ….
risultati?in termini elettorali 0%!
Alle eur. 09 si e’ puntati sulla “Lista Comunista e Anticapitalista” che in teoria per qualsiasi elettore doveva sfociare in una riunione in unico partito tra Prc e Pdci … risultato … sotto gli occhi di tutti.
Poi si e’ investito tanto sulla Federazione … risultato? … devo commentare?!
E infine quello che nessuno vuole dire,forse perche’ si ha una fottutissima paura!
Si e’ scommesso tutto su “pur di battere Berlusconi mi alleo anche con il diavolo!(che era l’Udc)”diceva Ferrero e in coro poi quasi tutti.
Un anno a dire e ripetere questo!
A che punto stiamo ora?
Siamo un po’ onesti ma nel caso si andasse ad elezioni gli scenari piu’ probabili sono 2.
O che si va’ con i 3 Poli o che spaccandosi il 3 polo(Fli non andra’ mai con Pd e Vendola)l’Udc e Api che si alleano con Pd-Idv-Sel … che e’ uno scenario che gia’ esiste in molte realta’ locali.
Da questi scenari e’ esclusa la FdS!Nel caso del 3 Polo,l’area ex-Ppi del Pd dovendo rinunciare ai centristi credo fara’ prevalere un diktat nei confronti della FdS.Forse al massimo verra’ proposto di “federarsi”con Sel alla camera rinunciando al simbolo “Falce e Martello” e niente candidati al senato.
Ovviamente stesso discorso e ancora piu’ ovvio nel caso di alleanza con l’Udc-Api.
A me questi sembrano gli scenari piu’ probabili nel caso di elezioni anticipate.
Nel caso di elezioni rimandate al massimo al 2012,crdo sara’ ancora piu’ difficile(vedi il post-elezioni amministrative con il relativo guaio di essere fuori da tante realta’,io abito in Campania e con la riduzione del numero dei consiglieri il quorum si alza al 3%,sapete cosa significa?Che al 100% saremo fuori dai consigli di Caserta,Salerno e Benevento e a Napoli,il post congresso e altri mesi e mesi di lotte intestine,abbandoni e possibili scissioni a sinistra di coorenti tipo quelle di Belloti e Verrugio)
Tutto questo accade senza che nessuno pronunci un ragionamento che potrebbe essere la “scossa” che ci vorrebe!
Un discorso del tipo
“Compagni,teniamoci pronti ad una corsa in solitaria.
Non e’ scontato il nostro accordo con il CSX!Ma questo non significa che dobbiamo rinunciare a fare politica o che dobbiamo abdicare.Anzi forse potremo essere anche piu’ forti”
E gia’ perche’ andando da soli ad esempio potremo trovare un accordo con la gran parte dei partiti e movimenti che oggi sono ostili al Prc-FdS come Sinistra Critica e la Rete dei Comunisti che potrebbero convergere su un candidato unitario come Cremaschi.
In uno scenario del genere sicuramente avremo un risultato migliore del 1,7% che oggi abbiamo!Risultato frutto del limbo in cui viviamo.
Da questo forse potremo iniziare … che non siamo piu’ un partito che accordera’ con il CSX!
Il partito sociale è una pagliacciata, utile sono nella testa dei gruppettari!
Guarda che sinistra critica e la rete dei comunisti praticamente non esistono e inoltre,un area di sinistra critica denominata resistenze sociali è tornata nel Prc
Fino a prova contaria il 10% di SeL è solo VIRTUALE.
Ricordo che,alle Europee e alle Regionali,la FdS prese PIU’ voti di SeL.
Cerchiamo di lavorare con calma e come dice Oggionni CAMBIAMO ROTTA,non è passato decenni dal momento in cui il Prc era al 7-8% era solo il 2007.
I tesserati al Prc sono 50 mila (l’intera FdS arriva a 75 mila tesserati) più di SeL che ne ha 48 mila
sì, grazie ma SEL vi mangerà alle elezioni politiche! Siete semplicemente morti, come dice Giusto Catania siete un cimitero!
Volevamo ringraziare Simone Oggionni per la sua adesione!
FIRMATE LA VOSTRA ADESIONE ALLA LETTERA SCRITTA A SUSANNA CAMUSSO
Vi preghiamo di firmare la vostra adesione alla nostra lettera indirizzata a Susanna Camusso. Siamo arrivati già a quasi 200 firme in poche ore. Hanno aderito, tra gli altri: artisti (Daniele Sepe, Cristiano De André), politici e rappresentati della società civile (la consigliera comunale Nadia Spallitta, Giusto Catania della Direzione Nazionale del PRC, Pietro Ancona ex segretario generale della CGIL Sicilia, il portavoce nazionale dei Giovani Comunisti Simone Oggionni), professori universitari, ma anche, soprattutto, tantissima gente comune, cittadini di ogni parte di Italia, che hanno voluto manifestarci la loro solidarietà, che si stanno mobilitando per moltiplicare quelle firme. Non riusciamo a ricordarli tutti, sono già tanti. Ma non è ancora abbastanza. Servono altre firme. Quindi vi chiediamo di fare uno sforzo ulteriore: firmate se non lo avete ancora fatto e diffondete, coinvolgendo quante più persone possibili. La nostra battaglia ha bisogno del vostro sostegno. Noi andremo avanti fino alla fine e non ci fermeremo finché ognuno di noi non avrà avuto la giustizia che merita. Grazie di cuore.
Per firmare cliccate su questo link e seguite le istruzioni. Non basta dare l’adesione via mail, altrimenti il vostro nome non sarà visibile. Non possiamo essere noi ad inserirvi.
Hanno pubblicato il tuo contributo sul sito che era “aprile on line”, ora “pane e acqua” in Sinistra e Libertà. Rimaniamo in contatto, non interrompiamo il legame che va costruito anche con la nostra area…
Fino a prova contaria il 10% di SeL è solo VIRTUALE.
Ricordo che,alle Europee e alle Regionali,la FdS prese PIU’ voti di SeL.
Cerchiamo di lavorare con calma e come dice Oggionni CAMBIAMO ROTTA,non è passato decenni dal momento in cui il Prc era al 7-8% era solo il 2007.
Io ritengo di essere un Comunista, ma già dalle prime battute del vostro scritto devo marcare una profonda differenza. Io non definisco ‘dittatore’ Berlusconi. Non lo é né formalmente, né sul piano storico politico. Altra cosa é avere contezza della dittatura, ovvero della democrazia formale che cela una opprimente dittatura capitalistica! Sono sicuro che nelle eventuali elezioni venture, anche se Berlusconi dovesse soccombere, non perderderà il berlusconismo e questo anche grazie ad odiose stupitaggini che vedo ripetere da chi si definirebbe marxista su Berlusconi dittatore!. Con franchezza e chiarezza rivoluzionarie, Antonio A. Varrasso
Ma la questione di fondo rimane: o ti proponi come soggetto attivo di un’alleanza democratica (pur con tutti i distinguo del caso) oppure sei espulso dalla politica e soprattutto dai sentimenti reali della nostra gente.
Caro Simone,
tante premesse cadono quando si arriva a questo ragionamento, l’alleanza democratica per una forza la Fds, delle nostre dimensioni (forse il 2%) non può farsi promotrice di niente, sono altri che conducono le danze, nei sentimenti reali del popolo della sinistra noi non ci siamo, probabilmente la classe operaia è più con il Pd e il Pdl e in (gran) parte nell’astensione.
Dopo anni di disarmo ideologico non si può fare in fretta occorre un reset serio, oggi alcuno nei gruppi dirigenti storici è in grado di farlo e così si continua in questo tran tran di logoramento fra noi e di autocommiserazione quando va bene.
Alcune annotazioni,
i sondaggi indicano una tendenza, nel 1996 quando il PRC tocca l’8,6% alle politiche della Camera, sull’ultimo sondaggio dell’Espresso eravamo quotati all’11 %. Quindi per adesso il consenso di Vendola è tutto teorico…
non imbrogliamoci tra di noi ci sono due opzioni tenerle assieme è un voler non posso, con questi chiari di luna non ci sono militanti super che possano tenere in piedi due livelli organizzativi, o si cerca di fare un nuovo partito comunista aprendo una fase costituente, o si fa il nuovo arcobaleno con il falso nome della Fds…
a Parma per le comunali il PdCI fa già parte dell’alleanza con il Pd, PRC cercherà di costituire un polo alternativo, ma quando ci decidiamo a liberarci della gabbia della Fds, che ci è stata calata dall’alto come un’imposizione?
Alberto Giannini del PRC di Parma
Caro Alberto,
io non propongo un’alleanza di governo ma un patto democratico (senza vincoli) per battere il Terzo Polo e Berlusconi.
Con il 2%, hai ragione, non possiamo condurre le danze ma se ci rintaniamo nel nostro angolo – rifiutando quello che la nostra gente ci chiede – avremo sempre meno, fino a sparire definitivamente.
Quanto alle due opzioni diverse: non so onestamente chi oggi, in Rifondazione, voglia rifare l’Arcobaleno. So per certo che c’è chi vuole ricostruire un forte partito comunista. Bisogna intendersi però sul profilo di questo partito. Ci accontenteremmo di un partito comunista del 2%? Io no. Io voglio un partito comunista forte dentro una sinistra forte. E, credimi, non ho nessuna nostalgia per l’Arcobaleno (avendolo, del resto, osteggiata già allora, quando tanti strateghi parlavano di un soggetto del 15-20%).
cari saluti comunisti e grazie per l’attenzione,
Simone
Non vedo all’orrizonte nulla che possa intravedere un cambio di rotta nella plitica italiana e ne tanto meno in quello che rimane della sinistra, se continuiamente c’è una diatriba se si deve o non deve andare ad incontri specifici su problemi specifici che hanno quotidianamente una parte di Italiani. Lavoro precarieta ecc.. ambiente troppo spesso dimenticato anche dove ci sono dei prc al governo delle amministrazioni es.. e-r,con altri settori della sinistra ormai sempre più divisa.per cui secondo sarebbe necessario fare un calendario con pochi punti e cominciare a proporre incontri per dfinire startegie da portare tar la gente per capire fino a che punto condividono questo progetto,altrimenti è solo sofferenza e sopratutto scomparsa dalla scena politica Italiana
Sono d’accordo e aggiungo che forse le riunioni tematiche che tu proponi potrebbero essere fatte dalla federazione della sinistra, trasformando le riunioni spesso burocratiche e autoreferenziali in riunioni sul programma. perché non iniziamo noi dal basso?
tu di dove sei? io di venezia
Quello che scrive Oggionni è vero: Sinistra e Libertà ha il 10 per cento e noi siamo morti. Ma il tesseramento quest’anno parte? Non sarebbe più opportuno fare un gesto di responsabilità e sciogliersi? Facciamo diventare la Federazione un partito e poi uniamoci con SEL! Non vedo alternative! So che a parlare è la disperazione, ma se non capite qual è il nostro stato d’animo (di militanti di base) non avete capito nulla!
Scusa Franchi, ma un articolo che si chiama CAMBIARE ROTTA secondo te significa DIFESA ACRITICA DEL PRC? Qui da noi in Toscana si dice: ma sei grullo?
Non voglio fare il difensore d’ufficio di nessuno, ma guarda che mi pare ci sia scritto tutto il contrario. E recuperare lo spirito originario di Rifondazione è proprio il contrario… per costruire un partito comunista unico dentro una sinistra unita… o sono grullo io?
vedo che nel gruppo dirigente nazionale di Essere Comunisti prevale la difesa acritica di Rifondazione… comunque la realtà va avanti, comunque.
Ciao Simone, seguo sempre con interesse quello che scrivi e devo dire che anche stavolta hai centrato il problema.
Il nostro partito è sempre più debole e noi non troviamo niente di meglio da fare che fare le pulci a destra e a sinistra, come se fossimo un partito del 30%.
La verità, caro Simone, è che con questi dirigenti non andremo da nessuna parte e con tutto il bene che voglio al segretario ci vorrebbe un’assunzione di responsabilità anche da parte sua e il riconoscimento dei suoi (numerosi) limiti.
Qui mi fermo.
Quanto a te: avanti così!
Maria Salvo